Perché ogni anno mancano gli insegnanti
Nessuno degli ultimi governi ha risolto questo grave e cronico problema organizzativo: e ora la confusione è persino aumentata
Ogni anno poco prima dell’inizio della scuola la maggior parte dei giornali nazionali e locali scrive con un certo allarmismo di “emergenza cattedre vuote”, cioè della mancanza di insegnanti dovuta alla lentezza con cui vengono rimpiazzate le persone andate in pensione alla fine di giugno. Il problema è sempre lo stesso da decenni e per questo emergenza non è la parola più appropriata per descrivere un difetto organizzativo enorme e strutturale. Anche le proteste dei genitori per le conseguenze di questo problema sono una ricorrenza annuale, eppure nessuno dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni è riuscito a cambiare le cose, perfino peggiorate dopo la pandemia: mai come nel prossimo anno scolastico le scuole dovranno assumere supplenti, che saranno circa un quarto di tutti gli insegnanti in servizio.
Secondo le stime diffuse nelle ultime settimane da sindacati e organizzazioni che si occupano di scuola, a settembre mancheranno circa 250mila insegnanti: si tratta di posti che non vengono assegnati e che devono essere occupati con le supplenze. Nell’intero sistema scolastico lavora circa un milione di persone tra personale docente e amministrativo, il cosiddetto personale ATA. Ogni anno vanno in pensione circa 40mila persone e negli ultimi anni non è mai stato possibile assumere allo stesso ritmo dei pensionamenti.
Di anno in anno lo scarto tra assunzioni e pensionamenti – poi coperto dalle supplenze – si è via via accumulato e le soluzioni individuate dal ministero per ridurre questa differenza sono state inefficaci.
Il problema principale è che le procedure per assumere nuovi insegnanti sono troppo lente e confuse: sono stati organizzati diversi concorsi ordinari e straordinari, ma le assegnazioni hanno coperto soltanto una parte dei posti richiesti. All’inizio di agosto il ministero dell’Istruzione ha pubblicato il decreto ministeriale per autorizzare 45.124 immissioni in ruolo, cioè l’assunzione a tempo indeterminato di docenti precari: di questi 11mila saranno assunti in Lombardia, circa 5mila nel Lazio e nel Veneto, quasi 4mila in Piemonte. Secondo i sindacati è un numero insufficiente. «Quello delle immissioni in ruolo limitate a una ristretta quota di docenti precari, appena 45mila su 100mila posti vacanti riconosciuti, è uno scandalo tutto italiano che non può andare avanti», ha detto Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’ANIEF, l’Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori. Solo in Lombardia i posti vacanti sono 16.667, molti più degli 11mila che saranno coperti con le nuove assunzioni.
La situazione è ancora più complicata in alcune regioni e in alcuni settori come quello tecnico-scientifico e quello delle lingue straniere. È difficile coprire questi posti, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, perché una persona laureata in queste materie spesso preferisce un impiego nel settore privato, meglio retribuito. «Nella scuola c’è un’unica possibilità di carriera e il processo è lentissimo», dice Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi. «Si arriva a duemila euro di stipendio dopo molti anni di lavoro. Se guardiamo solo l’aspetto economico, fare l’insegnante è un lavoro davvero poco attraente».
Tra le ragioni di questo caos nelle procedure ci sono gli interventi che si sono sovrapposti negli ultimi anni: le assunzioni di ruolo hanno seguito diversi canali – concorsi ordinari, straordinari e persino gli “straordinari bis” – non sempre collegati tra loro. Gli aspiranti insegnanti hanno partecipato a più concorsi per avere più possibilità di assunzione, e l’effetto di questa sovrapposizione è una confusione generale difficile da risolvere. Nel frattempo sono cambiati diversi ministri, ognuno dei quali ha cercato di intervenire in modi diversi. «Quasi sempre sono stati proposti rimedi in discontinuità con quelli dei ministri precedenti, solo per motivi politici», dice Massimiliano De Conca, segretario generale FLC (Federazione Lavoratori della Conoscenza) della CGIL Lombardia. «Il risultato è che tutti gli ultimi concorsi avevano procedure differenti. Prima di fare i concorsi in questo modo andrebbero stabilizzati gli insegnanti precari con più di tre anni di esperienza e poi bandire concorsi con una cadenza annuale certa per coprire le mancanze».
A conferma di quanto dice De Conca, per l’anno scolastico 2024/2025 c’è un ulteriore e grave inconveniente: uno dei concorsi organizzati per assumere gli insegnanti – il cosiddetto concorso PNRR, chiamato così perché legato al Piano nazionale di ripresa e resilienza che prevede l’assunzione di 70mila nuovi insegnanti – è in ritardo rispetto al previsto. Visto che le procedure di concorso non sono ancora concluse, il ministero consentirà alle scuole di assumere insegnanti di ruolo in via eccezionale fino al 31 dicembre. Significa che buona parte delle 45mila assunzioni dovrà essere fatta non entro il 31 agosto, ma più avanti per attendere l’esito del concorso PNRR.
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Questi posti dovranno essere coperti con supplenze. Oltre a trovare i supplenti “ordinari”, cioè quelli che vengono assunti ogni anno per sopperire alla cronica mancanza di insegnanti, le scuole dovranno trovare supplenti straordinari con contratti molto brevi.
Anche per trovare supplenti non esiste un’unica procedura. Le supplenze definite “storiche”, cioè che vengono confermate di anno in anno, vengono coperte grazie a graduatorie provinciali create per agevolare l’assegnazione di cattedre scoperte. Le graduatorie a esaurimento, le GAE, includono insegnanti precari con più anzianità. Più gli insegnanti sono in alto in graduatoria e più hanno possibilità di scegliere una scuola gradita. Una volta esaurita questa graduatoria si passa alle GPS, le graduatorie provinciali per le supplenze, che sono divise in due fasce: nella prima vengono inseriti gli insegnanti che hanno il titolo di abilitazione, nella seconda fascia gli insegnanti non abilitati. Il punteggio, e quindi la posizione in graduatoria, dipende dai titoli di studio, dagli anni di esperienza, da corsi e master.
L’abilitazione non è una sola: dipende dal grado di istruzione nel quale l’aspirante insegnante vuole lavorare. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e la scuola primaria, l’abilitazione all’insegnamento si può ottenere con la laurea magistrale in Scienze della formazione primaria, senza la necessità di sostenere altri esami. Sono abilitate all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e primarie anche le persone che si sono diplomate alla scuola magistrale entro l’anno scolastico 2001/2002.
Per ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori servono anche 60 crediti formativi universitari (CFU) specifici. Si possono ottenere dalle università, attraverso appositi corsi, oppure tramite il riconoscimento di alcuni crediti acquisiti durante il percorso di studi con esami aggiuntivi, master e dottorati di ricerca.
In molti casi gli insegnanti in posizioni basse sono costretti a scegliere più supplenze contemporaneamente, con la possibilità di ottenere incarichi da poche ore in scuole diverse. Nel frattempo molti supplenti stanno partecipando al concorso PNRR e quindi potrebbero essere assunti a tempo indeterminato entro la fine dell’anno, una variabile che complica ulteriormente l’organizzazione delle scuole.
L’ultimo modo per ottenere una supplenza è il cosiddetto “interpello”. Le scuole che non sono riuscite a trovare supplenti a causa dell’esaurimento delle graduatorie devono pubblicare sul sito gli avvisi per il reclutamento di insegnanti: è una procedura molto rapida perché prevede di entrare in servizio entro 24 ore dall’accettazione. «Molte scuole inizieranno con metà organico a tempo determinato, quindi precario», dice De Conca. «Vale anche per gli insegnanti di sostegno. Purtroppo la scuola è un meccanismo complicato: chi l’ha governata negli ultimi anni ci ha messo tutte le buone intenzioni, però sono solo aumentati i problemi e la confusione».
Da diversi anni Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, sostiene che l’unico modo per risolvere la mancanza di insegnanti sia un cambio di strategia radicale: la chiamata diretta, cioè l’assunzione diretta degli insegnanti da parte delle scuole. Questo modello prevede che la gestione delle assunzioni non sia più centralizzata a livello provinciale, ma affidata direttamente alle scuole, chiamate ad assumere un numero contenuto di insegnanti ogni anno – 4 o 5 – per coprire i posti vacanti.
Questa soluzione è sempre stata osteggiata dai sindacati, che temono una deriva verso assunzioni non basate sull’esperienza o sul merito, ma su amicizie e clientele. «Nelle scuole esistono già comitati di valutazione: è impossibile assumere persone incapaci senza che genitori e altri insegnanti se ne accorgano», dice Giannelli. «Questo modello è già stato adottato con successo in molti paesi europei». Secondo i sindacati, però, l’assunzione diretta è anche incostituzionale perché gli insegnanti – in quanto dipendenti pubblici – devono essere assunti con un concorso, mentre nei paesi in cui è stato scelto questo modello l’istruzione è gestita dalle amministrazioni locali in modo più autonomo.