Non si può morire gratis
In Italia è praticamente impossibile evitare i costi delle pratiche burocratiche e della gestione della salma secondo le norme sanitarie
In una citatissima poesia di Totò, uno dei più grandi attori italiani del Novecento, la morte viene paragonata a «’na livella», lo strumento che usano i muratori per verificare che le superfici non siano in pendenza. Come la livella, Totò recitava che la morte è in grado di appiattire le differenze sociali, e che insomma – come si dice spesso – davanti alla morte siamo tutti uguali. ‘A livella venne scritta nel 1964, ma ancora oggi questo è vero per tutte le incombenze pratiche relative alla morte, come le lunghe procedure burocratiche e l’organizzazione del funerale. Nel senso che queste incombenze valgono per tutti, e restano a carico di chi resta. Tutto ciò presenta una serie di costi difficilmente evitabili e che a prescindere dal tipo di rito scelto pesano in modo molto diverso su chi deve sostenerli: ci sono delle spese fisse che chiunque deve affrontare, anche chi non potrebbe permetterselo.
Del fatto che in Italia non ci sia modo di evitare le spese per il funerale si è parlato di recente in una conversazione sul social network Reddit, in cui alcuni utenti hanno proprio cercato di capire se e come in Italia sia possibile “morire gratis”. Un funerale infatti può arrivare a costare diverse migliaia di euro, tra cerimonia, sepoltura o cremazione: un funerale classico può costare tra i 2mila e i 3mila euro. Questo c’entra solo in parte con il fatto che tradizionalmente in Italia i funerali si fanno sempre in un certo modo: si allestisce una camera ardente, si comprano i fiori, si fanno locandine funebri, c’è poi una cerimonia, religiosa o laica, e infine la processione al cimitero e la sepoltura. In questi casi è imprescindibile il servizio di un’impresa funebre, che si fa carico non solo delle incombenze burocratiche, come quelle legate alla comunicazione della morte alle autorità e alle amministrazioni pubbliche, ma anche di quelle logistiche relative alla cerimonia e al trasporto della salma. Da tutto ciò sono esclusi i costi dei diritti cimiteriali, cioè quelli per poter usare uno spazio del cimitero comunale, o quelli per la cremazione.
Ma questo è solo uno dei modi possibili di gestire la morte, per così dire: gran parte di tutto questo non è obbligatorio per legge. Non è obbligatorio neanche rivolgersi a un’impresa funebre, sebbene sembri la cosa più semplice da fare in questi casi, anche perché solleva chi resta da alcune scocciature in un momento emotivamente complicato.
Per legge sono obbligatori solo il disbrigo delle pratiche burocratiche e la gestione della salma nel rispetto delle norme sanitarie. Tutto il resto è opzionale. Ma anche chi volesse ridurre al minimo le funzioni – per le ragioni più varie, da quelle economiche al rispetto delle volontà di chi è morto – si renderebbe comunque presto conto che anche provvedendo ai requisiti minimi di legge si incorre in spese onerose. Capirebbe che in un modo o nell’altro dovrà comunque avere a che fare con un’impresa funebre, o che dovrà comprare una bara anche se si sceglie la cremazione, per esempio.
Delle carte ci si può occupare anche in autonomia, senza coinvolgere un’impresa di pompe funebri: se la morte è avvenuta in ospedale la direzione sanitaria può offrire un’assistenza utile e occuparsi di gran parte delle pratiche in poco tempo, mentre se è avvenuta in casa si rischia di andare per le lunghe.
In Italia esiste però un problema soprattutto all’interno delle strutture di cura, dove avviene la maggioranza delle morti. La legge vieta espressamente alle imprese funebri di proporre i servizi al loro interno e vieta anche l’attività di intermediazione (come un infermiere o un medico che consigliano questa o quella impresa). Ciononostante molte imprese funebri trovano ancora il modo di avere contatti tra il personale dell’ospedale, ed è frequente sentire di persone a cui non solo sono stati suggeriti nomi di imprese, ma a cui sono stati anche imposti i servizi funebri.
Questo è contro la legge ed «è una criticità che sussiste da tantissimo tempo», dice Alessandro Bosi, segretario generale della Federazione Nazionale Imprese Onoranze Funebri. Il problema si è probabilmente accentuato con la liberalizzazione del settore, avvenuta negli anni Novanta: da allora si è passati da 3mila a più di 7mila imprese funebri in Italia, ed «è ragionevole pensare che in questa vasta moltitudine di operatori ci siano anche coloro che operano in un modo particolarmente aggressivo» per sbaragliare la concorrenza. Bosi segnala anche che con ogni probabilità nei casi in cui qualcuno del personale segnala un’impresa è perché ha un suo tornaconto, come una percentuale sui guadagni, e quindi è persino probabile che i prezzi dei servizi siano maggiorati.
Tuttavia «il servizio di onoranze funebri è opzionale fino a un certo punto», dice Bosi. Se è vero che dei documenti ci si può occupare da soli, c’è però la questione della gestione della salma. Secondo quanto stabilisce la legge solo personale autorizzato può trasportare la salma, e deve farlo rispettando alcune regole: il trasporto deve avvenire su mezzi idonei, come il carro funebre e il furgone funebre, e la salma deve trovarsi all’interno di una bara di metallo saldata, che si trova a sua volta dentro una di legno chiusa.
– Leggi anche: Come si fanno i carri funebri
Questo processo è regolato e autorizzato dai comuni, a cui si può rivolgere l’impresa funebre, se delegata, o direttamente i parenti della persona morta. Anche se si vuole fare tutto da soli, il comune chiederà comunque il pagamento di alcuni oneri per provvedere. Ci sono le marche da bollo per i documenti, e poi il pagamento del permesso di trasporto, cioè l’autorizzazione per trasportare la salma al cimitero o al servizio di cremazione. Hanno un costo che varia da comune a comune, e le differenze sono anche significative: vanno da circa 50 a 280 euro, dice Bosi, senza un apparente criterio che ne spieghi le differenze.
C’è poi il costo dei servizi, per i quali il comune nella maggior parte dei casi si rivolge comunque alle imprese funebri convenzionate: c’è il pagamento della bara, del trasporto, del servizio di cremazione o dei diritti cimiteriali, cioè quelli per il posto al cimitero. La scelta della cremazione o della sepoltura comporta diversi tipi di costi: la cremazione ha un costo compreso tra i 600 e i 700 euro, mentre la sepoltura al cimitero, a terra o nei loculi, comporta il pagamento dei diritti cimiteriali. Questi ultimi variano da comune a comune, ma sono quasi sempre nell’ordine delle migliaia di euro: cambiano a seconda del periodo di scelta, se 10 o 30 anni, della destinazione, se loculo o in terra, e della posizione. Sono spese non evitabili, se non ci si vuole fare cremare: non si può decidere di seppellire un parente nel giardino di casa propria, per esempio.
Proprio perché andare al cimitero è molto oneroso, recentemente è diventata molto più comune di un tempo la cremazione. Oggi è scelta all’incirca in un terzo dei casi, secondo Bosi, perché sebbene comporti un costo iniziale poi solleva dal pagamento dei diritti cimiteriali. Delle ceneri poi si può disporre come si vuole, sempre dietro autorizzazione del comune e pagamento del permesso. Si possono decidere di spargere in spazi appositi del cimitero, di solito aree verdi, o in altri luoghi, come in campagna, o al mare, sempre rispettando certe regole, come la distanza dalle case o dalla riva, e con un’autorizzazione del comune dietro pagamento. Anche in questo caso i costi cambiano a seconda del comune: per esempio a Milano costa 32,29 euro ottenere il permesso per disperderle in natura e 117,97 euro nei cimiteri comunali, più una marca da bollo da 16 euro in entrambi i casi.
Ricapitolando, se anche si decide di provvedere ai soli adempimenti previsti dalla legge, questi possono arrivare a costare parecchio. Per esempio, nel caso in cui per una persona morta nel comune di Milano si scegliesse per una cremazione con ceneri sparse in natura e senza funerale, tra tutto si pagherebbe all’incirca mille euro.
Sono costi che restano a carico dei familiari della persona morta, tranne che in due casi.
Il primo riguarda i funerali delle persone indigenti o seguite dai servizi sociali. I comuni stanziano ogni anno nei loro bilanci dei fondi per provvedere ai cosiddetti “funerali di povertà” per le prime, o “funerali sociali” per le seconde. Del costo dei funerali di povertà si fa carico interamente il comune, di quello dei funerali sociali il comune ne sostiene solo una parte.
Il secondo caso ha a che vedere con una particolare volontà di chi è morto, cioè donare il proprio corpo alla ricerca scientifica, una possibilità che esiste solo dal 2020. In questo caso il corpo donato sarà comunque restituito alla famiglia entro un anno (in condizioni dignitose) e tutti gli adempimenti sono a carico del centro di ricerca, che si occuperà quindi del trasporto della salma, delle spese per la sepoltura al cimitero o della cremazione: in sostanza di tutti gli adempimenti minimi di legge.
La decisione di donare il corpo alla ricerca non spetta ai familiari della persona morta, ma deve essere stata presa quando questa era in vita. Secondo la legge deve essere espressamente prevista all’interno delle disposizioni anticipate di trattamento, più note come testamento biologico, o con un apposito modulo di consenso: in entrambi i casi il documento deve essere depositato gratuitamente presso l’Ufficio di Stato civile del comune di residenza o presso un notaio.
Infine è necessario indicare anche un cosiddetto “fiduciario”, una persona che si faccia carico di far rispettare la volontà di donare il proprio corpo alla ricerca. È una condizione imprescindibile, perché è proprio il fiduciario che dovrà segnalare ai medici questa volontà. L’Associazione Luca Coscioni, molto attiva sui temi della fine della vita, suggerisce anche di informare le università che potrebbero ricevere il corpo. Finora segnala che sono stati identificati 11 centri di ricerca su tutto il territorio nazionale.
– Leggi anche: Come si fa il testamento biologico