Le nuove regole che il governo dovrà seguire per decidere la politica economica
Da quest'anno cambia tutto o quasi, con percorsi di spesa e di riforme molto più a lungo termine, fino a 7 anni
La ripresa dei lavori politici per il governo e per il parlamento dopo la pausa agostana sarà monopolizzata dalle questioni economiche. Succede più o meno ogni anno, perché a settembre inizia sempre quel periodo lungo e faticoso che porta alla definizione dei fondamentali documenti di finanza pubblica e poi della legge di bilancio, quella con cui il governo si impegna a stabilire, dopo averlo concordato con la Commissione Europea, come gestire i soldi pubblici nell’anno successivo. Ma quest’anno tutto sarà un po’ diverso, con incognite e nuove preoccupazioni del governo e degli operatori finanziari.
Nell’aprile scorso, dopo un lungo negoziato, è infatti entrato in vigore il nuovo Patto di stabilità e crescita, il regolamento che ha riformato in maniera sostanziale le regole che gli Stati membri dell’Unione Europea devono osservare nel definire le proprie politiche economiche. Ci sono novità sia di metodo sia di merito, alcune sono molto tecniche, altre più macroscopiche. Ma in generale, ciò che è evidente è che le nuove regole vincoleranno i governi a seguire una traiettoria di spesa più definita e ad attuare riforme strutturali precise. La materia è complessa e impone a tutti i partiti di fare i conti con la realtà dei conti pubblici italiani, che non consente di fare grandi promesse elettorali. E forse anche per questo, finora, sia le forze di maggioranza sia quelle di opposizione hanno perlopiù aggirato l’argomento.
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Il documento che verrà prodotto dai governi e approvato dai parlamenti, chiamato Piano strutturale di bilancio (PSB), avrà infatti una validità di 4 o 5 anni, con un percorso di riforme che potrà estendersi fino a 7 anni, e che dovrà essere rispettato dal governo così com’è. Potrà infatti essere modificato solo nel caso in cui dovesse entrare in vigore un nuovo governo o nel caso di eventi eccezionali (una grave crisi economica, uno shock di un qualche tipo, una calamità naturale) che renderebbero oggettiva la necessità di aggiornare i piani di spesa.
Negli ultimi dodici anni, con poche trascurabili variazioni, la politica economica dei vari governi ha seguito, in Italia, un calendario ben definito. In primavera veniva redatto il Documento di economia e finanza (DEF), con cui entro il 10 aprile il governo fissava le previsioni sull’andamento della finanza pubblica per l’anno in corso e per i due successivi; in autunno, questo documento veniva rivisto e veniva così prodotta la Nota di aggiornamento al DEF (NADEF), con cui il governo aggiornava appunto le previsioni sulla finanza pubblica e sull’andamento dell’economia, tenendo conto anche delle misure che intendeva attuare su quelle materie e sull’impatto che queste avrebbero potuto avere sulla crescita del prodotto interno lordo (PIL) e sull’indebitamento. La NADEF era la base su cui poi il governo definiva il Documento programmatico di Bilancio (DPB), che inviava entro il 15 ottobre alla Commissione Europea. E da lì si sviluppava infine il lavoro per scrivere la legge di bilancio, che andava approvata entro la fine dell’anno.
Col nuovo Patto di stabilità, tutta questa sequenza collaudata di scadenze e procedure verrà stravolta. A partire proprio dal 2024, che in realtà sarà un anno un po’ di transizione in cui si dovranno cercare compromessi per garantire un passaggio ordinato dalle vecchie alle nuove regole.
In ogni caso, sulla base delle nuove regole, il governo dovrà inviare entro il 20 settembre il nuovo Piano strutturale di bilancio (PSB) alla Commissione Europea. Sarà un documento senza precedenti, per vari motivi.
Innanzitutto per la sua durata. Finora i documenti di programmazione economica condivisi con la Commissione Europea (DEF, NADEF e DPB) contenevano previsioni sull’andamento del ciclo economico e sugli interventi che il governo intendeva adottare di portata più che altro annuale, anche se formalmente le previsioni riguardavano il triennio: si tracciava un percorso piuttosto ristretto che riguardava l’anno seguente, con stime meno accurate e meno vincolanti sulla prosecuzione di quel percorso nei due anni successivi. Ora, invece, il PSB stabilirà in maniera più rigorosa la politica economica e fiscale per l’intera legislatura.
Per quanto riguarda l’Italia, dove si vota di norma ogni cinque anni, la durata del PSB sarà dunque quinquennale, in teoria. Nella pratica, dal momento che questa legislatura è già quasi a metà, il PSB avrà come scadenza più lontana ottobre 2027, quando la legislatura si concluderà. Significa che il governo di Giorgia Meloni vincolerà le sue politiche economiche per tutto il periodo in cui resterà in carica: definendo sia la traiettoria della spesa pubblica sia le riforme strutturali che intende adottare. Poi, ogni anno si dovranno fare aggiornamenti progressivi del PSB, ma con margini di intervento piuttosto limitati da concordare con la Commissione, e che dovranno eventualmente essere giustificati con evidenze oggettive.
Ma oltre a questo Piano di bilancio ordinario, l’Italia dovrà definire anche un cosiddetto “percorso di aggiustamento”. Questo percorso interessa i paesi particolarmente indebitati e dura sette anni. Bisognerà includere nel PSB anche una parte di riforme e di misure particolarmente impegnative che dovranno essere attuate fino al 2031 e che dovranno riportare debito e deficit entro margini accettabili dalla Commissione. Nonostante il nuovo Patto di stabilità li abbia resi lievemente meno stringenti, restano infatti in vigore i parametri di riferimento consolidati sul deficit (cioè il disavanzo di bilancio annuale) e il debito (cioè l’accumulo del disavanzo nel corso degli anni). Tutti i paesi che hanno un deficit più alto del 3 per cento del loro PIL, o che hanno un debito superiore al 60 per cento del PIL, dovranno impegnarsi a seguire un “percorso di aggiustamento” di durata variabile tra 4 o 7 anni.
Per quanto riguarda l’Italia, che ha chiuso il 2023 con un deficit del 7,4 per cento del PIL (il più alto d’Europa) e che ha un debito pubblico di oltre il 137 per cento del PIL, questo percorso durerà 7 anni e dovrà prevedere una riduzione costante del deficit di 0,5 punti percentuali all’anno e una contestuale riduzione del debito di un punto percentuale all’anno (il deficit comprende le spese per interessi). Nel complesso è un aggiustamento di bilancio di circa 10-12 miliardi di euro all’anno, che andranno ricavati riducendo la spesa pubblica, aumentando la produttività o aumentando le tasse.
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L’altra grande novità introdotta dal nuovo Patto di stabilità consiste nel fatto che, oltre ai parametri del deficit e del debito, verrà preso come riferimento il tasso di “spesa netta primaria”: è la spesa pubblica stimata senza tenere conto di alcune componenti, come gli interessi sul debito pubblico che uno Stato paga ogni anno agli investitori che comprano i titoli di Stato, le misure legate alla disoccupazione che variano di anno in anno (come, per esempio, la cassa integrazione), e altre misure straordinarie. Più che il saldo strutturale, quindi, sarà prioritario definire un percorso di spesa pubblica coerente con gli obiettivi che il paese deve raggiungere, e che andrà concordato con la Commissione Europea dai singoli governi: non risponderà a vincoli preimpostati e validi per tutti, dipenderà anche dallo stato dei conti pubblici dei vari paesi.
All’interno di questa cornice piuttosto rigida, ogni anno il governo dovrà poi definire le leggi di bilancio: che, rispetto a oggi, saranno un po’ meno determinanti, nel senso che ci sarà un minore spazio di manovra per il governo di turno per intervenire.
In generale la programmazione economica dei governi, cioè l’operazione con cui si stabilisce come spendere i soldi e come intervenire sul bilancio dello Stato prevedendo gli andamenti nazionali e internazionali dell’economia, diventerà ancor più decisiva. Per quanto riguarda l’Italia, imporrà di essere più efficienti su due aspetti in particolare, tra gli altri. Uno lo ha segnalato la Banca d’Italia, che ha ricordato della tradizionale “miopia” della politica italiana in materia finanziaria, cioè la scarsa capacità dei governi di definire un percorso credibile e stabile di risanamento dei conti pubblici sul medio e lungo periodo. Spesso sono state approvate misure che garantivano consensi elettorali immediati senza tenere conto del loro impatto strutturale sul bilancio; spesso si sono introdotte norme pluriennali per le quali però venivano previste coperture economiche solo per un singolo anno; in generale, insomma, c’è stata poca lungimiranza che ha generato i dissesti finanziari di oggi. E adesso questo modo di porsi diventerà ancora più incompatibile con l’approccio europeo e con le nuove regole dell’Unione.
Un’altra importante osservazione l’ha fatta la Ragioneria generale dello Stato, la struttura che controlla la tenuta del bilancio pubblico per conto del ministero dell’Economia. Secondo la Ragioneria, vista la maggiore importanza della voce di spesa primaria netta nella definizione del PSB, sarà fondamentale stabilire le priorità di spesa, così da accertarsi che questa vada a finanziarie attività produttive e con buone ricadute sul tessuto economico e sociale: ci si dovrà insomma chiedere con più scrupolo non tanto quanto spendere, ma per cosa spendere, per massimizzare il valore della spesa.
Mettere insieme il PSB sarà l’impegno più gravoso che il governo dovrà affrontare alla ripresa dei lavori. Secondo i piani dei leader di maggioranza, il Consiglio dei ministri dovrebbe approvarlo nella riunione che dovrebbe svolgersi il 5 settembre, basandosi su un documento su cui da tempo stanno lavorando funzionari del ministero dell’Economia e collaboratori della presidente del Consiglio. Poi sarà trasmesso immediatamente alle camere, che lo discuteranno in maniera parallela, seguendo la stessa procedura che veniva riservata al DEF: non, dunque, prima una camera e poi l’altra, ma le due camere contemporaneamente analizzeranno e voteranno il documento. Il PSB verrà assegnato alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, e dovrà essere approvato in via definitiva entro il 19 settembre, così da consentire al governo di inviarlo alla Commissione Europea in tempo utile per la scadenza prevista del 20 settembre.