I Democratici non possono più dare per scontati i latinoamericani
Sempre più persone di origine ispanica si stanno spostando verso i Repubblicani, con cui sono più in sintonia sull'economia e la sicurezza
In tutte le elezioni presidenziali statunitensi degli ultimi quarant’anni gli elettori latinoamericani hanno votato in maggioranza per il candidato Democratico: nel 1980 Jimmy Carter ottenne il 56 per cento dei voti della comunità latinoamericana, nel 1996 Bill Clinton il 72, nel 2020 Joe Biden raggiunse il 66. Ma più di recente, benché gli ispanici continuino a votare in maggioranza per i Democratici, le analisi stanno segnalando uno spostamento del loro voto verso i Repubblicani: Donald Trump per esempio ha ottenuto risultati migliori fra i latinoamericani alle elezioni a cui si è presentato, cioè quelle del 2020, rispetto a quelle che vinse nel 2016.
Secondo i sondaggi fino al ritiro di Joe Biden in questa campagna elettorale i Democratici erano in svantaggio in alcuni stati chiave come Nevada, Arizona e Georgia (dove avevano vinto nel 2020), proprio per un minore sostegno delle comunità non bianche, e in particolare dei latinoamericani. A dicembre un sondaggio commissionato dalla televisione CNBC indicò persino un sorpasso di Trump su Biden, nel gradimento della comunità latinoamericana. I sondaggi di Kamala Harris, che da circa un mese ha sostituito Biden come candidata presidente dei Democratici, sono decisamente migliori: ma il sostegno degli elettori che si riconoscono come latinoamericani verso Trump e i Repubblicani rimane in crescita rispetto al passato.
È un dato significativo visto il ruolo sempre maggiore che ha nei processi politici ed elettorali la comunità latinoamericana negli Stati Uniti, di cui fanno parte più di 60 milioni di persone. Nel 2020 per la prima volta più della metà di chi aveva diritto al voto fra gli ispanici lo ha effettivamente espresso, con una partecipazione mediamente più alta fra le donne e i giovani.
In passato l’approccio di chiusura dei Repubblicani sui temi della cittadinanza e dell’immigrazione aveva spinto l’elettorato latinoamericano verso istanze progressiste, nonostante i diffusi valori religiosi, familiari, patriottici e spesso anticomunisti siano per lo più assimilabili a quelli conservatori. Ma come effetto di una maggiore integrazione e di un sempre superiore consolidamento della propria condizione di cittadini americani, negli ultimi anni parte dell’elettorato ispanico ha spostato la propria attenzione verso temi più cari alla destra, come il controllo rigoroso delle frontiere e la sicurezza. Per i latinoamericani ora l’economia conta più dei diritti di cittadinanza: inflazione, costo della vita e crescita dei prezzi degli affitti e delle case sono considerati i temi più importanti, con un giudizio per lo più negativo sui risultati ottenuti dall’amministrazione Biden.
Per decenni i Democratici hanno osservato la crescita dei numeri della comunità contando che questa potesse cambiare il destino politico di stati storicamente conservatori come Texas, New Mexico, Arizona, Nevada e persino Florida, dove però la numerosa comunità cubana è più spostata a destra, anche per il suo convinto anticomunismo.
Le analisi del voto hanno indicato come diritto all’aborto e controllo delle armi siano argomenti in grado di spostare voti verso sinistra, soprattutto nella comunità messicana. Ma le promesse dei Repubblicani di riduzione delle tasse e di semplificazione dei regolamenti per accedere ai prestiti bancari piacciono ai sempre più numerosi proprietari ispanici di attività commerciali e piccole imprese, mentre una fetta crescente della comunità mostra una generale disaffezione alla politica: un terzo di loro dice di non riconoscersi in alcun partito.
Durante la campagna elettorale del 2016 Trump aveva usato una retorica molto dura nei confronti dei messicani, arrivando a definirli «criminali e stupratori». Ora sembra aver cambiato strategia e i suoi attacchi si concentrano sugli immigrati che vorrebbero entrare nel paese in modo irregolare. In una recente intervista ha definito i latinoamericani «persone incredibili». Il sempre più frequente riferimento a temi cristiani della campagna trumpiana ha ulteriormente avvicinato parte dell’elettorato di origine messicana alle posizioni conservatrici.
La risposta dei Democratici si è concentrata su campagne di comunicazione destinate a specifici gruppi di latinoamericani, in base alla nazionalità di origine e alle diverse caratteristiche (immigrati di prima o seconda generazione, di lingua spagnola, bilingui e così via), iniziate già molti mesi prima delle elezioni di novembre del 2024. L’impegno è anche quello di contrastare la grande diffusione della disinformazione fra gli elettori latinoamericani. Rispetto alla media nazionale gli ispanici si informano maggiormente sui social e attraverso WhatsApp, due luoghi online dove proliferano le notizie false perché la moderazione che le grandi aziende come Meta – proprietaria tra le altre cose di WhatsApp e Facebook – compiono sui contenuti in spagnolo è molto meno efficace rispetto a quelli in inglese.
Durante le ultime elezioni (le presidenziali del 2020 e quelle di metà mandato del 2022) fu segnalata una grande circolazione di notizie false. In un periodo di crisi economica particolarmente acuta del Venezuela, circolarono molte dichiarazioni fasulle di Biden su presunte misure di stampo socialista, simili a quelle del presidente venezuelano Nicolás Maduro. Altre riproponevano le teorie complottiste sulle elezioni del 2020, mentre alcune riguardavano l’occultamento da parte del governo di molestie subite da alcune ragazze da parte di persone transgender (una storia falsa).
È una questione sempre più rilevante, perché la comunità è sempre più ampia, e quindi più influente. Oggi uno statunitense su cinque si riconosce come latinoamericano: rappresentano il 19 per cento della popolazione, un dato in crescita rispetto al 16 per cento del 2010 e soprattutto al 5 per cento degli anni Settanta. La comunità latinoamericana è cresciuta del 26 per cento in dodici anni, molto più di quanto sia cresciuta la popolazione generale negli Stati Uniti (8 per cento). Alcune stime prevedono che nel 2060 più di uno statunitense su quattro si identificherà come latinoamericano. Di fatto, quello latinoamericano è il secondo gruppo etnico più numeroso negli Stati Uniti, dopo i bianchi non ispanici (58,9 per cento del totale).
È un gruppo etnico particolarmente giovane rispetto alla media statunitense. Ogni anno un milione di latinos compie 18 anni e può quindi votare per la prima volta: dal 2018 i potenziali elettori sono aumentati di 4,7 milioni. A novembre del 2024 saranno in 34,5 milioni a poter scegliere il presidente. Soprattutto negli stati del Sud potrebbero risultare decisivi.
Come è ovvio, l’elettorato latinoamericano non può essere considerato un’entità compatta per quanto riguarda provenienze, situazione economica e preferenze politiche.
Secondo i dati dell’Ufficio del censimento statunitense relativi al 2022 la componente largamente più numerosa è ancora quella messicana (37,2 milioni di persone), seguita da quella portoricana. Grazie alla condizione di stato libero associato agli Stati Uniti, che permette una libera circolazione delle persone, il numero di cittadini di Porto Rico che vivono nei 50 stati americani è da alcuni anni superiore a quello degli abitanti dell’arcipelago d’origine, che si trova a est della Repubblica Dominicana: 5,8 milioni di persone contro poco più di 3. Seguono salvadoregni (2,5 milioni), dominicani (2,4), cubani (2,4), guatemaltechi (1,8), colombiani (1,4) e onduregni (1,1).
Negli ultimi anni è aumentata molto l’immigrazione dal Venezuela soprattutto a causa della profonda crisi economica che sta attraversando il paese: oggi negli Stati Uniti ci sono 815mila venezuelani, il 236 per cento in più rispetto al 2010.
Da due decenni però l’immigrazione non è più il motivo principale dell’aumento della popolazione ispanica negli Stati Uniti: ogni anno nasce nel paese un milione di bambini con genitori latinoamericani, mentre i nuovi immigrati non superano i 350mila. Allo stesso tempo cresce la quota di persone latinoamericane che vivono negli Stati Uniti da più di dieci anni: sono al momento l’80 per cento del totale, così come 4 su 5 hanno la cittadinanza americana. Più del 70 per cento parla inglese bene o molto bene, e tra il 2000 e il 2022 la quota dei latinos che parlano abitualmente spagnolo in casa è scesa dal 78 al 68 per cento, con una diminuzione soprattutto fra le seconde e le terze generazioni, che hanno talvolta un genitore o un parente di un’altra etnia.
Nonostante il processo di integrazione sia ormai per molti consolidato, nel 2021 lo stipendio medio per le persone latinoamericane era di 59mila dollari, contro una media nazionale di quasi 68mila dollari. È inferiore alla media anche la percentuale di chi possiede una casa di proprietà (51 contro 65 per cento). Le famiglie sono più grandi e il tasso di povertà è ancora superiore alla media nazionale: nel 2022 dieci milioni di persone latinoamericane, il 17 per cento del totale, vivevano sotto la soglia di povertà.
Ma è una comunità economicamente attiva soprattutto con piccole e medie imprese. Pur rappresentando solo il 19 per cento della popolazione, i latinoamericani contribuiscono per il 39 per cento alla crescita del PIL statunitense: detto in altre parole, producono più ricchezza dell’americano medio.
In alcuni stati quella latinoamericana è già diventata la comunità più larga: lo è in California dal 2014 (oggi sono 15,6 milioni, il 40 per cento della popolazione dello stato) e in Texas dal 2021 (oggi 12,1 milioni, il 40 per cento). In New Mexico sono la maggioranza assoluta, ma su un totale di soli 2 milioni di abitanti, mentre numericamente la terza comunità più grande è in Florida (6 milioni) e la più piccola è nel Vermont, uno stato del Nordest (15mila).
Nonostante questa crescente importanza numerica, economica ed elettorale, la rappresentanza dei latinos ai più alti livelli della politica è ancora limitata: nel 2023 erano latinoamericani il 9 per cento dei deputati eletti al Congresso e il 6 per cento dei senatori. In maggioranza appartengono al Partito Democratico e la più nota è probabilmente la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, nata nel Bronx, un quartiere di New York, da una famiglia portoricana.
Il primo candidato presidente latino risale agli anni Ottanta: era figlio di immigrati irregolari messicani e si chiamava Ben Fernandez. Uomo d’affari diventato milionario, partecipò a tre primarie del Partito Repubblicano, raccogliendo ben pochi voti. Nel 2016 due figli di immigrati cubani furono fra i principali avversari di Donald Trump: Marco Rubio, senatore della Florida, vinse le primarie Repubblicane in Minnesota e a Porto Rico, e il texano Ted Cruz terminò quelle primarie secondo – per quello che vale – senza troppo impensierire il futuro presidente e diventandone in seguito un grande sostenitore.
Nel 2020 l’unico candidato latinoamericano alle primarie presidenziali fu invece un Democratico, il texano di organi messicane Julian Castro, che nel 2014 era stato il membro più giovane del governo dell’allora presidente Barack Obama, col ruolo di segretario alla Casa e allo Sviluppo urbano. Da pochi mesi Castro è diventato il presidente della Latino Community Foundation, una fondazione che raccoglie fondi per progetti non profit destinati alla comunità ma che lavora anche per la mobilitazione dell’elettorato latinoamericano. È attiva soprattutto in California, ma ha ambizioni nazionali.
La crescente importanza della comunità latina si riflette anche nelle iniziative sempre più numerose lanciate dai grandi media per intercettarne gli interessi: il New York Times per esempio ha un’edizione del sito e dei podcast in spagnolo, così come la CNN. La televisione più seguita e influente tra le comunità ispaniche resta però Univision, che fino a un anno aveva fa un approccio decisamente progressista ed era stata un fattore di mobilitazione favorevole ai Democratici. Durante la campagna elettorale del 2015 fece notizia la cacciata del suo giornalista più noto da una conferenza stampa organizzata da Trump: Jorge Ramos insisteva con domande sulla promessa di costruire un muro al confine tra Stati Uniti e Messico, e Trump lo fece portare via urlandogli: «Torna a Univision!».
All’inizio del 2022 la rete completò un processo di fusione aziendale con il gruppo Televisa, che ha una storia di legami piuttosto stabili con la classe politica messicana nonché alcuni dirigenti da tempo amici di Jared Kushner, marito della figlia di Trump, Ivanka. La nuova gestione ha portato a un approccio molto più vicino al Partito Repubblicano: a inizio dicembre Trump ha deciso di lanciare la sua campagna per il voto latinoamericano proprio con un’intervista sul canale, che è stata molto criticata perché considerata troppo amichevole nei suoi confronti.