Il porto che sta facendo litigare Somalia ed Etiopia
Il governo etiope voleva l'accesso al mare e ha firmato un'intesa con l'autoproclamata Repubblica del Somaliland: la Somalia non l'ha presa bene, diciamo
Da diversi mesi sono in corso ad Ankara, in Turchia, alcune conversazioni tra rappresentanti di Somalia ed Etiopia per provare a placare le tensioni che si sono create tra i due paesi dopo la firma di un memorandum d’intesa tra il governo etiope e l’autoproclamata Repubblica del Somaliland, che negli anni Novanta si staccò unilateralmente dalla Somalia e che ancora oggi non è riconosciuta ufficialmente da alcuno stato.
Il memorandum in questione, firmato il primo gennaio del 2024, prevede l’accesso militare e commerciale dell’Etiopia a circa venti chilometri di costa nel Somaliland, e quindi all’oceano Indiano, per cinquant’anni; prevede anche che il Somaliland ottenga il riconoscimento come stato sovrano dall’Etiopia, oltre che una quota della compagnia aerea etiope di bandiera. Si parla di memorandum e non di accordo perché il testo firmato dalle due parti ha una forza minore di un accordo vero e proprio: è una specie di impegno reciproco tra le parti, ma non vincolante.
È comunque fondamentale per l’Etiopia, che non ha uno sbocco sul mare, ma non è stato preso per niente bene dalla Somalia, a cui non è piaciuto che uno stato negoziasse un accordo con una sua regione “ribelle” senza il suo consenso, e soprattutto in un momento in cui Somalia e Somaliland avevano avviato dei negoziati per normalizzare le relazioni.
Tutta la situazione ha creato grandi tensioni e alcuni opinionisti hanno parlato del rischio di una guerra. Di certo gli sviluppi degli ultimi mesi non hanno aiutato a stabilizzare la regione del Corno d’Africa, che negli ultimi anni è stata interessata da diverse crisi (tra cui la guerra in Etiopia).
Il Somaliland è una regione della Somalia che confina a sud con l’Etiopia, a ovest con Gibuti e che a nord affaccia appunto sull’oceano. Ha 4 milioni di abitanti e un PIL da circa due miliardi di dollari annui, che deriva perlopiù dall’esportazione di bestiame e altri prodotti animali verso Gibuti, l’Etiopia, l’Arabia Saudita e l’Oman. Il Somaliland dichiarò l’indipendenza dalla Somalia nel 1991 e da allora funziona praticamente come uno stato sovrano: ha una capitale, Hargeisa, una bandiera, una valuta locale e un governo eletto tramite elezioni considerate tutto sommato libere (anche se negli ultimi due anni le cose sono un po’ peggiorate).
Sebbene abbia relazioni diplomatiche ed economiche con vari paesi, nessun governo ha ancora riconosciuto ufficialmente il Somaliland come stato indipendente e sovrano. Questo è un problema perché, tra le altre cose, l’autoproclamata repubblica è uno dei luoghi più poveri al mondo e l’assenza di riconoscimento internazionale le impedisce di avere accesso ai prestiti della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale.
Per uscire dall’isolamento il Somaliland sta quindi cercando di sfruttare una delle sue più grandi ricchezze, l’accesso al mare. Nel 2016 concesse a una grossa azienda portuale di Dubai, la DP, la gestione per trent’anni del porto di Berbera in cambio di investimenti per quasi mezzo miliardo di dollari. Già allora l’accordo aveva attirato l’attenzione della vicina Etiopia, che due anni dopo aveva promesso di acquistare il 19 per cento delle quote del porto anche se l’accordo era poi fallito per questioni burocratiche. L’Etiopia però non perse il suo interesse nell’autoproclamata repubblica, con la quale mantiene rapporti amichevoli nonostante questo infici le sue relazioni con la Somalia.
L’Etiopia perse l’accesso al mare con la secessione dell’Eritrea nel 1993 e da allora paga 1,5 miliardi di dollari l’anno a Gibuti per usare il porto dell’omonima capitale, da cui passa più del 95 per cento del traffico commerciale del paese. Il suo primo ministro Abiy Ahmed considera l’accesso al mare una questione «esistenziale» per l’Etiopia, oltre che economica. Nell’ultimo periodo Abiy ha detto di voler liberare gli etiopi dalla loro «prigione geografica», e ha parlato del mar Rosso come del «confine naturale» dell’Etiopia. Secondo una fonte vicina a lui sentita dall’Economist, ha anche detto che se non riuscirà a ottenere ciò che vuole attraverso la via diplomatica, la guerra diventerebbe «l’unica via».
La firma del memorandum d’intesa ha interrotto il dialogo per la pacificazione tra il governo somalo e l’autoproclamata repubblica del Somaliland, ma soprattutto ha reso decisamente più tesi i rapporti tra Somalia ed Etiopia. Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha detto di considerare l’accordo una violazione della sovranità e dell’integrità della Somalia, oltre che della legge internazionale, e ha accusato l’Etiopia di voler annettere il Somaliland. Ha poi cercato e ottenuto il sostegno formale di parte della comunità internazionale: si sono espresse a favore della posizione della Somalia, tra le altre, anche la Lega Araba, l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
Un ulteriore peggioramento dei rapporti tra Somalia ed Etiopia potrebbe avere diverse implicazioni. Per esempio potrebbe far terminare, o indebolire, gli sforzi che i due paesi stanno conducendo insieme per contrastare il gruppo terroristico al Shabaab.
In Somalia oggi ci sono circa 5mila soldati etiopi per combattere contro l’organizzazione terroristica, e il presidente somalo ha già detto che dovranno lasciare il paese entro la fine dell’anno. Come ha scritto l’Institute for the Study of War, è inoltre probabile che al Shabaab intensifichi i propri attacchi contro le forze etiopi nel corno d’Africa ora che ha la possibilità di sfruttare il sentimento anti-etiope diffuso tra la popolazione per reclutare nuovi miliziani.
Anche altri paesi della regione vedono l’accordo per il porto di Berbera come una minaccia. Un esempio è Gibuti, che come abbiamo detto al momento è il principale porto utilizzato dall’Etiopia per i suoi scambi commerciali. Se l’accordo con il Somaliland dovesse concretizzarsi, buona parte del volume di questi scambi passerebbe da lì e di conseguenza si ridurrebbe il guadagno di Gibuti.
Altri paesi che hanno un interesse nella questione sono l’Egitto, che si sta scontrando con l’Etiopia da diversi anni su un grosso progetto infrastrutturale e che da qualche tempo si è avvicinato alla Somalia per trovare un altro alleato contro l’Etiopia; l’Eritrea, che dall’indipendenza nel 1993 controlla quello che è stato a lungo lo sbocco sul mare dell’Etiopia e che ora si sente minacciata dalle mire del governo di Abiy; il Qatar e l’Arabia Saudita, che da tempo si contendono il controllo della regione del Corno d’Africa con gli Emirati Arabi Uniti, che uscirebbero rafforzati da questo accordo dal momento che sostengono da molto tempo il governo di Abiy e che, come abbiamo detto, è un’azienda di Dubai a gestire il porto di Berbera.
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