Cosa dicono i sondaggi su Kamala Harris e Donald Trump
La prima ha rimontato sul secondo, sia nel voto nazionale che nei cosiddetti "swing state", gli stati in bilico: ma è ancora tutto aperto
La convention del Partito Democratico statunitense che si è chiusa giovedì ha portato grande entusiasmo e fiducia nell’elettorato che sostiene Kamala Harris: stato d’animo e prospettive sono notevolmente cambiate dal 21 luglio, da quando cioè Joe Biden aveva rinunciato a candidarsi per la rielezione. La campagna elettorale di Harris è partita molto bene, oltre le aspettative: ha raccolto tanti fondi e ha avuto un effetto praticamente immediato nei sondaggi. In meno di un mese Harris ha recuperato il notevole svantaggio che Joe Biden aveva accumulato, soprattutto per i diffusi timori sul suo stato di salute fisica e mentale.
Harris ha oggi un vantaggio chiaro su Trump, anche se non enorme e sicuramente non sufficiente per fare previsioni certe in vista del voto di novembre: le elezioni sono molto aperte e i due candidati hanno possibilità simili di vincerle, anche in ragione del sistema elettorale statunitense.
Il 21 luglio Trump aveva un vantaggio nel voto nazionale di circa 4 punti percentuali su Biden: 48,8 contro 44,8, secondo i principali aggregatori di sondaggi. Oggi è Harris a essere indicata in vantaggio: 47,1 contro 44,6. Negli Stati Uniti però il presidente non viene eletto direttamente dal voto popolare, ma attraverso i “grandi elettori” che vengono assegnati da ognuno dei 50 stati. Analizzando i dati dei singoli stati, la situazione resta ancora molto in bilico.
I grandi elettori sono in tutto 538. In estrema sintesi (qui la spiegazione estesa) per diventare presidente bisogna ottenerne la maggioranza assoluta, quindi 270. In molti degli stati esiste una maggioranza storicamente consolidata a favore dei Democratici o dei Repubblicani, per cui spesso le elezioni finiscono con l’essere decise da alcuni stati in bilico, definiti “swing state”.
Le elezioni si decideranno in sei-sette stati, dove le distanze fra i candidati sono all’interno dei margini di errore dei sondaggi. A questo va aggiunto che mancano ancora 70 giorni alle elezioni del 5 novembre (anche se in molti stati sarà possibile votare da molto prima): è un periodo piuttosto lungo, in cui possono succedere molte cose, in una campagna elettorale che ha già visto la condanna penale e il tentato omicidio di uno dei candidati e il cambio in corsa dell’aspirante presidente nell’altro partito.
Il fatto che la situazione sia al momento assai incerta è tutto sommato una buona notizia per Harris. Fino a un mese fa, infatti, Trump era dato in consistente vantaggio in tutti gli stati in bilico, ma non solo: sembrava potersela giocare anche in stati che in precedenza erano saldamente Democratici. Ora le cose stanno andando diversamente.
Analisti e sondaggisti dicono che Harris ha “guadagnato voti” in tutti i settori demografici dell’elettorato, con incrementi più evidenti fra i giovani, le donne e gli elettori non-bianchi. Gli elettori che si riconoscono come afroamericani e ispanici avevano sostenuto in alte percentuali Biden nel 2020, ma secondo i sondaggi pre-elettorali a questo giro sarebbero stati molto meno disposti a farlo, anche per la contemporanea aumentata popolarità di Trump soprattutto fra i latinos.
Gli stati contesi sono la Pennsylvania, stato del nord-est, quinto più popoloso degli Stati Uniti e il più pesante fra gli swing state in termini di grandi elettori (19); due stati del Midwest, il Wisconsin e il Michigan; e tre stati del Sud e dell’Ovest, Arizona, Nevada e Georgia. A questi potrebbe aggiungersi un quarto stato dell’Est, il North Carolina, anche se alcuni sondaggisti lo considerano saldamente Repubblicano.
In Arizona, Nevada e Georgia la componente dell’elettorato non-bianco è particolarmente rilevante: vincendo le elezioni in tutti e tre gli stati (senza perderne altri che le sono attualmente attribuiti), Harris arriverebbe ai 270 elettori necessari per l’elezione, anche se dovesse perdere la Pennsylvania. In due, Arizona e Nevada, ha un leggero vantaggio, mentre in Georgia Trump resta davanti. Nel 2020 Biden vinse in tutti e tre questi stati e anche negli altri tre oggi in bilico.
Secondo gli aggregatori di sondaggi il vantaggio più consistente è al momento quello Democratico in Wisconsin, superiore al 3 per cento.
Mettendo insieme i dati statali, facendo le medie fra i sondaggi e dando pesi diversi agli stessi in base alla loro affidabilità, gli analisti politici compongono dei modelli statistici di probabilità di vittoria alle elezioni. Tengono conto delle varie combinazioni possibili per arrivare ai 270 grandi elettori. Secondo i due più affidabili, quello dello statistico Nate Silver (Silver Bulletin) e quello dell’Economist, Harris ha rispettivamente il 53,5 e il 55 per cento di possibilità di vincere. Siamo insomma ancora in un contesto di sostanziale equilibrio, ma anche in una situazione molto diversa da quella di un mese fa: il 21 luglio il modello probabilistico dell’Economist attribuiva a Trump il 75 per cento di possibilità di vittoria.
Questi sondaggi non tengono ancora conto dei due eventi politici più rilevanti dell’ultima settimana, la convention dei Democratici e il ritiro della candidatura dell’indipendente Robert Kennedy Jr.
Il primo potrebbe dare un’ulteriore spinta ai sondaggi di Harris (storicamente le convention, molto raccontate dai media, hanno questo effetto), mentre il ritiro di Kennedy e il suo sostegno per Trump potrebbero aiutare i Repubblicani. I sondaggi attribuivano a Kennedy non più del 4 per cento dei voti prima del ritiro e gli analisti considerano che complessivamente i due eventi potrebbero non cambiare troppo le cose.
Mancano comunque più di due mesi di campagna elettorale, che sono parecchi: anche senza altri enormi colpi di scena, i comizi dei candidati saranno più frequenti, così come la diffusione di spot elettorali, e forse ci sarà almeno un confronto televisivo tra Harris e Trump (ma non è certo che si terrà).