Il processo per diffamazione della politica Repubblicana Sarah Palin contro il New York Times dovrà essere ripetuto
Mercoledì un tribunale d’appello federale statunitense ha ordinato di ripetere un processo relativo alla causa per diffamazione che Sarah Palin, ex governatrice dello stato dell’Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti, aveva intentato contro il New York Times.
Palin aveva citato per diffamazione il quotidiano per un editoriale del 2017 in cui era stata accusata di aver contribuito a incoraggiare azioni terroristiche violente contro i membri del Congresso, con particolare riferimento all’attentato che coinvolse la deputata Gabrielle Giffords del 2011. Il New York Times riportò informazioni errate a proposito di alcuni post sui social network del comitato politico di Palin; l’editoriale venne corretto in seguito alle segnalazioni dell’errore e alle proteste, ma il giornale fu comunque citato in giudizio da Palin.
Il processo si era chiuso nel 2022 con il respingimento delle richieste di Palin, ma il tribunale ha stabilito che debba essere ripetuto perché Jed Rakoff, il giudice che se ne occupò, ai tempi impedì la presentazione elementi di prova essenziali, influenzando in tal modo il verdetto della giuria popolare. In particolare, Rakoff non avrebbe ascoltato alcune testimonianze che avrebbero potuto provare che James Bennet, l’autore dell’editoriale, avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’estraneità ai fatti di Palin.
Il processo fu considerato particolarmente significativo e delicato non solo per la notorietà delle parti in causa (da una parte una delle politiche più in vista e discusse dei Repubblicani nel primo decennio degli anni Duemila, dall’altra la maggiore istituzione giornalistica mondiale, di orientamento progressista e con 170 anni di storia), ma anche per le possibili implicazioni sulla legislazione riguardo alla stampa e alla libertà di espressione, che negli Stati Uniti è particolarmente protetta.