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  • Mercoledì 21 agosto 2024

In Sicilia perfino i fichi d’India soffrono per la siccità

Sono piante abituate a sopravvivere con poca acqua, ma non così poca come quella disponibile quest'anno: parte del raccolto è andata persa

Fichi d'India piegati a causa della mancanza d'acqua
Fichi d'India piegati a causa della mancanza d'acqua (Salvatore Rapisarda)
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Negli ultimi mesi in Sicilia diversi coltivatori di fichi d’India hanno visto le loro piante diminuire di volume, assottigliarsi, e in alcuni casi addirittura piegarsi perché senz’acqua. Non è una cosa normale: il fico d’India è una pianta succulenta, che ha bisogno di poca acqua per sopravvivere e per crescere e riesce ad accumulare e immagazzinare riserve idriche dalle radici, dal fusto e dalle foglie. Questa caratteristica ha permesso al fico d’India di diffondersi in ambienti aridi, e anche per questo viene definita “la pianta del futuro”, ma in Sicilia nell’ultimo anno ha piovuto così poco che perfino i fichi d’India hanno iniziato a soffrire il grande caldo e la siccità.

Quasi tutti i fichi d’India che vengono mangiati in Europa vengono coltivati in Sicilia. I frutti messi in commercio sono di forma ovale, con una buccia piena di spine e con una polpa che va dal bianco all’arancione fino al viola intenso. Il fico d’India ha un gusto dolce e piuttosto pastoso, e in Sicilia veniva storicamente mangiato dai braccianti per colazione, raccolto ai bordi delle strade nel tragitto verso i campi. Si chiama così probabilmente perché fu importato dal continente americano, che Cristoforo Colombo identificò come le Indie nel 1492.

Nei circa diecimila chilometri quadrati di campi siciliani vengono prodotte ogni anno circa 90mila tonnellate di fichi d’India, soprattutto nelle zone intorno all’Etna e alle pendici dei monti Erei, nell’area del comune di San Cono. Qui sono state istituite due DOP, acronimo di Denominazione di Origine Protetta, un marchio che viene attribuito dall’Unione Europea a prodotti agricoli e alimentari considerati di alta qualità e legati al territorio di origine. Le varietà principali sono la gialla, conosciuta anche come sulfarina, la rossa o sanguigna che ha meno semi, e la bianca o muscaredda, la più pregiata.

La coltivazione dei fichi d’India è particolare e delicata. I metodi di produzione sono due: il primo consiste nella raccolta dei frutti che raggiungono la maturazione dopo la prima fioritura, dalla prima decade di agosto fino alla metà di settembre. Il secondo metodo consiste nel togliere manualmente i fiori della prima fioritura, un’operazione chiamata scozzolatura che viene fatta tra maggio e giugno. I frutti ottenuti dalla seconda fioritura vengono chiamati “bastardoni” e si raccolgono da settembre fino a dicembre. Oltre a essere più grandi hanno anche una consistenza e un gusto più appetibili. La raccolta dei fichi d’India è complicata per via delle lunghe spine che proteggono la pianta: gli addetti devono indossare guanti spessi, tute per proteggere tutto il corpo e maschere per la testa e la faccia.

Una piantagione di fico d'India

Una piantagione di fico d’India (Salvatore Rapisarda)

Per produrre un chilo di fichi d’India servono circa 20 litri di acqua all’anno, una quantità decisamente inferiore rispetto ad altre produzioni: ne servono circa 60 per un chilo di arance e circa 80 per uno di mele. Sono piante abituate alla siccità, ma quella che da un anno e mezzo sta interessando la Sicilia è molto più grave rispetto alle altre affrontate in passato. A parte qualche precipitazione poco significativa, in Sicilia non ci sono piogge regolari da tempo e le conseguenze della mancanza d’acqua sono evidenti: i laghi artificiali sono vuoti, molti fiumi sono in secca e gli agricoltori non riescono a irrigare i campi.

«Quest’anno per colpa della siccità i frutti della prima fioritura, che solitamente chiamiamo “agostani”, li abbiamo chiamati “lugliani”», dice Salvatore Rapisarda, direttore del consorzio Euroagrumi di Biancavilla, in provincia di Catania. Molte piante si sono piegate danneggiando i frutti. Con il caldo intenso poi i fichi d’india subiscono una sorta di cottura che ne altera l’aspetto – diventano di un colore più opaco – e in parte anche il gusto. I frutti sono meno belli e quindi meno compatibili per il commercio anche se comunque buoni.

Un’altra conseguenza della siccità e del gran caldo, racconta Rapisarda, riguarda proprio il mercato. La maturazione è stata veloce e gli agricoltori sono stati costretti a raccogliere una grande quantità di frutti in poco tempo per evitare di buttarli perché troppo maturi. Mentre di solito la raccolta e la vendita vengono organizzate in due mesi, nelle ultime settimane nei mercati ortofrutticoli italiani sono arrivati molti più fichi d’India rispetto al passato, con una conseguente svalutazione per la legge della domanda e dell’offerta.

Anche in molti supermercati del Nord Italia non è raro trovare fichi d’India in offerta per questo motivo. «Ora vedremo come andrà con i bastardoni», dice Rapisarda un po’ sconsolato. «Temiamo che i frutti della prossima raccolta siano più o meno simili a quelli della prima: sarebbe un bel danno. Qui in Sicilia le piante di fico d’India si sono abituate al caldo e alla mancanza d’acqua, ma questo caldo e questa siccità sono davvero troppo. Un po’ di pioggia serve anche al fico d’India».