La famiglia che vendeva l’ora esatta a Londra

Per oltre un secolo i Belville andarono all'Osservatorio di Greenwich per sincronizzare il loro orologio e poi mostrarlo a decine di clienti in città

Ruth Belville riceve un certificato di accuratezza all'Osservatorio di Greenwich attorno al 1903
Ruth Belville all'Osservatorio di Greenwich attorno al 1903 (Fox Photos/ Hulton Archive/ Getty Images)
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Oggi abbiamo un sacco di modi per sapere che ore sono: ce lo dicono gli smartphone e i computer, così come i tabelloni dei mezzi pubblici, la radio e la tv e, naturalmente, gli orologi. Prima che tutto ciò esistesse tuttavia sapere con una certa precisione se fossero le 11 o le 11:05 non era tanto semplice. Così tra Ottocento e Novecento una famiglia di Londra ebbe la geniale intuizione di “vendere l’ora esatta”.

John Belville mise in piedi un servizio a pagamento per permettere alle persone di sincronizzare gli orologi con il suo, che registrava l’ora esatta all’Osservatorio di Greenwich, poco fuori città, dove lavorava. Ma per quasi cinquant’anni il servizio venne svolto da sua figlia, Elizabeth Ruth Belville, che ebbe tanto successo da finire per essere conosciuta come la “Greenwich Time Lady”, la signora dell’ora di Greenwich, la donna che vendeva l’ora.

A inizio Ottocento non esistevano strumenti che indicassero con precisione l’ora esatta. Sostanzialmente ogni città regolava il proprio orario osservando la posizione del sole, e le persone sincronizzavano gli orologi in base a quello. Questo però era un bel problema per le attività che avevano necessità di conoscere con precisione l’ora esatta per organizzare i loro servizi, in particolare le ferrovie; inoltre capitava che gli orologi delle chiese e quelli degli edifici pubblici mostrassero orari differenti anche a poche centinaia di metri di distanza.

Nel Regno Unito era stato stabilito che l’ora esatta dovesse essere quella misurata dagli astronomi dell’Osservatorio reale di Greenwich, quello da cui passa il “meridiano zero” che utilizziamo ancora oggi. L’unica garanzia per conoscerla quindi era avere qualcuno che andasse lì, con il risultato che ogni giorno all’Osservatorio arrivavano gli addetti di banche, grosse aziende e orologiai che regolavano i loro orologi per poi permettere di farlo con gli altri in città.

Stufo dell’andirivieni, nel 1836 l’astronomo dell’Osservatorio George Airy limitò l’accesso a un solo giorno alla settimana, il lunedì. John Belville, che al tempo lavorava come assistente di Airy, sfruttò così la sua situazione privilegiata per mettere in piedi un servizio che portasse l’ora esatta direttamente a Londra: i suoi circa 200 clienti pagavano un abbonamento annuale per poter consultare una volta alla settimana il suo orologio, che faceva portare in giro da dei garzoni, e aggiustare di conseguenza il loro.

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BBC News racconta che l’orologio era accurato al decimo di secondo e che Belville lo aveva soprannominato “Arnold” dal nome di John Arnold, l’orologiaio che lo aveva fabbricato per il duca di Sussex, il quale però lo aveva rifiutato perché a suo dire sembrava «una padella» di quelle usate dalle persone allettate. Quando Belville morì, nel 1856, la sua attività fu portata avanti dalla moglie Maria, che continuò a usare “Arnold” e a portarlo personalmente di casa in casa, di negozio in negozio, fino al 1892, quando smise di lavorare.

Anche se al tempo il telegrafo era uno strumento già molto diffuso per trasmettere ogni tipo di informazione, molti clienti preferirono continuare a usare il servizio che conoscevano e che ritenevano più affidabile: così Ruth Belville andò avanti a vendere l’ora esatta per quasi cinquant’anni sempre con “Arnold”, nonostante la concorrenza.

In un’intervista data nel 1939 a Donald de Carle, membro dell’Istituto britannico di orologeria, Belville raccontò che andava da Londra a Greenwich con il suo orologio nella borsetta fino a tre volte alla settimana. Faceva in modo di arrivarci appena prima delle 9, in tempo per bere un tè con il custode dell’Osservatorio, e poi regolava le lancette all’ora esatta, ottenendo un documento che lo certificasse. Dopodiché tornava in centro a Londra per fare il giro delle decine di clienti che visitava regolarmente.

Il suo servizio funzionava perché c’era sempre più necessità di conoscere l’ora esatta, come mostrano le lamentele raccolte dai giornali di inizio Novecento sugli orologi che segnavano l’ora sbagliata. Nel tempo crebbe anche la concorrenza, come quella della Standard Time Company, un’azienda che aveva brevettato un sistema per sincronizzare gli orologi, o quella della BBC, che era stata fondata nel 1922 e dal 1924 cominciò a trasmettere il suo segnale orario conosciuto ancora oggi. Farsi dire l’ora esatta da Belville però era in parte un’abitudine e in parte una garanzia.

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A un certo punto il direttore della Standard Time Company, John Wynne, sostenne che l’ora sbagliata negli orologi pubblici di Londra fosse da attribuire al metodo «buffamente antiquato» di Belville, e che fosse «direttamente responsabile di una quantità considerevole di perdite economiche» per le attività della città. Anziché influire negativamente sul suo lavoro, tuttavia, le critiche contribuirono a farla conoscere ancora di più.

Come spiega BBC News, avere un servizio così personalizzato diventò una moda, e regolare l’ora esatta tre volte a settimana un simbolo di prestigio. La storia di Belville finì tra le altre sulla rivista Tatler e sul quotidiano Evening News, dove era ormai nota come la signora dell’ora di Greenwich.

Ruth Belville continuò a lavorare fino al 1940: aveva 86 anni e con la Seconda guerra mondiale non era più sicuro andare in giro per strada a vendere l’ora esatta. Morì nel 1943, e con la sua morte dopo oltre cent’anni cessò anche l’attività di famiglia. Come segno di riconoscimento per il suo lavoro, negli ultimi anni della sua vita l’associazione degli orologiai britannici le aveva riconosciuto una pensione: lei in cambio aveva donato “Arnold” al Museo degli orologiai, che fa parte del Museo della Scienza di Londra, dove è tuttora conservato.