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Riprodurre video, podcast e audiolibri a 1,5x o 2x è diventato normale, ed è un'abitudine che si sta estendendo alle serie, ai film e addirittura alla musica

(AP Photo/David Guttenfelder)
(AP Photo/David Guttenfelder)
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Quando nel 2019 Netflix annunciò che avrebbe introdotto una funzione sperimentale per permettere ai suoi utenti di guardare film e serie tv velocizzate, molte personalità del mondo del cinema non la presero bene. Il regista e produttore Judd Apatow commentò che «non è così che funziona: i distributori non possono cambiare il modo in cui i contenuti sono confezionati»; il regista Peyton Reed la definì «un’idea terribile, contro cui io e ogni regista che conosco combatteremo». Ai tempi Netflix rispose che era solo un esperimento e che non era detto che la funzione sarebbe stata resa disponibile a tutti gli utenti. Lo diventò meno di un anno dopo.

L’argomento continua a essere molto controverso, ma la percezione è che le persone che guardano film e serie velocizzati siano ancora relativamente poche (Netflix non diffonde dati sugli utenti che la usano). Su molti altri contenuti multimediali invece – dai messaggi vocali ad audiolibri e podcast, dai video di YouTube alle canzoni su TikTok – la velocizzazione è diventata un’abitudine diffusa. Oltre alla questione più etica e artistica sollevata contro Netflix, ci si comincia a chiedere anche se questa pratica possa avere un impatto a lungo termine sulla nostra capacità di concentrazione.

YouTube fu una delle prime piattaforme a introdurre la possibilità di velocizzare la visione dei suoi contenuti, già nel 2010, e oggi per molte persone è normale guardare tutorial, lezioni, videoricette o interviste a 1,5x o anche 2x per risparmiare tempo. Naturalmente, come tutti gli altri servizi che hanno questa funzione, YouTube permette anche di diminuire la velocità dei video. Secondo i dati più recenti diffusi dalla piattaforma, però, nel 2022 tra chi usava queste funzioni la stragrande maggioranza (85 per cento) lo faceva per velocizzare i video, e solo una piccola parte per rallentarli.

YouTube ha detto che la maggior parte delle persone guarda video a velocità normale, e non ha mai fatto sapere quanti utenti usano la velocizzazione, ma ha detto che quelli che lo fanno hanno risparmiato complessivamente una media di 900 anni ogni giorno, cosa che fa pensare che non siano pochi. Sempre secondo quanto dichiarato nel 2022 la velocità preferita era 1,5x, seguita da 2x e poi da 1,25x, la meno usata. Fece sapere anche di aver ricevuto richieste per aggiungere velocità di riproduzione maggiori: da 3x a 4x.

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Dopo YouTube sono arrivate le piattaforme di podcast e audiolibri, che si sono diffuse prima negli Stati Uniti e poi in Europa e nel resto del mondo, ma hanno introdotto la velocizzazione quasi subito. Secondo i dati comunicati a BBC da Spotify, la piattaforma di streaming audio più usata al mondo, nel 2023 più di un terzo degli ascoltatori statunitensi ascoltava i podcast velocizzati. E la percezione (almeno quella del Post, che tra le altre cose produce podcast e riceve feedback frequenti dai suoi ascoltatori) è che sia molto diffusa anche in Italia.

L’applicazione che ha però reso davvero comune la fruizione di audio velocizzati è stata probabilmente WhatsApp, che permette di farlo con i messaggi vocali dal 2021, a 1,5x e fino a 2x. Anche qui non sono stati pubblicati dati sul numero di persone che ascoltano i messaggi vocali in questo modo, ma è esperienza comune che sia una cosa abbastanza diffusa. Per altro WhatsApp mise per la prima volta gli utenti di fronte alla possibilità di ascoltare la propria voce velocizzata.

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Ad aprile il Wall Street Journal ha scritto che Spotify starebbe lavorando a una nuova funzione per permettere agli utenti abbonati di velocizzare anche le canzoni. È uno sviluppo che è stato pensato perché negli ultimi anni sui social network, soprattutto su TikTok, si è diffusa molto l’abitudine ad aumentare la velocità di riproduzione della musica per creare sottofondi adatti a brevi video. Molte canzoni vecchie sono tornate ai primi posti delle classifiche musicali grazie a questo fenomeno, e ora molti giovani le conoscono solo nella loro versione velocizzata.

Il risultato è che alcuni musicisti hanno cominciato a provare ad anticipare il fenomeno velocizzando da sé le proprie canzoni: Summer Walker l’ha fatto nel 2022 col suo album Last Day of Summer, dopo essere diventata virale su TikTok, e anche le pop star Billie Eilish e Sabrina Carpenter hanno pubblicato versioni velocizzate di alcune delle proprie canzoni. Altri hanno invece criticato questo modo di alterare la fruizione di opere artistiche altrui.

La diffusione di TikTok ha avuto sicuramente un ruolo nel normalizzare la velocizzazione di audio e video. Fa parte dell’estetica della app fin dalla sua nascita (e da ancora prima, quando si chiamava Musical.ly) ed è uno degli elementi che lo rende così ipnotico per chi lo usa. In generale non è difficile capire perché un video che offre contenuti più veloci, quindi più cose in meno tempo, sia di maggior intrattenimento per gli utenti e sia quindi anche più premiato da un algoritmo sensibile come quello di TikTok.

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Gloria Mark, ricercatrice e docente della Columbia University che da anni studia il rapporto tra attenzione e uso dei dispositivi tecnologici, ha spiegato molto semplicemente la diffusione dell’abitudine a velocizzare video e audio col fatto che «le persone possono capire le cose anche a una velocità maggiore, e poiché possono farlo, lo fanno». E ha aggiunto che contribuisce anche molto il fatto che «c’è questa cultura per cui vogliamo […] fare il più possibile nella nostra giornata, e lo facciamo velocizzando i media».

C’è una differenza, evidentemente, se a essere velocizzato per poter essere fruito più rapidamente è un podcast di notizie o una videoricetta, oppure un film o una canzone. I primi infatti sono contenuti pensati essenzialmente per trasmettere delle informazioni, mentre i secondi svolgono funzioni più complesse, di cui la principale è spesso quella di suscitare emozioni, più che comunicare messaggi. E il “passo” di un film o il ritmo di una canzone sono evidentemente elementi centrali per la trasmissione di quelle emozioni: accelerarli significa essenzialmente interferire con questo processo per come era stato pensato dall’autore.

Certamente non tutti i film sono come quelli di Stanley Kubrick o di David Lynch, ed è plausibile che in certi casi, magari quando si parla di prodotti molto dozzinali e commerciali, o basati unicamente sui dialoghi e per niente sulle atmosfere, una accelerazione contenuta della velocità di riproduzione non li stravolga più di tanto. Non è comunque solo una questione di classici e di rispetto della storia del cinema. Parlando dello “speed watching” sul blog Serialminds, il critico Diego Castelli aveva fatto un esempio qualche anno fa: «se nello speciale di Euphoria Zendaya fa passare un minuto prima di rispondere a una domanda, e noi facciamo diventare quel minuto trenta secondi, o venti, il peso di quel silenzio può cambiare considerevolmente nell’economia del racconto».

Vulture ha recentemente ripubblicato un articolo di qualche anno fa in cui il giornalista e critico culturale statunitense Nicholas Quah, che dal 2021 ha una newsletter chiamata, per l’appunto, 1.5x Speed, ha raccontato molto onestamente di come, dopo anni passati ad ascoltare podcast velocizzati, si sia «appassionato alla fruizione veloce dei programmi tv». Nell’articolo dice che per lui è un modo per rispondere alla tentazione di consumare quante più serie tv, film, libri, podcast e articoli possibili, cercando al contempo di non trascurare il resto della propria vita. Per molti è anche un modo per “incastrare” questi contenuti in precisi momenti liberi della vita (la strada per andare a lavorare, il tempo libero prima di uscire a cena, eccetera) perché si sa che se li si interrompe difficilmente li si riprenderà.

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Quah ha raccontato di aver guardato su Netflix molti reality, documentari e anime velocizzati, ma che non lo fa con i film perché «non mi sembra giusto». In generale, nel velocizzare film, serie tv e musica continua a esserci una certa resistenza anche da parte di chi ha sdoganato questa pratica per podcast e audiolibri. Negli ultimi anni è stato spesso criticato il modo in cui prodotti culturali considerati opere d’arte possano venire assimilati a beni di consumo qualsiasi e quindi di fatto privati del loro valore. Come ha scritto il giornalista Ben Sledge in risposta a Quah: «il punto non è guardare il più possibile e il più velocemente possibile, il punto è interagire con quello che guardi, ascolti, leggi o giochi. Dovresti prendere tempo per pensarci e lasciare che penetri nella tua mente».

Nel 2020 la dirigente di Netflix Keela Robison disse che la decisione di introdurre la funzione velocizzante era «stata richiesta dagli abbonati per anni» e accennò al fatto che sarebbe stata utile anche per persone cieche che, non dovendo stare dietro allo sviluppo delle immagini, spesso preferiscono ascoltare film e serie con l’audiodescrizione velocizzati. Anche persone con disturbi dell’attenzione hanno detto di aver accolto la novità di Netflix positivamente, e di aver trovato una soluzione all’incapacità di arrivare alla fine di un film. A parte Netflix però la maggior parte delle piattaforme di streaming non ha ancora introdotto questa opzione, anche se per chi vuole esistono diverse estensioni che si possono scaricare sul computer per velocizzarne i contenuti.

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Tra chi si è espresso negativamente sulla diffusione di questa pratica qualcuno ha citato dei possibili effetti a lungo termine sul cervello, ma trattandosi di un fenomeno nato da pochi anni è ancora troppo presto per trarre conclusioni. Si è cominciato comunque a dibattere sull’impatto che una generale velocizzazione dei contenuti di cui fruiamo può avere sull’attenzione, soprattutto delle persone più giovani. La cosa principale che alcuni studiosi hanno provato a indagare è quanto cambi l’apprendimento e l’assorbimento di informazioni rispetto a quando si fruisce di un contenuto a velocità normale. Un ricercatore della University of California, Dillon H. Murphy, ha fatto un esperimento su 200 persone e ha concluso che non ci sono differenze.

Diego Redolar, professore e vice rettore del dipartimento di ricerca della facoltà di Psicologia dell’Universitat Oberta de Catalunya, in Spagna, ha detto al Pais che ci sono vantaggi e svantaggi nel velocizzare i contenuti di cui fruiamo: «Quando ascoltiamo un messaggio a una velocità maggiore, accorciamo il tempo di ascolto ma perdiamo molti degli aspetti del messaggio stesso», come le pause, l’inflessione della voce, il tono, e tutte quelle cose che ci permettono di interpretare emotivamente un contenuto: «per non parlare di un’opera di cultura, come un film».

Redolar ha spiegato anche che «invece di concentrarsi sulla singola parte e afferrare il dettaglio del contenuto, ci concentriamo sul senso generale […] Capiamo il senso generale ma ci perdiamo i dettagli». Inoltre, quello che succede è che ci si abitua ad ascoltare e guardare con più concentrazione, ma mantenendola meno a lungo.