L’Ucraina ha ratificato lo Statuto di Roma e riconoscerà quindi la Corte penale internazionale
Mercoledì il parlamento ucraino ha ratificato lo Statuto di Roma, il trattato con cui nel 2001 fu istituita la Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità. È il passaggio fondamentale perché il paese riconosca la giurisdizione della Corte, che è un organo indipendente, e anche un requisito per un futuro ingresso dell’Ucraina dell’Unione Europea, visto che tutti i paesi membri dell’Unione devono firmare e ratificare lo Statuto. La ratifica è stata approvata da 281 deputati, con un solo voto contrario e con una condizione: che l’Ucraina non riconoscerà la giurisdizione dell’ICC sui propri cittadini nel caso di crimini di guerra per un periodo di sette anni a partire da quando verrà adottata.
L’Ucraina aveva firmato lo Statuto di Roma nel 2000, ma poi non l’aveva ratificato per il timore che alcuni importanti politici e ufficiali militari avrebbero potuto essere processati. Nel 2015, dopo l’invasione russa della Crimea, il consiglio per la Difesa e la Sicurezza del paese aveva sostenuto la necessità di ratificarlo, cosa che più di recente le autorità del paese avevano detto di voler valutare una volta finita la guerra in corso con la Russia, e infine è stata proposta dal presidente Volodymyr Zelensky. La ratifica dello Statuto da parte dell’Ucraina entrerà in vigore 60 giorni dopo che i documenti approvati dal parlamento saranno stati consegnati al segretario generale delle Nazioni Unite.
Tra i paesi che aderiscono allo Statuto di Roma non ci sono Cina, India, Bielorussia e Turchia, ma nemmeno Stati Uniti e Russia, che lo avevano firmato per poi ritirare la loro firma. Nel 2023 l’ICC aveva emesso un mandato d’arresto per Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra, in particolare della deportazione di bambini ucraini in Russia, e per Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria presidenziale russa per i diritti dell’infanzia. Due mesi fa ha emesso altri mandati per l’ex ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e per il capo di stato maggiore dell’esercito Valery Gerasimov, accusati di aver «condotto attacchi militari verso obiettivi civili» in Ucraina e aver «causato danni collaterali eccessivi a civili o a edifici civili».
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