Il grande sciopero dei giudici e dei lavoratori dei tribunali in Messico
Contro un'ampia riforma proposta dal presidente López Obrador, che prevede che tutti i giudici federali e della Corte Suprema siano eletti dalla popolazione
In Messico l’Associazione dei giudici e dei magistrati federali ha deciso che a partire da mercoledì si unirà al grande sciopero indetto questa settimana dal sindacato dei lavoratori della magistratura federale per protestare contro la riforma del sistema giudiziario voluta dal presidente Andrés Manuel López Obrador: si prevede che più di 1.400 giudici e magistrati parteciperanno allo sciopero, cominciato formalmente lunedì, così come una buona parte dei 55mila dipendenti dei tribunali.
Il punto più contestato del disegno di legge è quello che propone di rendere elettive le cariche dei giudici federali e della Corte Suprema, che sono circa 1.650. La riforma è stata descritta come uno dei più rilevanti cambiamenti al sistema giudiziario messicano degli ultimi decenni ed è da inserire nell’ambito di un progressivo deterioramento dei rapporti fra López Obrador e la magistratura, specialmente la Corte Suprema, che nell’ultimo anno ha impedito l’attuazione di diverse proposte del presidente.
Attualmente in Messico tutti i giudici vengono nominati sulla base di qualifiche, titoli di studio e anni di esperienza, come succede già in molti altri paesi. I giudici della Corte Suprema vengono proposti dal presidente e nominati dal Senato, per un mandato rinnovabile di 15 anni, e a loro volta nominano i giudici delle corti federali inferiori. Negli ultimi anni questo sistema è stato sempre più criticato da López Obrador e dai suoi alleati, che hanno accusato la magistratura di essere basata su un sistema di «corruzione e privilegi». Rendere queste cariche elettive li obbligherebbe invece, secondo questa logica, a rendere conto del loro operato alla popolazione, che li voterebbe in elezioni organizzate a livello federale.
Il Messico è un paese con noti problemi di corruzione, che riguardano da sempre anche parte del sistema giudiziario. Il governo sostiene che rendere elettive le cariche dei magistrati potrebbe contribuire a rendere più trasparente il loro operato, ma non è del tutto chiaro come questo possa avvenire. Inoltre secondo molti il problema principale del sistema giudiziario non riguarda le corti più alte, interessate dalla riforma, ma le indagini preliminari e la polizia, che sono spesso inefficaci, infiltrate dalla criminalità organizzata e gestite con alti livelli di inefficienza.
Secondo i sindacati e le associazioni di categoria passare da un sistema nominale a uno elettivo, in cui i giudici devono candidarsi e fare campagna elettorale, non servirebbe quindi a risolvere le criticità del sistema e ne creerebbe di nuove.
Alcuni esperti di diritto sostengono che, se approvata, la riforma potrebbe avere l’effetto di politicizzare la magistratura e renderla più dipendente dal governo, cosa già successa in altri paesi che hanno approvato riforme simili, come la Bolivia: prevedibilmente molti giudici cercherebbero di vincere le elezioni avvicinandosi a Morena, il partito di López Obrador, di gran lunga il più popolare fra gli elettori messicani.
Significa che a essere eletti alle più alte cariche del sistema giudiziario potrebbero essere non le persone più qualificate, ma quelle con più connessioni politiche e doti comunicative, indipendentemente dalla loro esperienza. Oltre ai problemi che potrebbe causare al funzionamento del sistema giudiziario, questa possibilità è particolarmente criticata dai giudici che hanno accumulato anni di carriera per poter accedere a posizioni che ora sarebbero aperte anche a persone con molta meno esperienza.
Il fatto che i giudici debbano candidarsi espone inoltre al rischio che le loro campagne elettorali vengano finanziate, oltre che dai partiti e dai tradizionali gruppi di interesse, anche dai cartelli del narcotraffico, noti per le loro intromissioni nella politica messicana.
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López Obrador è la figura politica più rilevante e carismatica degli ultimi trent’anni in Messico, e la sua presidenza (che è cominciata nel 2018 e terminerà in autunno) è stata particolarmente accentratrice. Tra le altre cose, è stata caratterizzata da efficaci politiche di riduzione della povertà e da uno stile di comunicazione presenzialista ed energico, che lo ha reso molto amato.
Al tempo stesso, i suoi oppositori l’hanno spesso accusato di tendenze autoritarie, dato che nei suoi anni da presidente ha sviluppato una certa intolleranza nei confronti della stampa e dei media e ha proposto leggi per allentare i controlli democratici di vari enti statali, aumentando i poteri del governo.
A questa si è più recentemente aggiunto l’astio nei confronti della magistratura, e specialmente della Corte Suprema, da quando alla fine del 2022 i suoi giudici hanno eletto come nuova presidente la giudice Norma Lucía Piña Hernández. Da allora la Corte si è opposta in maniera piuttosto sistematica alle proposte di López Obrador, dopo che negli ultimi quattro anni l’organo era stato guidato dal giudice Arturo Zaldívar, considerato molto vicino al presidente.
Se lo sciopero non otterrà risultati, la riforma dovrebbe essere votata all’inizio di settembre dalla Camera e dal Senato: trattandosi di una riforma costituzionale sarà necessaria una maggioranza di due terzi per entrambi i voti, che López Obrador conta di riuscire a raggiungere grazie ai parlamentari del suo partito, Morena, e a quelli degli alleati. Anche Claudia Sheinbaum, la nuova presidente del Messico che prenderà il posto di López Obrador a ottobre, fa parte di Morena ed è favorevole alla riforma.
Se passasse, gli 11 giudici della Corte Suprema e metà dei magistrati perderebbero il loro incarico e le loro posizioni verrebbero coperte dai vincitori e dalle vincitrici di un’elezione straordinaria che si dovrebbe tenere a giugno del 2025. Le restanti verrebbero invece decise da un’elezione programmata per il 2027.
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