Una decisione molto difficile per la NASA
L'agenzia spaziale ha poco tempo per decidere se fidarsi o meno della capsula Starliner per riportare sani e salvi sulla Terra due suoi astronauti, dopo vari malfunzionamenti
di Emanuele Menietti
Lo scorso 5 giugno due astronauti della NASA sono partiti verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per una missione che sarebbe dovuta durare poco più di una settimana: nonostante di giorni ne siano passati quasi 80, non sono ancora tornati sulla Terra.
Starliner, la capsula di Boeing che li aveva trasportati oltre l’atmosfera terrestre, ha avuto alcuni problemi tecnici e da più di due mesi la NASA si chiede se sia sicura a sufficienza per riportare indietro i suoi due astronauti. Dopo numerosi rinvii e tentennamenti, in una riunione in programma per sabato 24 agosto i responsabili dell’agenzia spaziale dovranno concordare un piano di recupero: una delle decisioni più difficili sulla sicurezza dei sistemi di trasporto per astronauti dal tempo degli Shuttle.
Il lancio di Starliner a inizio giugno era andato secondo i piani, ma prima che la capsula raggiungesse la ISS erano emersi problemi ai sistemi di manovra. Cinque dei 28 propulsori utilizzati per orientare la capsula e regolare la sua rotta avevano smesso di funzionare, richiedendo alcune attività aggiuntive per rendere possibile l’attracco con la Stazione a circa 400 chilometri di altitudine.
Per Starliner era il primo volo con astronauti a bordo – Butch Wilmore e Suni Williams – dopo anni di prove e ritardi sulle consegne costati finora a Boeing e alla NASA circa 6,7 miliardi di dollari. Il test, che formalmente è ancora in corso, era fondamentale per dimostrare l’affidabilità e la sicurezza di Starliner nell’ambito del programma della NASA per affidare i viaggi verso la ISS ai privati, come già fatto in precedenza e con successo con SpaceX, la società spaziale di Elon Musk.
Dopo l’arrivo di Wilmore e Williams sulla ISS, i tecnici avevano provato a capire le cause del malfunzionamento dei propulsori. Per farlo, avevano effettuato alcuni test qui sulla Terra identificando un potenziale problema nella parte in Teflon (il materiale plastico che rende antiaderenti le padelle) delle valvole dei propulsori, che al passaggio del propellente si era deformata lievemente impedendo al propellente stesso di fluire nelle giuste quantità. Analisi svolte in seguito hanno però portato a mettere in dubbio quelle valutazioni: il Teflon una volta deformato difficilmente recupera la forma iniziale, eppure test svolti in orbita hanno mostrato che ora i propulsori sembrano funzionare normalmente. Il sospetto è che sia qualcos’altro che occlude temporaneamente le valvole e che il problema possa ripresentarsi nelle fasi di rientro di Starliner, con esiti che potrebbero essere catastrofici nel caso in cui un propulsore otturato causasse un’esplosione.
Le incertezze sulle effettive cause del malfunzionamento dei propulsori hanno portato a un lungo confronto tra i tecnici di Boeing e della NASA, che continua ancora oggi e che ha determinato la prolungata permanenza di Williams e Wilmore sulla ISS. Sulla Stazione ci sono risorse più che sufficienti per provvedere ai due ospiti aggiuntivi, ma se dovessero rimanere ancora a lungo ci potrebbero essere conseguenze su altre missioni, perché i posti sulla ISS sono comunque limitati.
Alcune conseguenze sulle attività in orbita ci sono del resto già state. Nelle settimane dopo il lancio di Starliner, la NASA ha rinviato di almeno un mese il lancio della prossima missione con astronauti verso la ISS e gestita da SpaceX. La partenza non avverrà prima del 24 settembre, ma i tempi sono comunque stretti: SpaceX deve sapere a breve se dovrà inviare quattro astronauti come inizialmente previsto o solamente due, in modo da poter accogliere nel viaggio di ritorno Williams e Wilmore. La necessità di saperlo con un certo anticipo deriva dai tempi che occorrono per configurare la capsula da trasporto Crew Dragon in base al numero di occupanti. La NASA dovrà quindi decidere che cosa fare entro pochi giorni e non sarà una scelta semplice.
Nel caso in cui la decisione sia di non far rientrare Williams e Wilmore con Starliner, i due astronauti dovranno rimanere sulla ISS fino al prossimo febbraio, quando potranno effettuare il viaggio di ritorno con una capsula Crew Dragon. In questo scenario Williams e Wilmore rimarrebbero quindi a bordo della Stazione per otto mesi, una notevole estensione per una missione che sarebbe dovuta durare otto giorni. Prima dell’arrivo di Crew Dragon a fine settembre, Starliner dovrà comunque lasciare la ISS in modo da liberare lo spazio di attracco per la capsula di SpaceX. Starliner dovrebbe quindi essere configurata per effettuare un rientro in automatico sulla Terra, senza equipaggio a bordo, altra attività che richiede tempo e che rende necessaria al più presto una decisione da parte della NASA.
La scelta finale dovrebbe spettare a Kenneth Bowersox, a capo della divisione dell’agenzia spaziale che si occupa delle operazioni di volo. Ex astronauta, nel 2003 Bowersox si trovava sulla Stazione Spaziale Internazionale quando avvenne il disastro dello Space Shuttle Columbia, che si disintegrò al proprio rientro nell’atmosfera terrestre determinando la morte delle sette persone a bordo, come ha ricordato Stephen Clark su Ars Technica. All’epoca erano stati sottostimati i danni causati allo scudo termico dello Shuttle da un detrito nella fase di lancio, una sottovalutazione che influì fortemente sul programma spaziale statunitense e sui criteri di sicurezza adottati dalla NASA da allora.
Bowersox deciderà basandosi sulle informazioni e sui pareri forniti dai gruppi di lavoro che si occupano della revisione dei voli spaziali, della sicurezza, delle missioni spaziali e si consulterà anche con i rappresentanti degli astronauti. Nel caso in cui dovessero emergere pareri discordanti, la decisione finale potrebbe essere affidata a Bill Nelson, l’amministratore della NASA (a sua volta ex astronauta). Lo stesso Nelson di recente ha cercato a suo modo di rassicurare sul processo decisionale: «Sono fiducioso, soprattutto perché spetta a me la decisione finale».
Le persone che insieme a Bowersox dovranno decidere che cosa fare lavoravano già tutte alla NASA ai tempi del disastro del Columbia, cosa che secondo diversi esperti influirà sulle scelte dei prossimi giorni. I responsabili di Starliner, che dipendono da Boeing e con forti interessi nella decisione, hanno mostrato di essere un poco più propensi al rischio, ribadendo comunque che la sicurezza degli astronauti è prioritaria e che la scelta finale spetta ai responsabili della NASA.
L’attuale direttore di missione di Starliner per conto di Boeing, LeRoy Cain, era direttore di volo quando il Columbia si disintegrò nel corso del suo rientro nell’atmosfera. All’epoca lavorava nel centro di controllo del Johnson Space Center della NASA e assistette in tempo reale all’incidente, ricevendo aggiornamenti sui sensori dello Shuttle che stavano rilevando vari cedimenti strutturali nella sua ala sinistra, che avrebbero poi portato alla distruzione dell’astronave. Ancora prima del lancio di Starliner, quando erano emersi altri problemi tecnici, Cain aveva promesso di non far partire la capsula fino a quando non fosse stata pronta.
Proprio per il coinvolgimento di persone come Bowersox e Cain, nelle ultime settimane sono stati effettuati numerosi paralleli tra Columbia e Starliner, anche se le due astronavi hanno caratteristiche e storie molto diverse. Nel 2003 i danni effettivamente subiti dal Columbia al lancio non erano completamente chiari e, con le conoscenze dell’epoca, l’astronave sembrava avere tutti i requisiti per effettuare un rientro; non c’erano inoltre molte alternative e possibilità di studiare piani di recupero degli astronauti con altri mezzi. I problemi di Starliner sono invece ampiamente noti e si aggiungono a quelli emersi nella lunga fase di sviluppo, che ha richiesto molti più anni del previsto.
La maggiore frequenza dei lanci spaziali con astronauti necessaria per gli avvicendamenti degli equipaggi sulla ISS hanno portato in questi anni a una percezione delle attività spaziali routinaria, al punto da essere per alcuni quasi scontato il fatto che ci siano esseri umani che superano l’atmosfera terrestre e vivono per alcuni mesi in orbita. In realtà raggiungere l’orbita è ancora oggi una delle attività più rischiose che si possano fare: gli astronauti e le astronaute ne sono consapevoli e sanno che i rischi fanno parte del loro mestiere e che le agenzie spaziali fanno il possibile per ridurli.
Questo spiega le grandi precauzioni e i frequenti rinvii dei lanci spaziali con equipaggi, ma anche le cautele che la NASA sta mantenendo su Starliner, nonostante i ritardi e la prospettiva di dover rivedere alcuni piani non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo.
Se Starliner dovesse tornare sulla Terra senza equipaggio, potrebbe rendersi necessario un nuovo volo sperimentale per certificare la capsula spaziale per le missioni con esseri umani. I tempi si allungherebbero ulteriormente e Boeing potrebbe non essere in grado di garantire i sei lanci previsti da contratto entro il 2030, anno in cui la ISS smetterà di essere utilizzata. Per Boeing sarebbe inoltre un ulteriore danno di immagine, dopo quelli legati ai problemi di sicurezza emersi con alcuni dei propri aeroplani negli anni scorsi e che hanno fatto mettere in dubbio in generale l’affidabilità dell’azienda in termini di sicurezza.
A prescindere dalla scelta di sabato della NASA, Boeing ha comunque perso la propria corsa allo Spazio con SpaceX. Dopo il pensionamento degli Shuttle nel 2011, nel 2014 la NASA affidò alle due aziende il compito di trasportare gli equipaggi in orbita, con un finanziamento di 2,6 miliardi di dollari per SpaceX e di 4,2 miliardi di dollari per Boeing. Mentre quest’ultima non ha ancora completato un volo di test, SpaceX in quattro anni ha inviato 11 equipaggi verso la ISS e si prepara per la dodicesima missione.