Il discorso patriottico di Kamala Harris
La candidata dei Democratici ha chiuso la convention di Chicago allineando la propria storia a quella del paese che vuole governare
di Francesco Costa
La convention del Partito Democratico statunitense si è conclusa giovedì sera a Chicago con il discorso finale di Kamala Harris, vicepresidente uscente e prima donna nera candidata alla presidenza degli Stati Uniti. Al termine di una giornata costruita attorno al tema della sicurezza – dalle armi da fuoco ma anche dalla criminalità e dalle minacce esterne – Harris si è presentata come una leader forte che proteggerà le libertà degli americani e che incarna i valori della nazione.
Harris non è un’outsider, ma era finita in un cono d’ombra durante i quattro anni da vicepresidente, soprattutto per i vincoli imposti dall’incarico. Da quando è candidata la sua popolarità è cresciuta moltissimo così come il suo margine di manovra in politica, e ha usato quindi questo discorso con la sua vasta attenzione mediatica e popolare per ripresentarsi al paese che intende guidare, dando per scontato che molti americani si stiano facendo una vera idea su di lei solo in queste settimane.
La sua prima esigenza, infatti, era mettere la novità radicale della sua candidatura – donna, nera, immigrata di seconda generazione – nel contesto più ampio della storia del paese, descrivendola quindi implicitamente come naturale.
«America, la strada che mi ha portato qui nelle ultime settimane è stata senza dubbio inaspettata. Ma non sono nuova ai viaggi improbabili. Mia madre aveva 19 anni attraversò il mondo da sola, dall’India alla California, col sogno di fare la scienziata per studiare il cancro. Quando completò i suoi studi, sarebbe dovuta tornare a casa dove la aspettava un matrimonio combinato»
Invece la madre restò negli Stati Uniti, sposò un ricercatore giamaicano che aveva conosciuto militando nel movimento per i diritti civili degli afroamericani, e da quel matrimonio nacquero lei e la sorella Maya. Harris ha enfatizzato la sua appartenenza alla classe media e anche il fatto che, dopo il divorzio dei genitori, fu cresciuta non solo dalla madre ma dalla più ampia comunità dei quartieri popolari di Oakland, in California, dove viveva in affitto.
Nella seconda parte del discorso ha raccontato invece la sua carriera da procuratrice, spiegando quindi anche l’origine di uno dei suoi slogan, “Kamala for the people”. All’inizio di un processo sia i procuratori che gli avvocati dichiarano chi stanno difendendo, e nel caso dei procuratori – cioè la pubblica accusa – difendono la popolazione, non la vittima del presunto reato. «Nel nostro sistema della giustizia, un torto inflitto a una persona è un torto inflitto a tutti. Per tutta la mia vita ho avuto un solo cliente: the people, le persone».
L’intera giornata di lavori che ha preceduto il discorso di Harris, d’altra parte, era stata costruita attorno al tema della sicurezza della nazione e delle persone, con tanto di sceriffi in divisa ed ex militari sul palco, nel tentativo di presentare la candidata dei Democratici innanzitutto come una leader forte (consapevoli che le donne in politica sono spesso accusate di essere «deboli», soprattutto se appartengono al Partito Democratico).
Harris ha abbracciato quindi la sua carriera da procuratrice, che alle primarie di quattro anni fa aveva messo molto in secondo piano nel timore di perdere consensi a sinistra. E questo l’ha portata a discutere del suo avversario, con uno dei passaggi più incisivi del discorso: «Donald Trump non è una persona seria. Ma le conseguenze di rimettere Donald Trump alla Casa Bianca sono estremamente serie».
In un clima forse persino troppo euforico, che trasformava quasi ogni frase del discorso in un coro da stadio, anche quelle che avrebbero richiesto qualche solennità in più, Harris ha detto che Trump «ha sempre avuto un solo cliente, se stesso» e ha promesso di difendere la libertà delle persone, tema centrale della sua campagna, legato soprattutto ma non solo ai diritti riproduttivi e alla necessità di ripristinare il diritto di interrompere una gravidanza, abolito dalla Corte Suprema nel 2022.
«Potete star certi che metterò sempre il paese davanti al partito e a me stessa. Che mi aggrapperò ai più sacri e fondamentali principi del nostro paese. Lo stato di diritto. Le libere elezioni. Il trasferimento pacifico del potere. Sarò una presidente che unisce le persone attorno alle loro più alte aspirazioni. Che guida e che ascolta. Che è realistica. Pratica. Che ha buon senso»
Harris ha poi accusato Trump di voler introdurre una nuova «tassa nazionale sugli acquisti» – un’espressione che ha adottato da qualche tempo per descrivere le conseguenze dei dazi che propone – e ha promesso di «mettere al sicuro il confine» in un modo che sia «all’altezza della storia orgogliosa di una nazione di immigrati». Poi è arrivata alla politica estera, e quindi a uno dei passaggi più attesi: quello su Israele e Palestina.
«Stiamo lavorando giorno e notte per arrivare ora alla liberazione degli ostaggi e al cessate il fuoco. Voglio essere chiara: difenderò sempre il diritto di Israele di esistere e mi assicurerò che Israele abbia la capacità di difendersi. Perché quel popolo non debba mai più affrontare l’orrore che Hamas ha causato il 7 ottobre, le violenze sessuali indicibili, il massacro dei giovani che erano andati a vedere un festival.
Allo stesso tempo, quello che è successo a Gaza negli ultimi dieci mesi è devastante. Così tante vittime innocenti. Persone disperate, affamate, costantemente in fuga. La dimensione della sofferenza è lancinante. Vogliamo che questa guerra finisca. Che Israele sia sicuro. Che gli ostaggi vengano liberati. Che le sofferenze a Gaza finiscano. Che il popolo palestinese realizzi il suo diritto alla libertà, alla sicurezza e all’autodeterminazione»
Di nuovo, Harris ha approfittato del passaggio sulla politica estera per presentarsi come una leader forte ed esibire il suo patriottismo. «Non esiterò mai a ordinare qualsiasi azione necessaria a difendere le nostre forze armate e i nostri interessi contro l’Iran e i terroristi che sostiene. E non sarò amichevole con i dittatori come Kim Jong Un, che fanno il tifo per Trump perché sanno che possono manipolarlo. Che non gli chiederà conto di nulla, perché vorrebbe fare il dittatore anche lui».
Anche il finale del discorso è stato molto alto e ottimista, legando passato e presente degli Stati Uniti, la storia personale di Harris e la storia più ampia del paese; un altro tentativo di sottrarre ai Repubblicani uno dei loro temi più forti, il patriottismo, oltre alla libertà.
«America, mostriamoci l’un l’altro e mostriamo al mondo chi siamo. E da che parte stiamo. Libertà. Opportunità. Compassione. Dignità. Giustizia. E infinite possibilità. Siamo gli eredi della più grande democrazia nella storia del mondo. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti, e a chi ha sacrificato così tanto per la democrazia e la libertà: dobbiamo essere all’altezza di questo momento.
Ora tocca a noi fare quello che hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto. Batterci per gli ideali in cui crediamo. Assumerci le responsabilità che arrivano con il più grande privilegio sulla Terra. Il privilegio e l’orgoglio di essere americani. Quindi usciamo da qui e battiamoci. Usciamo da qui e votiamo. E scriviamo insieme il prossimo capitolo della storia più straordinaria di sempre»
Gli americani non si aspettano da questi discorsi grandi dettagli su programmi e progetti, ma una descrizione dei valori della persona candidata e del tipo di paese che vuole immaginare e costruire. Harris ha fatto un discorso obamiano, per certi versi, senza mai indugiare su quanto sarebbe storica una sua vittoria – la cosa è già chiara a tutti – ma descrivendo la posta in palio come collettiva invece che individuale, e la sua elezione come il logico passo successivo della vicenda nazionale statunitense (lo slogan più citato da lei e dalla platea durante questi giorni: «we’re not going back», non torneremo indietro).
Il tempo dei dettagli arriverà presto, perché tra meno di 20 giorni arriverà il primo e probabilmente unico confronto televisivo fra Harris e Donald Trump, che ha pubblicato decine di messaggi sconnessi sui social media durante il discorso della sua avversaria. La fine delle convention segna storicamente l’inizio dell’ultima fase della campagna elettorale; le elezioni si terranno il 5 novembre, ma in molti stati sarà possibile iniziare a votare già fra poche settimane.