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  • Lunedì 26 agosto 2024

In Australia il “diritto alla disconnessione” è legge

Permette ai dipendenti di non rispondere alle chiamate e alle mail dei loro datori di lavoro fuori dall'orario lavorativo, con qualche eccezione

(Ian Forsyth/Getty Images)
(Ian Forsyth/Getty Images)
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Lunedì in Australia è entrata in vigore una legge sul cosiddetto “diritto alla disconnessione”, ossia il diritto dei lavoratori dipendenti a non rispondere a chiamate o mail di lavoro fuori dal loro orario di ufficio. Ha l’obiettivo di ristabilire un confine fra vita lavorativa e vita privata dopo che negli scorsi anni, con la diffusione del lavoro da casa durante la pandemia e più in generale dell’utilizzo degli smartphone, sono aumentati i casi in cui i dipendenti vengono contattati dopo la fine del loro turno per svolgere mansioni per cui poi raramente sono pagati.

Negli ultimi anni l’uso di dispositivi digitali al lavoro per molte ore consecutive e il fatto che in diversi contesti questi abbiano dato la possibilità ai datori di lavoro di raggiungere i propri dipendenti in qualsiasi momento sono state considerate due ragioni importanti dietro a problemi come l’insonnia e i casi di burnout (una sindrome di esaurimento psicofisico ed emotivo in ambito lavorativo). Per questo motivo recentemente diversi paesi hanno emanato leggi o inserito clausole simili a quella australiana all’interno degli accordi di contrattazione collettiva.

In Australia la norma, inserita del Fair Work Act, ossia il principale corpo di leggi australiane che regolano i rapporti di lavoro, dà ai lavoratori un «diritto applicabile sul luogo di lavoro di rifiutare di monitorare, leggere o rispondere a contatti, o tentativi di contatto, da parte del loro datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro».

Si applica a partire dal 26 agosto a tutti i dipendenti pubblici e dall’agosto dell’anno prossimo anche a quelli che lavorano nelle piccole imprese, coprendo così la maggior parte dei lavoratori dipendenti australiani. In teoria li protegge da eventuali provvedimenti disciplinari e crea una base legale per difendersi in situazioni in cui un dipendente viene discriminato per aver deciso di non essere raggiungibile dopo la fine del suo turno.

Non tutti però sono convinti della sua efficacia: la legge infatti specifica che i dipendenti hanno il diritto di non rispondere «a meno che tale rifiuto non sia irragionevole».

I fattori da prendere in considerazione per valutare la ragionevolezza del contatto da parte del datore di lavoro sono diversi, fra cui principalmente: la natura e l’urgenza del motivo del contatto; il metodo di contatto (ad esempio una mail o una telefonata); se il dipendente verrà retribuito per il lavoro straordinario che dovrà svolgere; il livello di responsabilità del dipendente all’interno dell’organizzazione o dell’azienda; e le circostanze personali del dipendente.

Sono motivazioni che lasciano comunque molto spazio all’interpretazione e che in diversi contesti e a seconda dell’azienda possono assumere molteplici significati, non sempre a favore del dipendente.

In più, almeno all’inizio, ci potrebbero essere delle difficoltà riguardo alla misura in cui la legge viene applicata. Se un datore di lavoro contatta il proprio dipendente fuori dall’orario lavorativo in un modo che viene giudicato irragionevole, quest’ultimo deve presentare un reclamo formale. Qualsiasi controversia può essere poi portata davanti alla Fair Work Commission, l’organo che si occupa dell’applicazione del Fair Work Act, che può richiedere al datore di lavoro di smettere di contattare i propri dipendenti fuori dagli orari lavorativi. Se il comportamento continua, la commissione può applicare delle sanzioni amministrative.

Non è però scontato che questo meccanismo venga messo in moto dal dipendente a causa delle gerarchie lavorative, né che porti a un effettiva risoluzione della controversia.

Per ragioni opposte, i gruppi imprenditoriali e i partiti che fanno parte della Coalizione liberal-nazionale al parlamento australiano, di centrodestra, erano contrari all’emanazione della legge perché sostengono che crei «confusione e incertezza» e riduca la possibilità di avere accordi di lavoro flessibili nelle aziende. Altri sostengono che ci siano alcuni settori, come quello legale, che non sono adatti al diritto alla disconnessione.

Secondo diversi esperti però la legge ha innanzitutto l’effetto positivo di aver creato uno spazio per discutere di questi problemi e nel lungo termine potrebbe portare a una ridefinizione dei rapporti lavorativi. Secondo la professoressa Gabrielle Golding dell’università di Adelaide, che ne ha parlato con il Guardian, l’obiettivo finale dovrebbe essere quello di far comprendere che l’essere costantemente a disposizione del proprio datore di lavoro, rischiando che lo stress eccessivo e la pressione portino al burnout, ha un impatto complessivamente negativo sul lavoro e sulla produttività di un’azienda, e che la continua disponibilità non dovrebbe essere vista come uno dei fattori principali che aiutano a «fare carriera».