C’è ancora un mercato per i nuovi cellulari “vecchi”
I “dumbphone” telefonano, mandano messaggi e fanno poco altro, e qualcuno li sceglie per staccarsi dai social, anche tra i più giovani
Giovedì l’azienda finlandese HMD, che tra le altre cose possiede il marchio Nokia, ha presentato un cellulare dedicato a Barbie che riprende in tutto e per tutto il design dei modelli “a conchiglia” tipici degli anni Novanta, e che si distingue soprattutto per le funzioni che non ha. È infatti un telefono che fa pochissime cose: ha uno schermo a colori, una fotocamera posteriore, capacità Bluetooth e possibilità di collegarsi alle reti cellulari 4G, ma non è uno smartphone, dato che è sprovvisto di touchscreen e non si possono installare applicazioni.
Il “barbie phone” si basa sul sistema operativo KaiOS, che permette di accedere a pochissime app, come per esempio WhatsApp: costa 129,90 euro, e si può acquistare direttamente dal sito del produttore. Fondamentalmente si può usare soltanto per telefonare, mandare messaggi e scattare foto a bassa risoluzione, e secondo HMD la sua forza è proprio questa: l’azienda lo ha presentato infatti come un dispositivo per prendersi una pausa dallo scrolling continuo e per «riconnettersi con le cose importanti».
Negli ultimi anni telefoni di questo tipo, che in gergo vengono definiti “dumbphone”, hanno iniziato a trovare un loro piccolo spazio di mercato, anche perché intercettano una preoccupazione abbastanza diffusa tra molti genitori che cercano di limitare l’utilizzo dei dispositivi elettronici da parte dei loro figli più piccoli.
Da una decina d’anni è infatti in corso un esteso dibattito riguardo agli effetti degli smartphone e dei social network sulla salute mentale dei giovani. Diversi esperti, come per esempio lo psicologo sociale statunitense Jonathan Haidt, ritengono che la possibilità di avere i social e Internet a portata di mano giorno e notte abbia condizionato le esperienze quotidiane e i processi di sviluppo degli adolescenti a tutti i livelli: amicizie, sessualità, sonno, esercizio fisico, studio e relazioni familiari.
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Per chi è preoccupato del rapporto dei più giovani con gli smartphone, i “dumbphone” sono considerati un possibile rimedio. Secondo Emma Duerden, ricercatrice della Western University di London (Canada) che si occupa di neuroscienze e disturbi dell’apprendimento, questi cellulari possono rappresentare una «soluzione alternativa» per gli adolescenti, aiutandoli a limitare le molte ore quotidiane di esposizione ai social network.
Altri esperti sostengono invece che, sebbene i “dumbphone” possano essere utili per un certo periodo di tempo, rappresentano comunque una soluzione temporanea e che rischia di disabituare all’utilizzo degli smartphone, che rappresentano degli strumenti di lavoro essenziali. Per esempio Pete Etchells, professore di psicologia e comunicazione scientifica presso l’Università di Bath Spa di Londra, sostiene che, piuttosto che demonizzare gli smartphone, bisognerebbe insegnare ai bambini come usarli in modo sano e sicuro tramite degli appositi corsi di alfabetizzazione digitale.
L’interesse verso i “dumbphone” non riguarda soltanto i genitori, ma anche le persone appartenenti alla cosiddetta Gen Z (e quindi nate tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Dieci del Duemila), che secondo la società di analisi di mercato GWI negli ultimi tre anni è stata l’unica generazione a diminuire il tempo trascorso sui social network.
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È accaduto soprattutto negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni tra i più giovani si sono sviluppati alcuni esperimenti di minimalismo digitale: uno dei più famosi è il cosiddetto Luddite Club, nome che descrive la tendenza di alcuni adolescenti newyorkesi a riunirsi ogni settimana per trascorrere del tempo senza utilizzare smartphone, e che promuovono uno stile di vita basato sul rifiuto della dipendenza dalla tecnologia.