Ci sono voluti 18 anni per iniziare a estrarre gas da uno dei più grandi giacimenti italiani

Ricorsi e ritardi avevano finora impedito di sfruttare i quattro pozzi chiamati Argo Cassiopea nel mare al largo della Sicilia

Il punto della costa di Gela dove viene portato il gas estratto dai pozzi di Argo Cassiopea
Il punto della costa di Gela dove viene portato il gas estratto dai pozzi di Argo Cassiopea (Eni)
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Eni, la più importante società energetica italiana, ha annunciato di aver iniziato a estrarre gas naturale da uno dei più grandi giacimenti italiani, chiamato Argo Cassiopea, 22 chilometri al largo della costa siciliana di fronte alla città di Licata. I lavori di costruzione delle condutture per portare il gas nella rete nazionale sono durati tre anni, un tempo che la stessa Eni considera contenuto se paragonato a progetti simili. Dell’esistenza del giacimento Argo Cassiopea, tuttavia, si sapeva da molto più tempo: Eni lo scoprì 18 anni fa, tra il 2006 e il 2008, quando iniziò la lunga procedura burocratica che tra lentezze e ricorsi ha portato a iniziare i lavori solo nel 2021.

Argo Cassiopea è costituito da quattro pozzi sottomarini. Il primo, chiamato Argo 1, fu scoperto nel 2006 grazie a una campagna di perforazione dei fondali nel canale di Sicilia. Nel luglio del 2008 fu scoperto altro gas grazie al pozzo Cassiopea 1, aperto a una profondità di circa 560 metri. Nel 2008 venne individuato anche Argo 2 che confermò la presenza di molto gas nei fondali al largo della costa siciliana: secondo le stime di Eni il giacimento ne contiene circa 10 miliardi di metri cubi.

Quando l’estrazione sarà a regime, si potranno ottenere circa 1,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. È una quantità non trascurabile per il fabbisogno energetico dell’Italia, dove nel 2023 sono stati consumati in totale quasi 68,5 miliardi di metri cubi di gas. Di questi, 2,9 miliardi di metri cubi sono garantiti dalla produzione nazionale, cioè dall’estrazione di gas da giacimenti italiani. La quasi totalità del gas viene comprata all’estero e importato attraverso metanodotti oppure su navi metaniere che trasportano gas naturale liquefatto (GNL), immesso nella rete nazionale dopo un processo di rigassificazione.

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Negli ultimi due anni l’Italia ha acquistato molto più GNL rispetto al passato per ridurre la dipendenza dalla Russia, da cui veniva importata la maggior parte del gas: fino all’inizio del 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, circa il 40 per cento delle forniture europee di gas era assicurato dai giacimenti russi. Aumentare la produzione nazionale con lo sfruttamento dei giacimenti scoperti in Italia consente di limitare i costi di importazione dall’estero, che sono elevati soprattutto per il GNL.

Il gas estratto da Argo Cassiopea viene trasportato attraverso una condotta sottomarina lunga 60 chilometri fino a un impianto di trattamento a Gela, in provincia di Caltanissetta, all’interno dell’area già occupata da decenni da raffinerie. Una volta trattato, il gas viene poi immesso nella rete nazionale e distribuito in case e aziende. I comuni interessati dal passaggio delle condutture – Gela, Licata e Butera – riceveranno circa 15 milioni di euro all’anno come royalties, cioè tasse per il diritto di passaggio degli impianti sul territorio.

Il rapporto tra Eni e le amministrazioni locali non è stato sempre pacifico come ora, anzi: l’opposizione dei comuni e della Regione Siciliana è stato uno dei motivi per cui l’estrazione del gas è iniziata 18 anni dopo la scoperta dei giacimenti. La prima a opporsi al progetto fu proprio la Regione che nel 2010 diede un parere negativo alla richiesta di autorizzazione presentata dall’Eni perché contraria alle trivellazioni nel mare.

La Valutazione di impatto ambientale, una procedura portata avanti dai ministeri (in particolare quello dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico), andò piuttosto a rilento anche per via dei ricorsi presentati da alcuni comuni – Santa Croce Camerina, Palma di Montechiaro, Licata e Ragusa – e da associazioni ambientaliste come WWF Italia e Legambiente. Tra il 2014 e il 2016 i ricorsi vennero respinti sia dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sia in seguito dal Consiglio di Stato, l’ultimo grado di giudizio nella giustizia amministrativa.

Le associazioni ambientaliste si appellarono al TAR per evidenziare le conseguenze sull’ecosistema locale della costa siciliana, comunque molto contenute per come sono stati pensati gli impianti, e più in generale per contestare gli investimenti nell’estrazione di gas naturale. In particolare Legambiente sostiene che gli sforzi economici per scoprire nuovi giacimenti rallentino la transizione energetica, cioè il passaggio dall’utilizzo dei combustibili fossili, come il gas e il petrolio, all’energia da fonti rinnovabili come quella idroelettrica, eolica e solare.

Dopo il superamento dei ricorsi le procedure andarono avanti comunque molto lentamente per il ritardo di un parere sempre della Regione Siciliana, poi per la mancanza di un documento del ministero dei Beni culturali, infine per la firma di un decreto da parte dell’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa, indicato dal Movimento 5 Stelle. Molti ritardi furono accumulati proprio negli anni in cui era al governo il Movimento 5 Stelle, che negli anni precedenti si era sempre opposto alle trivellazioni per scoprire gas e petrolio. Tra le altre cose, nel 2016 il Movimento 5 Stelle aveva sostenuto il cosiddetto referendum sulle trivelle (che però riguardava un altro aspetto della vicenda).

Solo negli ultimi anni, soprattutto dopo l’invasione russa in Ucraina, i governi hanno ripreso a commissionare campagne di ricerca di gas e petrolio in Italia. Le stime di quanto gas sia conservato nei giacimenti italiani sono estremamente difficili da fare. Le riserve “certe”, cioè quelle che possono essere estratte e commercializzate con una probabilità superiore al 90 per cento, ammontano a circa 40 miliardi di metri cubi (di cui 22 miliardi sulla terraferma e 18 in mare); le riserve “probabili”, che possono essere estratte con una probabilità superiore al 50 per cento, ammontano a 44,5 miliardi di metri cubi, e infine quelle “possibili”, con probabilità inferiore al 50 per cento, ammontano a 26,7 miliardi di metri cubi di gas. Tutto considerato, contando che buona parte delle riserve “probabili” e “possibili” non può essere estratta in maniera conveniente, si stima che le riserve italiane utilizzabili ammontino a circa 70 miliardi di metri cubi di gas.

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