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  • Mercoledì 28 agosto 2024

C’è un caso anche al CPR di Porto Empedocle

Il tribunale di Palermo ha disposto la liberazione di cinque dei sei migranti tunisini detenuti nel nuovo centro siciliano: era successa una cosa simile a Pozzallo lo scorso anno

Alcune persone migranti sbarcate a Lampedusa lo scorso marzo 
(ANSA / ELIO DESIDERIO)
Alcune persone migranti sbarcate a Lampedusa lo scorso marzo (ANSA / ELIO DESIDERIO)
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Il 14 agosto a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, aveva aperto un Centro di permanenza per i rimpatri (spesso chiamati con la sigla CPR) per migranti irregolari, in cui vengono messe in detenzione amministrativa le persone migranti a cui non viene riconosciuto il diritto di restare in Italia, a cui è stata respinta la richiesta di protezione internazionale, o che provengono da paesi ritenuti “sicuri”. Come ha raccontato il Manifesto in diversi articoli, però, meno di due settimane dopo l’apertura la situazione nel CPR è già molto confusa: fino a oggi nel centro erano stati trattenuti sei uomini tunisini, ma martedì il tribunale di Palermo, che è competente per la convalida o meno dei provvedimenti riguardanti i migranti che si trovano a Porto Empedocle, ha stabilito che cinque di loro devono essere liberati.

L’apertura del CPR era stata decisa piuttosto in fretta dal ministero dell’Interno a fine luglio, anche perché nel frattempo la realizzazione dei centri per migranti che l’Italia sta costruendo da mesi in Albania è ancora molto indietro. Il centro è vicino all’hotspot già operativo da inizio anno, il centro di prima accoglienza per migranti, che ha una capienza massima di 280 persone. Il CPR può invece ospitarne 70. Nello specifico nei CPR come questo di Porto Empedocle si svolgono le procedure accelerate per i rimpatri delle persone migranti che provengono da paesi cosiddetti “sicuri” (sulla base del “decreto Cutro” approvato dal governo di Giorgia Meloni a seguito del grave naufragio di migranti avvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, nel febbraio del 2023).

– Leggi anche: I CPR costano molto e servono a poco

La lista di questi paesi (22 in tutto) è da tempo dibattuta e criticata perché comprende paesi come la Tunisia, dove il governo autoritario di Kais Saied promuove una sistematica campagna di discriminazione contro le persone che provengono dall’Africa subsahariana, o la Nigeria, dove diverse zone ancora oggi sono controllate dal gruppo terroristico Boko Haram.

Come riportato dal Manifesto, due diversi giudici del tribunale di Palermo hanno stabilito che le motivazioni con cui sabato scorso il questore di Agrigento aveva disposto la detenzione delle cinque persone migranti a Porto Empedocle non erano sufficientemente argomentate, dato che mancavano la valutazione della loro situazione individuale: secondo i giudici, le persone migranti provenienti da paesi “sicuri” non possono essere trattenute nei CPR in modo automatico al loro arrivo in Italia, come invece prevederebbe il “decreto Cutro”.

Ora nel CPR di Porto Empedocle rimane solo un uomo tunisino di 23 anni, per cui giovedì il tribunale di Palermo aveva convalidato il trattenimento per pericolo di fuga e tentativo di sottrarsi ai controlli. È l’unica persona trattenuta in un CPR in Italia per cui sono previste le procedure accelerate di rimpatrio del “decreto Cutro”, che finora non erano state mai applicate.

Prima del caso del CPR di Porto Empedocle, nel settembre dello scorso anno nel CPR di Pozzallo erano stati trattenuti quattro migranti arrivati via mare a Lampedusa, che però erano stati liberati dopo pochi giorni in seguito a un’ordinanza della giudice di Catania Iolanda Apostolico. Anche quel caso riguardava alcuni uomini tunisini, i cui avvocati avevano fatto ricorso contro il provvedimento di detenzione. La giudice Apostolico aveva dato ragione agli avvocati ritenendo il “decreto Cutro” illegittimo in alcune sue parti.

La decisione di Apostolico aveva fatto arrabbiare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: il governo aveva presentato ricorso per far valere le norme che aveva approvato, e il ministero dell’Interno si era appellato alla Corte di Cassazione che a sua volta aveva chiesto di risolvere la questione alla Corte di Giustizia europea. Dopo dieci mesi però la questione si è risolta un po’ in sordina, con il governo che ha rinunciato ai ricorsi e modificato leggermente il decreto.

– Leggi anche: Il caso della giudice Apostolico si è risolto