Ma l’arbitro, nel tennis, a cosa serve?
Se ne sta riparlando dopo due recenti situazioni in cui per prendere la decisione giusta sarebbe bastato guardare un replay accessibile a tutti, tranne che all'arbitro
La scorsa settimana nel Masters 1000 di Cincinnati, l’importante torneo di tennis vinto poi da Jannik Sinner, ci sono state due azioni di gioco in cui al giudice di sedia (come viene chiamato l’arbitro) sarebbe bastato probabilmente vedere un replay per prendere la decisione giusta e invece, non potendo farlo per via del regolamento, ha sbagliato. I due casi hanno riaperto il dibattito su questioni esistenti da tempo nel tennis: pur affidandosi sempre più alla tecnologia per dirimere le situazioni incerte, ci sono ancora diverse resistenze sul suo utilizzo, e d’altro canto proprio per questa progressiva importanza della tecnologia ci si chiede che valore abbia la presenza degli arbitri nel tennis.
Due anni fa, dopo una partita del Masters 1000 di Miami contro Jannik Sinner, il tennista australiano Nick Kyrgios, uno che ha spesso litigato con giudici di sedia e giudici di linea (e non solo, in realtà), parlò così del ruolo dell’arbitro: «È tutto elettronico ora, tu non fai niente se non dire il punteggio, cosa che qualsiasi appassionato di tennis può fare: star seduto su una sedia e dire quindici-zero, game Kyrgios, game Sinner».
Il tennis è in effetti uno sport per la maggior parte oggettivo, cioè quasi senza episodi che si prestano a interpretazioni (come avviene invece nel calcio, per esempio), e con la tecnologia ormai gli arbitri devono prendere sempre meno decisioni in una partita, perché spesso le palle dentro o fuori (cioè la cosa più importante da decidere in una partita di tennis) vengono chiamate automaticamente: dal 2025 peraltro nei tornei del circuito maggiore maschile sarà tutto stabilito elettronicamente. Quella di Kyrgios è però un’estremizzazione, perché l’arbitro svolge ancora diversi compiti importanti e senza di lui (o lei) non sarebbe semplicissimo far giocare le partite, soprattutto ai più alti livelli, dove i tennisti e le tenniste si giocano molto, sportivamente ed economicamente. In quasi nessuno sport è prevista l’assenza degli arbitri: uno dei pochissimi è l’ultimate frisbee.
I due episodi del torneo di Cincinnati sono comunque abbastanza esemplificativi delle contraddizioni del ruolo dell’arbitro di tennis oggi. Il primo caso ha riguardato la partita tra Taylor Fritz e Brandon Nakashima, giocata nel primo turno e vinta a sorpresa da Nakashima. Durante uno scambio in un momento abbastanza importante della partita, Nakashima ha tirato un dritto evidentemente fuori: l’Electronic line calling, la tecnologia che permette di stabilire dov’è rimbalzata la pallina con un sistema di telecamere (spesso chiamata anche “occhio di falco”, dal nome del sistema più diffuso), non ha però rilevato la palla fuori a causa di un malfunzionamento.
Lo scambio è continuato fino a che non è stato fermato da un intervento esterno; Fritz allora si è rivolto stranito all’arbitro, chiedendo come mai il sistema non avesse funzionato e che gli venisse attribuito il punto. L’arbitro gli ha sostanzialmente dato ragione, ma gli ha anche detto che non poteva dargli il punto perché per il regolamento Fritz avrebbe dovuto interrompere subito il gioco e segnalare che la pallina era uscita.
Normalmente, in effetti, i giocatori per poter contestare una chiamata dei giudici devono fermarsi immediatamente e chiedere che l’arbitro riveda la traiettoria della pallina con il sistema elettronico: non possono farlo dopo qualche colpo, perché altrimenti potrebbero decidere di farlo solo quando vedono che il punto si mette male, e di non farlo quando sentono di poter vincere comodamente il punto. Con i giudici di linea elettronici però questa regola non sembra più avere molto senso, come faceva notare Fritz all’arbitro: «Non dirmi che devo interrompere il punto quando abbiamo il giudice di linea elettronico», gli ha detto. Il sistema in effetti è fatto appositamente per interrompere il punto quando vede una pallina fuori, senza che debbano farlo i giocatori. Alla fine l’arbitro ha fatto ripetere il punto.
Il secondo caso è stato ancora più particolare perché è avvenuto sul match point di una partita molto equilibrata tra Felix Augér-Aliassime e Jack Draper, negli ottavi di finale (Draper era avanti 5-4 nel terzo set e ai vantaggi). Su una risposta di Augér-Aliassime, Draper ha colpito la palla mentre correva vicino alla rete in maniera un po’ strana, mandandola dall’altra parte e facendo punto. Dopo qualche secondo di attesa, l’arbitro ha detto: «Signore e signori, decido che quello era un colpo regolare. Gioco, partita e incontro Draper (la formula che si usa alla fine, quando un giocatore fa l’ultimo punto del match e vince la partita, ndr)».
Già da un primo replay, però, è parso abbastanza evidente che la pallina avesse toccato prima la racchetta di Draper e poi subito dopo terra, e che quindi il punto sarebbe dovuto essere di Augér-Aliassime. «Se ci fosse un replay rigiocherei il colpo, ma non so», ha detto Draper, mentre Augér-Aliassime chiedeva all’arbitro: «Non hai visto la palla rimbalzare per terra?» e poco dopo diceva anche, in maniera tutto sommato pacata, «questa cosa verrà fuori ovunque e sarà ridicola!».
Tennis TV l’ha chiamato «il più controverso match point di sempre»
Secondo il sito specializzato The Athletic, che ha raccontato in maniera dettagliata l’episodio definendolo «una farsa», il giudice di sedia «non dovrebbe essere l’unico arbitro di una chiamata incredibilmente difficile da fare solo con gli occhi, mentre gli spettatori che guardano sia dal vivo che in TV possono vedere i replay che non può esaminare». Il punto, sia nel primo sia nel secondo caso, è che se l’arbitro avesse rivisto le immagini avrebbe preso facilmente e in tempi brevi la decisione giusta, chiamando fuori la palla di Nakashima, assegnando di conseguenza il punto a Fritz, e stabilendo che il colpo di Draper non fosse regolare, dando il punto ad Augér-Aliassime. Pur potendo a livello tecnologico rivedere subito il replay, però, il regolamento non prevede questa eventualità: chi guarda da casa invece sa immediatamente che l’arbitro ha sbagliato, perché in tv vengono abitualmente trasmessi sia i replay delle azioni di gioco che spesso le ricostruzioni elettroniche del rimbalzo della pallina.
Dall’anno prossimo ci sarà in tutti i tornei ATP (il principale circuito tennistico maschile) l’Electronic line calling, che a volte viene chiamato anche hawk-eye (occhio di falco) e che fino a quest’anno gli arbitri non potevano utilizzare nei tornei giocati sulla terra rossa, dove invece possono essere chiamati dai giocatori a verificare il segno della pallina “a occhio”: una pratica ancora molto apprezzata dai più tradizionalisti. Finora, in ogni caso, la decisione sulla pallina dentro o fuori spettava ai giudici di linea, le persone disposte intorno al campo (in linea con le righe): l’arbitro poteva al massimo fare il cosiddetto over-rule, cioè cambiare la decisione del giudice di linea, se riteneva fosse palesemente sbagliata. Ma se non è lui a stabilire quando la pallina è dentro o fuori, e allo stesso tempo non può cambiare decisioni come quella del colpo di Jack Draper, è normale che chi non ha molta dimestichezza col tennis – e volte anche chi ne ha, come Kyrgios – si chieda cosa faccia esattamente da quella sedia rialzata un arbitro di tennis.
Molte cose, come si diceva: il regolamento dell’ATP elenca una lista di 23 mansioni di cui è responsabile il giudice di sedia, molte delle quali possono essere inserite nella categoria “far rispettare le regole”, cioè verificare che in tutti i momenti della partita non ci siano irregolarità. Tra i suoi compiti ci sono: controllare le palline e i tubi di palline a disposizione e fare il sorteggio prima della partita, controllare il tempo (quello di riscaldamento, quello tra un punto e l’altro, quello tra un game e l’altro, quello prima di ogni servizio), verificare che i giocatori si vestano appropriatamente, tenere il punteggio e dirlo a ogni punto, assicurarsi per quanto possibile che il pubblico si comporti bene (che non distragga i giocatori, per esempio). E poi, chiaramente, decidere su tutti i fatti che avvengono in campo.
Due anni fa un giornalista del Guardian, l’autorevole quotidiano britannico, riuscì a intervistare in maniera approfondita diversi arbitri e arbitre di tennis professionistico, una cosa abbastanza inedita e preziosa, visto che solitamente non viene loro concesso di parlare pubblicamente quando sono ancora in attività. Marija Cicak, la prima donna ad arbitrare la finale maschile di Wimbledon (nel 2021), disse al Guardian che a quei livelli arbitrare è quasi un esercizio di psicologia e che oggi, con la tecnologia, i giudici di sedia sono come direttori d’orchestra, che devono controllare la partita, assicurandosi che ci sia più spettacolo possibile ma senza perderne il controllo.
Uno degli arbitri più esperti e carismatici, lo svedese di origini marocchine Mohamed Lahyani, parlò allo stesso modo dell’importanza di avere il polso della partita («feel the tension», sentire la tensione, fu l’espressione che usò): conoscere le regole è facile, ma sapere come applicarle è più difficile, disse Lahyani, facendo l’esempio del serve clock. Ogni tennista ha 25 secondi per fare il servizio: se sfora, l’arbitro può dargli prima un warning, cioè un avvertimento, e poi la seconda volta considerare il servizio come un errore prima ancora che venga battuto. Secondo Lahyani però «è più complicato di così. L’arbitro deve chiedersi: il giocatore aveva un buon motivo per tardare? Qualcuno dal pubblico ha urlato e gli ha rovinato la concentrazione? Aveva bisogno di recuperare da un precedente lungo scambio? Non è una scienza esatta: se applichi le regole troppo severamente non finirai mai una partita».
La maggior parte degli arbitri era in ogni caso d’accordo sul fatto che per il momento la tecnologia avesse ridotto il numero degli errori ma non le proteste e gli atteggiamenti aggressivi di tenniste e tennisti, che da un lato non possono più incolpare nessuno quando sbagliano (mentre prima, anche un po’ inconsciamente, potevano crearsi degli alibi incolpando i giudici di linea o di sedia di una presunta chiamata sbagliata), e dall’altro si aspettano che gli errori siano quasi del tutto azzerati. Su quest’ultimo punto, i social network hanno indubbiamente acuito la percezione degli errori e la severità nel giudizio: «Fai uno sbaglio e finirà su internet prima ancora che finisca la partita», disse l’esperto arbitro francese Damien Dumusois.
Oggi le decisioni controverse nel tennis sono in realtà molto poche, soprattutto se si considera il numero altissimo di partite giocate in una stagione, ma quelle poche hanno una risonanza enorme e vengono spesso rilanciate dai tennisti stessi sui propri profili social, o da altri profili specializzati come Tennis TV. È una cosa che ormai gli stessi giocatori dicono spesso agli arbitri, quando pensano che abbiano sbagliato: «finirai su Tennis TV» o altre cose simili.
Una ragione per la quale non viene ancora consentito agli arbitri di guardare il replay delle azioni ambigue è che in alcuni campi non avranno comunque a disposizione tutti i replay, quindi un caso come quello di Draper non sempre potrà essere risolto immediatamente, anche quando ci sarà l’occhio di falco ovunque: questo creerebbe una disparità tra i tennisti più forti e noti, che giocano quasi sempre nei campi principali (dove abitualmente ci sono più telecamere a disposizione) e quelli che invece giocano nei campi più periferici dei circoli che organizzano i tornei.
Ciò non toglie che probabilmente si risolverebbe la maggior parte delle situazioni dando più potere all’arbitro di rivedere le sue decisioni, anche perché il tennis è uno sport dove la soggettività è decisamente inferiore, e ci sono pochissime situazioni che non verrebbero chiarite in maniera univoca guardando un replay. Una di queste potrebbe essere la chiamata di un giocatore di un disturbo (hindrance, in inglese) da parte dell’avversario o del pubblico, che se accordato fa ripetere il punto: in casi del genere la persona che deve decidere e valutare la situazione il più velocemente possibile rimane l’arbitro.
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