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  • Giovedì 22 agosto 2024

Sorpresa, il Belgio non sta riuscendo a formare un governo

Siamo ancora lontani dal record di oltre 650 giorni senza un governo con pieni poteri raggiunto nel 2020, ma le trattative guidate dal nazionalista Bart De Wever sono comunque già bloccate

Le sagome nere in controluce di due politici seduti a un tavolo in uno studio televisivo che si guardano
Un dibattito televisivo fra i leader dei principali partiti della comunità francofona belga, Georges-Louis Bouchez del Movimento Riformista, a sinistra, e Paul Magnette del Partito Socialista, a destra: Bouchez è al centro dei negoziati per formare il nuovo governo, mentre Magnette ha già deciso che farà parte dell’opposizione (ANSA/EPA/OLIVIER HOSLET)
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Da due mesi e mezzo in Belgio si stanno tenendo i negoziati per formare un nuovo governo dopo le elezioni legislative federali avvenute in contemporanea a quelle europee, il 9 giugno. Sono guidati dal nazionalista fiammingo Bart De Wever, che fino a poco tempo fa chiedeva l’indipendenza della regione delle Fiandre, e sono fermi perché gli altri due partiti che dovrebbero comporre la nuova coalizione non riescono a mettersi d’accordo sul programma di governo.

Non è la prima volta che succede una cosa del genere: la politica belga è estremamente frammentata e i processi decisionali sono resi farraginosi dai numerosi malfunzionamenti del sistema amministrativo e di governo – organizzato su sei livelli – e dalle enormi difficoltà nel far convivere comunità e partiti molto lontani fra loro. L’ultimo governo con pieni poteri era entrato in carica a fine 2020, più di 650 giorni dopo le dimissioni del governo precedente (per circa metà del tempo, inclusa la prima fase della pandemia, il paese era stato gestito da un governo ad interim). Il Belgio aveva così battuto il suo precedente record di 541 giorni, raggiunto nel 2011.

Di fatto il Belgio è un paese di quasi 12 milioni di abitanti diviso in tre regioni, con i loro rispettivi governi: a nord ci sono le Fiandre abitate dai fiamminghi di lingua olandese, la maggior parte della popolazione. A sud, in Vallonia, vivono i valloni, che parlano francese e sono all’incirca un terzo della popolazione. Negli ultimi decenni il nord fiammingo si è industrializzato e ha sorpassato il sud francofono in quasi tutti i principali indici di sviluppo. Infine c’è Bruxelles, una regione ufficialmente bilingue ma di fatto una specie di isola francofona in territorio fiammingo dove per di più hanno sede parecchie istituzioni europee.

Questa divisione ha anche degli aspetti positivi: il Belgio si può permettere di stare così tanto tempo senza un governo centrale anche perché molti aspetti sono di competenza dei governi regionali e locali, che garantiscono così il funzionamento dell’apparato statale anche in assenza di una guida federale.

– Leggi anche: Il Belgio non è mai stato così tanto tempo senza un governo con pieni poteri

Anche se il Belgio ha un parlamento nazionale, gli elettori e le elettrici belghe non votano su base nazionale ma soltanto regionale (chi abita nelle Fiandre elegge soltanto candidati che si presentano nelle Fiandre, e così via). Per questo esistono alcuni partiti che si candidano solo in una delle due regioni e molti che hanno creato due sezioni autonome e indipendenti l’una dall’altra (come due partiti di ispirazione socialista, due liberali, due ecologisti e così via) che a volte hanno anche posizioni leggermente diverse fra loro.

Nel paese ogni tema di rilevanza pubblica non può prescindere dalla questione linguistica e di convivenza fra le due comunità, e questa struttura così complessa è fatta in modo che per formare una maggioranza servano necessariamente coalizioni tra partiti fiamminghi e valloni, per evitare che una regione venga favorita rispetto alle altre due negli affari di governo.

Anche nel caso dei negoziati che stanno avendo luogo in queste settimane a discutere sono principalmente due partiti che oltre a essere uno fiammingo e uno francofono sono anche rispettivamente di centrosinistra e di centrodestra.

Alle elezioni federali dello scorso giugno il partito più votato è stato la Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA), del nazionalista fiammingo Bart De Wever, con il 16,71 per cento dei voti. In origine N-VA teorizzava la secessione delle Fiandre dal resto del Belgio, ma negli ultimi anni si era spostato su posizioni più moderate chiedendo più autonomia per tutte le regioni dal governo centrale. Questo, insieme ai risultati delle elezioni, ha convinto il re Philippe ad assegnare a De Wever il compito di formare il nuovo governo, cosa impensabile fino a qualche anno fa.

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Come prova del suo cambiamento De Wever si è rifiutato di avere colloqui con Vlaams Belang, il partito fiammingo di estrema destra che propone che le Fiandre dichiarino unilateralmente la loro indipendenza. Si è rivolto invece al partito di centrodestra francofono della Vallonia Movimento Riformista (MR) e al partito delle Fiandre di centrosinistra Vooruit (Avanti), corrispondente fiammingo del Partito Socialista francofono, che invece ha deciso stare all’opposizione.

Il Movimento Riformista, di cui fa parte l’ex primo ministro belga e presidente uscente del Consiglio Europeo Charles Michel, è guidato dal 38enne liberale Georges-Louis Bouchez, che oltre a essere un politico è anche presidente di una squadra di calcio locale. Il leader di Vooruit è invece il 31enne Conner Rousseau, la cui carriera politica sembrava essere finita l’anno scorso per via di alcune battute razziste fatte a una festival mentre era ubriaco, uno scandalo per cui si è scusato e da cui si è quasi totalmente ripreso.

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Entrambi sono molto attivi sui social e si presentano come molto alla mano. Bouchez ha un braccio completamente tatuato e fino a poco tempo fa portava i capelli lunghi, uno stile diverso da quello dei politici del suo schieramento. Rousseau si rivolge ai suoi follower su Instagram come “matekes”, un modo colloquiale per definire gli amici in fiammingo, e pubblica molti contenuti che hanno a che fare con la sua vita privata.

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Nonostante le differenze fra i tre partiti i negoziati sembravano essere iniziati nel modo migliore, ma si sono bloccati quando De Wever ha proposto a MR e Vooruit una bozza di riforme che dovrebbero definire le priorità del nuovo governo: si tratta di riforme fiscali, pensionistiche e sul mercato del lavoro che dovrebbero porre rimedio alla pessima situazione finanziaria del Belgio, il cui deficit ha raggiunto il 4,4 per cento del PIL, circa 26 miliardi di euro, ben oltre la soglia del 3 per cento imposta dall’Unione Europea (l’Italia comunque è al 7,4 per cento).

Rousseau ha specificato che il suo partito sosterrà il governo solo se i fondi per risanare il bilancio belga verranno presi aumentando le tasse alle fasce più ricche della popolazione, concentrandosi sulle grandi aziende e i loro investitori. Bouchez, che ha basato la sua campagna elettorale sull’essere leader di un partito generalmente ostile alle tasse, si è detto estremamente contrario a questa proposta.

Al momento non è possibile capire quando questa situazione si sbloccherà: il Belgio deve presentare alla Commissione europea un piano per ridurre il suo deficit entro il 20 settembre, anche se la scadenza può essere prorogata fino al 15 ottobre. Secondo quanto scritto da Politico è possibile che i due leader stiano prorogando questa situazione di stallo per mostrare ai loro elettori di voler mantenere le promesse della campagna elettorale, ma con l’avvicinarsi della scadenza imposta dall’Unione troveranno un compromesso. Altri sostengono però che, visti i precedenti, è altrettanto probabile che la crisi si prolungherà.

Al momento nessuno dei due ha sfidato De Wever nel suo ruolo di potenziale primo ministro, ma è possibile che se i negoziati non si sbloccheranno il re deciderà di dare l’incarico di formare un governo a qualcun altro, una cosa piuttosto comune quando le trattative arrivano a un punto di stallo.

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Tag: Belgio