Come lavora una TV afghana in esilio
Amu TV trasmette dagli Stati Uniti programmi visti da milioni di persone in Afghanistan, dove i talebani continuano a perseguitare i giornalisti
In un palazzo nella periferia di Sterling, una cittadina a meno di un’ora di distanza da Washington, negli Stati Uniti, si trova la redazione di Amu TV, un’importante televisione afghana in esilio. Come ha raccontato l’Atlantic, Amu TV è piuttosto popolare: le sua trasmissioni sono fornite via satellite a 19 milioni di persone in Afghanistan (che ha circa 40 milioni di abitanti), e i contenuti pubblicati dal suo sito internet sono consultati da 20 milioni di utenti al mese.
Come altre redazioni afghane quella di Amu TV lavora dall’estero, perché molti giornalisti afghani sono emigrati e per aggirare la censura dei talebani, il gruppo radicale islamista che ha preso il potere nel paese dopo il ritiro dell’esercito statunitense e la caduta della capitale Kabul, nell’agosto del 2021.
All’epoca il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid aveva assicurato alla stampa nazionale e internazionale che i giornalisti in Afghanistan avrebbero potuto continuare a fare il loro lavoro, come era avvenuto fino a quel momento. «Non sono criminali», aveva detto. «Non saranno minacciati».
Già nei primi giorni del nuovo regime però era stato chiaro che quella promessa non sarebbe stata mantenuta. I talebani avevano fatto irruzione nelle case di decine di reporter, fotografi e operatori video per sequestrare il materiale e gli strumenti di lavoro, li avevano picchiati e minacciati, arrestati e intimiditi. Avevano bandito le donne dalle redazioni sulla base di un’interpretazione molto radicale del Corano che limita ogni aspetto della loro vita. Da quel momento diverse emittenti televisive, radiofoniche e siti di informazione sono state chiuse e la programmazione è stata sostituita dalla propaganda islamista del regime. Centinaia di giornalisti e giornaliste hanno lasciato il paese.
Tra quelli che se ne sono andati ci sono anche i fondatori di Amu TV, Sami Mahdi e Lotfullah Najafizada. Fino alla ritirata dell’esercito americano i due giornalisti avevano lavorato per l’emittente Tolo News, un canale di informazione indipendente che aveva raggiunto un certo livello di successo sfruttando la maggiore libertà di stampa che c’era prima dell’arrivo dei talebani. Tolo News continua ancora oggi a operare dall’Afghanistan, tra minacce e grosse restrizioni.
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Al contrario, Mahdi e Najafizada decisero che avrebbero lasciato l’Afghanistan, a causa della crescente violenza nel paese e del rischio di persecuzioni. I due fuggirono il giorno prima della caduta di Kabul, dopo che Mahdi aveva saputo che la rete Haqqani, un gruppo armato alleato dei talebani e dell’organizzazione terroristica al Qaida, lo teneva sotto controllo.
Najafizada ha raccontato all’Atlantic di aver capito che non avrebbe più potuto fare il giornalista in Afghanistan quando ancora lavorava nella redazione di Tolo News: poche ore dopo la presa di Kabul ricevette una chiamata da un membro dei talebani, che lo avvertiva del fatto che sarebbero entrati nella redazione e l’avrebbero usata per mandare un messaggio alla nazione. Ovviamente la telefonata era un avvertimento, non una richiesta.
Dopo la fuga all’estero, anche grazie alle donazioni che permisero di raccogliere 2 milioni di dollari, Mahdi e Najafizada fondarono negli Stati Uniti Amu TV, una redazione afghana in esilio. Da lì i due giornalisti, grazie all’aiuto dei reporter sul campo, continuano a raccontare quello che accade nel paese. Amu TV non è l’unica emittente in esilio: ne esistono molte altre, come per esempio Hasht e Subh ed Etilaat Roz. Lavorare dall’estero è un modo per aggirare la censura del regime, che comunque continua a limitare la libertà di informazione prendendo di mira direttamente i giornalisti sul campo e, in modo indiretto, anche le redazioni all’estero.
La sede di Amu TV e il grosso della sua redazione si trovano in Virginia, ma gli oltre 50 redattori che ci lavorano vivono in varie parti del mondo. Il loro lavoro consiste nel commissionare i pezzi a circa un centinaio di giornalisti e giornaliste che si trovano ancora in Afghanistan, tutti tra i 20 e i 40 anni, raccogliere il materiale che inviano e comporre i servizi e gli articoli che vengono pubblicati quotidianamente sul sito dell’emittente. Si occupano della corruzione del regime, delle esecuzioni, degli stupri sistematici delle donne afghane.
Il loro lavoro è reso sempre più difficile dal fatto che sempre meno persone sono disposte a collaborare con la stampa, offrire informazioni e raccontare le proprie storie per timore di subire ripercussioni da parte del regime. A questo si aggiungono gli arresti arbitrari e le torture a cui sono sottoposti i giornalisti, che per questo sono costretti in molti casi a vivere in clandestinità o nell’anonimato.
Nonostante il divieto dei talebani, Amu TV continua a impiegare giornaliste. Una di queste è Nazia Hashimyar, la presentatrice più nota dell’emittente. Ha 28 anni e prima di trasferirsi all’estero lavorava per la radiotelevisione pubblica afghana. I talebani l’hanno fatta licenziare il giorno in cui hanno preso Kabul. Lei ha lasciato il paese e dal settembre del 2022 vive negli Stati Uniti, dove continua a lavorare come giornalista, senza indossare il velo anche quando intervista esponenti dei talebani.
Benché trasmetta dall’estero, il regime ha provato in varie occasioni a ostacolare Amu TV, intimidendo i suoi giornalisti e le sue giornaliste sul campo. Il 12 marzo del 2023 hanno fatto irruzione in un ufficio che l’emittente usava come appoggio a Kabul e hanno arrestato diversi dipendenti, sequestrando anche telefoni e computer. Molto probabilmente li hanno utilizzati per risalire all’identità dei reporter che lavorano per Amu TV, che da quel momento in poi ha smesso di pagare i propri giornalisti tramite vie ufficiali e tracciabili, e si appoggia invece a corrieri oppure effettua i bonifici a parenti o persone di fiducia dei propri giornalisti.
Da quando i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan hanno continuato a governare il paese in modo autoritario, limitando fortemente la libertà di parola e informazione, tra le altre cose. Negli ultimi tre anni i giornalisti e le giornaliste arrestate con motivazioni arbitrarie sono stati 141, secondo i numeri raccolti dall’ong Reporters Sans Frontières. Solo nell’ultimo anno il regime ha fatto chiudere quattro emittenti radio e TV e revocato la licenza a 14 siti di informazione.
Recentemente i talebani hanno preso di mira anche un’emittente molto popolare che trasmette da Londra, la Afghanistan International: lo scorso 9 agosto la commissione che si occupa di controllare e censurare i media ha emesso un divieto per giornalisti, analisti ed esperti afghani di collaborare con l’emittente. Afghanistan International, in modo simile ad Amu TV, era stata fondata il giorno dopo la presa di Kabul e da allora aveva trasmesso i propri servizi via satellite, via cavo e attraverso i social media in tre lingue (inglese, dari e pashto, le due lingue ufficiali dell’Afghanistan). Secondo il regime avrebbe diffuso disinformazione e sarebbe andata contro i valori afghani.