Il granchio blu è ancora un problema enorme nel delta del Po

Continua a proliferare e ha fatto chiudere molti allevamenti di vongole e altri molluschi, senza che siano state individuate soluzioni chiare

Un granchio blu tenuto in mano da uno chef
Un granchio blu al ristorante Berton di Milano, il 17 gennaio 2024 (Alessandro Bremec/LaPresse)
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Dall’estate scorsa, quando l’attenzione pubblica sugli effetti della proliferazione dei granchi blu nel delta del Po era molto alta e il problema era assai discusso sui media italiani, la situazione nelle lagune lungo le coste del Nord-Est non è molto cambiata. Ma se nel 2023 c’erano tanti allevamenti di vongole e altri molluschi che stavano subendo grosse perdite a causa della voracità dei granchi e della loro abbondanza, quest’anno sono meno: perché molti nel frattempo hanno dovuto interrompere le proprie attività, proprio per la presenza del crostaceo originario dell’oceano Atlantico, che ormai è diffuso lungo tutte le coste italiane.

I danni causati dai granchi blu sono stati tantissimi: Coldiretti Pesca ha stimato che siano superiori a 100 milioni di euro. Riguardano un settore importante, dato che l’Italia è uno dei principali paesi produttori di vongole e cozze dell’Unione Europea, e in cui lavorano migliaia di persone. Il 6 agosto il governo ha nominato un commissario straordinario per affrontare il problema. Enrico Caterino, ex prefetto di Rovigo e Ravenna, avrà questo incarico fino al 31 dicembre 2026 e dovrà organizzare un piano per cercare di contenere la presenza dei granchi e far ripartire il settore della molluschicoltura in Veneto, nella provincia emiliana di Ferrara e in parte del Friuli Venezia Giulia.

I granchi blu non sono comparsi in Italia l’anno scorso. In numeri ridotti erano stati osservati lungo le coste italiane fin dal 1948 e già da due o tre anni i pescatori delle lagune venete avevano notato una loro maggiore presenza. Poi l’anno scorso c’è stato un grosso aumento della popolazione. Da allora il settore degli allevamenti di molluschi si è in buona parte fermato: nella Sacca di Scardovari, una laguna in provincia di Rovigo, le aziende avevano sospeso le attività dopo che tra il gennaio del 2023 e il gennaio del 2024 la produzione di molluschi era diminuita del 96,9 per cento. Anche a Goro, in provincia di Ferrara, alcune cooperative di pescatori hanno interrotto le attività e quelle che proseguono non arrivano al 30 per cento della produzione degli anni passati.

In alcune zone lagunari vicine all’Adriatico, come Comacchio, sempre in provincia di Ferrara, la molluschicoltura al momento non si può proprio praticare e non si sa quando potrà riprendere. In altre aree, tra cui la stessa Sacca di Scardovari, si sta provando a far crescere le vongole utilizzando dei sistemi di difesa contro i granchi, ma non si sa ancora quanto saranno efficaci.

Non si ha ancora un’idea precisa di quanto siano diffusi i granchi blu rispetto al 2023 e di quali siano stati gli effetti delle attività di pesca di questi animali portate avanti nell’ultimo anno per contenerne la diffusione. Uno degli obiettivi di Caterino è proprio coordinare gli studi in corso per riuscire a fare delle stime, che poi saranno il punto di partenza per decidere le strategie da adottare.

«Non abbiamo ancora a disposizione dati aggiornati su scala nazionale, ma abbiamo osservato che la presenza del granchio resta consistente nel Polesine e dove ci sono ancora attività di molluschicoltura continua a predare», dice Saša Raicevich, ricercatore che si occupa dei temi legati alla sostenibilità della pesca nell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e collabora con il commissario straordinario. «Ci sono stati fenomeni locali di morìe lungo le coste del Polesine, su cui si sta indagando, ma comunque non molto significativi per l’effetto sulle popolazioni».

Finora si è tentato di contrastare la presenza dei granchi blu e i danni al settore della molluschicoltura in due modi un po’ improvvisati, per far fronte alla situazione imprevista dell’anno scorso: proteggendo gli allevamenti con delle reti e pescando i granchi. Nessuna delle due strategie, né la loro combinazione, è stata per il momento risolutiva.

Le reti di protezione infatti non si possono usare in tutti i contesti: si possono installare solo dove i fondali non sono molto profondi e dove le stesse reti non riducono il flusso dell’acqua in maniera eccessiva, perché in tal caso ai molluschi non arriverebbe abbastanza ossigeno e potrebbero essere danneggiati o morire. A Comacchio ad esempio le reti non si possono usare perché lì l’acquacoltura si pratica in canali con profondità di 4 o 5 metri, ha spiegato il sindaco Pierluigi Negri durante una riunione con Caterino il 21 agosto a Ferrara. Anche nei posti in cui invece le reti si possono usare, comunque non si sa quanto siano effettivamente efficaci. I granchi blu sono noti per la forza delle loro chele, grazie alla quale sono in grado di rompere le comuni reti da pesca.

Il problema della pesca del granchio blu è che è un’attività in perdita. Sebbene i granchi blu siano commestibili e abbiano un buon sapore, e per quanto nell’ultimo anno siano stati commercializzati e promossi come alimento anche da chef famosi, proprio per rendere la loro pesca economicamente sostenibile, la domanda non è ancora sufficiente. Potrebbe anzi essere diminuita: secondo i dati di Legacoop, nei primi sei mesi del 2024 sono stati venduti quasi 44mila chili di granchio blu, contro i 510mila venduti negli ultimi sei mesi del 2023, quando si parlava molto di più dei problemi causati da questi animali.

La carne dei granchi blu è molto popolare in altri paesi, come gli Stati Uniti e la Corea del Sud, ma organizzare le esportazioni ha delle complessità ulteriori, per quanto alcuni tentativi si siano fatti.

Molti dei granchi che vengono pescati peraltro non hanno dimensioni adatte per la vendita e il consumo: secondo le osservazioni empiriche dei pescatori note a Raicevich, ora solo il 5-10 per cento ha le dimensioni giuste. «In alcune lagune», aggiunge lo scienziato dell’ISPRA, «la taglia media sarebbe più piccola rispetto a quella dell’anno scorso: potrebbe essere proprio un effetto della pesca selettiva interessata agli animali più grandi». In ogni caso i costi per smaltire i resti dei granchi invenduti devono essere sostenuti dagli stessi pescatori, cosa che rende ancora meno sostenibile la pesca di contenimento, cioè quella mirata principalmente a ridurre il numero di granchi in circolazione.

C’è bisogno di tempo sia per strutturare un vero e proprio mercato attorno alla pesca dei granchi blu, per esempio creando degli impianti dove gli individui più piccoli catturati possano essere fatti crescere, sia per far ripartire la molluschicoltura.

Si è anche parlato della possibilità di sfruttare dei predatori dei granchi per contenerne la popolazione, ma è un tema su cui per ora è prematuro fare delle valutazioni. «Sicuramente non si può fare affidamento a specie che non siano già presenti nell’ambiente delle lagune», precisa Raicevich, per chiarire che non si sta pensando all’introduzione di animali estranei. Eventualmente si potranno ideare delle strategie per favorire animali autoctoni che si possono considerare predatori “naturali” del granchio blu perché si nutrono di specie simili, come il branzino o ancora di più l’anguilla. Quest’ultima specie soffre da tempo di un grave declino: se si trovasse il modo di favorirne il ritorno nelle lagune del Nord-Est, si limiterebbe anche la proliferazione del granchio blu.

In tal caso si parlerebbe di “rinaturalizzazione”. L’attuale carenza di predatori nelle lagune è dovuta al fatto che si tratta di ambienti notevolmente modificati dalle attività umane, e per questo con biodiversità limitate. In contesti di questo tipo è più facile che una specie alloctona possa proliferare in maniera anomala come è successo con il granchio blu. In ogni caso, aggiunge Raicevich, una possibile soluzione all’attuale disequilibrio si otterrà con «un insieme di azioni», che dovrà essere deciso dal commissario Caterino.

Per il momento si stanno mettendo insieme tutte le osservazioni e i dati disponibili sulla presenza e i comportamenti dei granchi blu, e coordinando il monitoraggio della popolazione, per capire meglio come si può intervenire in modo efficace.

«Una delle cose che rendono un po’ complessa la gestione dei granchi blu», spiega ancora Raicevich, «è legata al suo ciclo vitale, che stiamo ancora studiando. Sappiamo che in primavera le femmine escono dalle lagune costiere, vanno in mare e depongono le uova. Sappiamo che c’è una segregazione spaziale tra maschi e femmine, e tra adulti e giovani, e sappiamo che sono più attivi in primavera, mentre d’inverno e d’autunno sono meno mobili: sono cose che vanno studiate nel dettaglio, insieme all’effetto della pesca sul contenimento della popolazione, per poi programmare le strategie».

L’obiettivo non è eradicare la specie: sarebbe impossibile, dato che ormai i granchi blu sono diffusi ampiamente nel mar Mediterraneo. Piuttosto si punta a raggiungere «una forma di adattamento, di convivenza, che tuteli le attività ittiche, la molluschicoltura e le fonti di reddito, e quindi che permetta di contenere la specie in qualche modo», conclude Raicevich. In Tunisia una proliferazione di una specie simile al granchio blu è stata gestita trasformandola in un prodotto di esportazione, dopo un periodo in cui il settore della pesca era andato in crisi.

Per il piano del commissario straordinario sono stati stanziati 10 milioni di euro: 1 milione per il 2024, 3 per il 2025 e 6 per il 2026. Tali fondi si aggiungono a quelli che il governo aveva già messo a disposizione in precedenza, tra cui 2,8 milioni di euro per la pesca e lo smaltimenti dei granchi e altri 10 milioni per sostenere la filiera dell’allevamento di molluschi, e alle risorse provenienti dalle Regioni.

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