La lunghissima attesa di un attacco dell’Iran contro Israele
Dopo l'uccisione di Ismail Haniyeh a fine luglio la leadership iraniana aveva promesso una risposta dura, che però non è ancora arrivata: la cosa sta spiazzando un po' tutti
È da più di tre settimane che Israele e diversi paesi del Medio Oriente aspettano un massiccio attacco dell’Iran come ritorsione per l’uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta lo scorso 31 luglio e riconducibile con ogni probabilità a un’operazione israeliana. Subito dopo l’omicidio di Haniyeh la guida suprema Ali Khamenei, la principale figura religiosa e politica iraniana, aveva promesso una «punizione severa»: questo aveva spinto Israele e i suoi alleati a mettere in atto ampie manovre difensive, nel timore che un attacco massiccio possa provocare una più ampia guerra regionale.
A settimane dall’annuncio, però, l’attacco non è ancora arrivato. Anzi: martedì il generale Ali Mohammad Naeini, portavoce delle Guardie rivoluzionarie, il più importante corpo armato dell’Iran, ha detto che l’attacco ci sarà sicuramente ma che «il tempo è dalla nostra parte, ed è possibile che l’attesa per una risposta [militare] sia lunga».
In queste settimane l’attesa di un attacco iraniano è stata snervante, in Israele ma anche nel resto del Medio Oriente. Il corrispondente dell’Economist Greg Carlstrom, parlando in un podcast il 15 agosto, ha detto che l’attacco «sembra inevitabile ormai da un paio di settimane, e ogni singola notte […] mi arrivano voci da qualcuno in Israele o in Libano o nel Golfo, fonti e contatti, che mi dicono: sarà questa notte, sta succedendo davvero. E poi, ovviamente, non succede. E tutti continuano ad aspettare che succeda».
Questa lunga attesa va contro le previsioni di un po’ tutti gli analisti, che si aspettavano che dopo l’uccisione di Haniyeh a fine luglio l’Iran avrebbe risposto in forze e rapidamente. Un altro recente attacco iraniano, avvenuto ad aprile, aveva rispettato questa sequenza: il 1° aprile Israele aveva ucciso un importante generale delle Guardie rivoluzionarie e pochi giorni dopo, il 13, l’Iran aveva risposto lanciando contro Israele centinaia di missili e droni.
Tutti si aspettavano che le cose sarebbero andate così anche questa volta: la leadership iraniana aveva promesso un attacco massiccio, e aveva lasciato intendere che stava preparando un’azione più distruttiva di quella di aprile, quando Israele e gli alleati erano riusciti ad abbattere tutti gli oltre 300 missili e droni lanciati dalle forze armate iraniane. In risposta, nelle scorse settimane gli Stati Uniti avevano spostato verso Israele grandi quantità di mezzi militari con funzione difensiva, compresi vari sottomarini e una portaerei. L’attacco però non è ancora arrivato.
È importante tenere a mente una cosa, e mantenere qualche cautela: l’Iran non ha mai smesso di sostenere che un attacco contro Israele ci sarà, e indipendentemente da quello che dicono i portavoce potrebbe arrivare da un momento all’altro.
È vero tuttavia che la lunga attesa fa pensare che in queste settimane ci sia stato un cambio di atteggiamento all’interno della leadership iraniana, in cui la rabbia e l’umiliazione provocata dall’uccisione di Haniyeh (il leader palestinese era ospite delle Guardie rivoluzionarie, e si trovava in Iran per partecipare alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente Masoud Pezeshkian) hanno lasciato spazio a un atteggiamento almeno apparentemente più cauto, in cui l’Iran potrebbe aver deciso che ritardare l’attacco potrebbe essere accettabile e perfino conveniente.
Per giustificare la dilazione, i funzionari iraniani hanno cominciato a dire che lasciare Israele nell’incertezza di cosa avverrà fa parte di una strategia di «guerra psicologica». Ali Fadavi, il vicecomandante delle Guardie rivoluzionarie, ha detto di recente che gli israeliani «aspettano di giorno e di notte la risposta dell’Iran» e che questa attesa «è più penosa dell’attesa della morte».
Gli analisti occidentali, invece, tendono a individuare principalmente due ragioni del ritardo. Anzitutto, come sostiene anche l’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden, è possibile che l’Iran stia attendendo l’esito dei negoziati in corso in questi giorni per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Un accordo che ponga fine ai combattimenti nella Striscia di Gaza potrebbe consentire all’Iran di reclamare una vittoria senza bisogno di attacchi militari.
Questo atteggiamento è ben rappresentato da una dichiarazione che la rappresentanza iraniana alle Nazioni Unite ha fatto al Wall Street Journal, in cui si legge che l’attacco contro Israele ci sarà, ma «deve essere calibrato con attenzione per evitare ogni possibile impatto avverso che possa potenzialmente influenzare le prospettive di un cessate il fuoco» a Gaza.
In secondo luogo, è possibile che la leadership iraniana abbia analizzato in maniera più concreta i rischi di una ritorsione contro Israele, e abbia concluso che un attacco diretto e massiccio potrebbe provocare una risposta militare a cui l’Iran non sarebbe pronto. Correre il rischio di una guerra regionale andrebbe inoltre contro le intenzioni del presidente Pezeshkian, che è un riformista, cioè un sostenitore moderato del regime, e che è stato eletto il mese scorso con un programma di riduzione delle tensioni militari e apertura all’Occidente.
A metà settembre Pezeshkian parteciperà per la prima volta all’Assemblea generale dell’ONU, e ci si aspetta che voglia presentare un messaggio di moderazione e apertura, non uno di guerra.
Un’altra possibilità è che l’Iran stia valutando modalità di attacco diverse da quelle di aprile, e che quindi le forze armate iraniane non si limiteranno a un massiccio lancio di droni e missili, ma cercheranno di mettere in atto altre misure. In queste settimane per esempio si è parlato di attentati terroristici. Il comunicato al Wall Street Journal continua dicendo: «Il momento, le condizioni e le modalità della risposta dell’Iran saranno orchestrati meticolosamente per assicurarci che avvenga nel momento di massima sorpresa. Quando i loro occhi saranno fissi sui cieli e sugli schermi dei loro radar, forse saranno colti di sorpresa da terra, o perfino da entrambe le parti».