Le regioni italiane alle prese con la crisi idrica
In molte zone del centro e del sud sono stati imposti severi razionamenti a residenti e agricoltori, con disagi particolarmente gravi in Sicilia, Sardegna, Abruzzo e Puglia
A Caltanissetta, in Sicilia, il sindaco ha chiesto a chi ha un pozzo di condividerne l’acqua con altri residenti. Da più di un mese in alcune località in provincia di Chieti, in Abruzzo, ogni giorno gli abitanti si mettono in fila con taniche e secchi per l’erogazione di acqua da autobotti che passano a rifornirli. Molti alberghi delle più famose località turistiche della Costa Smeralda, in Sardegna, si sono attrezzati con cisterne private per non lasciare i turisti senza acqua.
Sono diverse le regioni italiane, soprattutto al centro e al sud, che in queste settimane stanno facendo i conti con le conseguenze di una grave crisi idrica, tra le peggiori degli ultimi anni: è il risultato di piogge più scarse combinate con storiche inefficienze strutturali di alcuni territori, sia nella gestione delle riserve d’acqua che nella distribuzione in una rete vecchia e fatiscente. Le conseguenze sono particolarmente serie in Sicilia, Abruzzo, Sardegna e Puglia, che stanno gestendo autonomamente l’emergenza, e solo parzialmente coordinate dal governo: il commissario straordinario per la siccità, Nicola Dall’Acqua, nominato a maggio dello scorso anno, si sta occupando soprattutto dei progetti a lungo termine.
In una lunga analisi pubblicata sul Foglio di lunedì Giulio Boccaletti, esperto di sicurezza delle risorse naturali, ha messo in fila alcune della cause che contribuiscono alle crisi idriche in Italia: la scarsità delle piogge è solo uno dei vari fattori, e il sistema di gestione dell’acqua dovrebbe invece garantire forniture costanti anche quando piove meno, grazie a un sistema efficiente di riserve e bacini idrici. Questo in Italia avviene solo in parte, e servirebbero ingenti investimenti per mettere a posto un’infrastruttura vecchia e inadeguata, che deve adattarsi a un clima che porrà sempre più problemi di questo tipo.
Le perdite lungo la rete sono poi un’altra criticità: anche se non sono la causa principale della scarsità di acqua, il fatto che ogni giorno dalla rete di distribuzione se ne disperda una notevole quantità contribuisce a rendere ancora più grave ogni crisi idrica, oltre che causare perdite economiche notevoli. La rete di distribuzione è vecchia, soggetta a frequenti rotture e perdite costanti: secondo gli ultimi dati dell’Istat mediamente in Italia nell’erogazione si perde ogni giorno circa il 40 per cento dell’acqua, con una grande eterogeneità tra le regioni. Quelle con una rete più malmessa sono la Basilicata, l’Abruzzo e il Molise, dove va perso circa il 60 per cento dell’acqua distribuita; quelle con una rete migliore sono la provincia autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta, dove le perdite sono limitate al 25 per cento.
Per la crisi idrica in corso la Sicilia è la regione messa peggio e dove la scarsità di acqua dura da quasi un anno e mezzo. È una regione abituata ad affrontare periodi di siccità, ma questo è diventato troppo lungo da sostenere. A parte qualche precipitazione poco significativa, in Sicilia non ci sono piogge regolari da tempo e le conseguenze della mancanza d’acqua sono evidenti: i laghi artificiali sono vuoti, molti fiumi sono in secca e gli agricoltori non riescono a irrigare i campi.
La regione a marzo aveva dichiarato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre di quest’anno (una particolare condizione che permette di saltare diverse procedure burocratiche e quindi anche di ottenere e usare fondi in tempi più rapidi); da gennaio è poi in corso un razionamento dell’acqua potabile, che in queste settimane è arrivato a coinvolgere 2 dei 5 milioni di abitanti della regione.
La situazione è particolarmente difficile nell’ovest e nel sud dell’isola. Ad Agrigento, come in molti altri comuni, l’acqua viene distribuita con le autobotti ogni 15 giorni. Questa soluzione sta causando però alcuni problemi secondo molte associazioni locali, per cui i distributori starebbero speculando sull’emergenza con tariffe spropositate. Proprio per cercare di rimediare alla situazione nella provincia, all’inizio del mese la regione aveva chiesto alla Marina militare una nave cisterna con cui rifornire l’area: il servizio si è però rivelato troppo costoso e ne ha infine deciso la sospensione.
A Caltanissetta, dove in alcune zone l’acqua manca da quasi due mesi, il sindaco Walter Tesauro ha chiesto alle persone che hanno un pozzo di metterlo a disposizione di altre. In vari comuni i sindaci dispongono trivellazioni estemporanee per cercare nuovi pozzi, e dunque nuove fonti d’acqua.
Le consuete modalità di gestione della siccità non stanno funzionando: solitamente danno un grosso contributo gli invasi artificiali, cioè bacini di acqua creati tra le altre cose per essere una riserva in caso di scarsità. Ma la mancanza di piogge e il caldo ne hanno fatto scendere il livello: attualmente sei bacini su 29 non hanno più acqua utilizzabile. La regione sta anche valutando se sia il caso di spostare altrove la fauna ittica degli invasi con un livello più basso e dove c’è un concreto rischio di morìa di pesci, che renderebbe inutilizzabile l’acqua a fini potabili.
Tra le soluzioni di lungo termine la regione sta addirittura pensando di riattivare i dissalatori, impianti che prelevano l’acqua salata del mare, la filtrano e ne ricavano acqua dolce che viene immessa nella rete idrica, ma la cui gestione è molto costosa.
L’assenza prolungata di pioggia in Sicilia è aggravata da storici problemi infrastrutturali: più del 50 per cento dell’acqua immessa nelle reti idriche della regione viene perso a causa della scarsa manutenzione. Della siccità in Sicilia si è occupata anche la stampa internazionale e in particolare il New York Times, che in un articolo del 24 luglio parlava del timore che oltre a causare gravi perdite agricole la carenza d’acqua avrebbe compromesso anche i ricavi del settore turistico.
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Ci sono grossi problemi anche in Abruzzo, che sta affrontando le conseguenze della più grave crisi idrica degli ultimi vent’anni. I problemi qui sono soprattutto strutturali: i bacini sono inefficienti, e la rete è ormai fatiscente. L’Abruzzo è la seconda regione in Italia per perdite nella distribuzione, e in alcuni comuni le dispersioni superano il 70 per cento dell’acqua erogata. Nell’ultimo mese la situazione è diventata critica anche a causa delle condizioni climatiche e delle piogge più scarse, ma le interruzioni sono frequenti anche in periodi normali e di non siccità. La giunta regionale ha chiesto al governo l’attivazione dello stato di emergenza.
La crisi è particolarmente grave nelle province di Chieti e Pescara, dove i disagi sono aggravati anche dalla stagione turistica, che aumenta il fabbisogno di acqua. Secondo la Sasi, la società che gestisce la rete idrica nella provincia di Chieti, la portata della sorgente locale è inferiore del 30 per cento rispetto alla media stagionale e di quasi il 40 rispetto al fabbisogno. Le previsioni per le prossime settimane sono addirittura peggiori, tra scarse precipitazioni e temperature sopra la norma.
Da settimane i residenti di decine di comuni sono soggetti a razionamenti dell’acqua corrente: dove va bene c’è solo di giorno, e dove va male solo la mattina, fino alle 13. Le forniture sono state integrate con alcune autobotti dei gestori e di società esterne. In alcuni comuni come San Buono, Gissi e Monteodorisio, intorno alla località marittima di Vasto, in provincia di Chieti, i residenti fanno la fila con secchi e bacinelle per raccogliere l’acqua da portare in casa. Alcuni comuni hanno addirittura messo a disposizione cisterne con acqua non potabile, da cui attingere solo per l’igiene personale e per la pulizia.
Ci sono disagi anche in Umbria, dove in vari comuni è stato vietato l’uso dell’acqua potabile per attività non essenziali, come la pulizia dei vialetti o l’irrigazione dei giardini.
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La Sardegna è un’altra regione dove ci sono grossi problemi nelle forniture d’acqua. E questo nonostante da anni abbia un modello considerato tra i più virtuosi nella gestione dell’acqua, che molte altre regioni vorrebbero replicare: due terzi delle forniture dipendono dall’efficienza dei bacini artificiali, sotto il controllo di un’unica autorità che ha accentrato la gestione, la manutenzione e le decisioni sugli investimenti.
Il problema è che la scarsità delle piogge ha messo in crisi anche il modello sardo: gli invasi sono molto meno pieni rispetto agli scorsi anni, e in molte zone da maggio sono stati disposti razionamenti nelle forniture. Le aree più colpite sono quelle orientali, dall’entroterra fino alla costa, dove peraltro la domanda è assai sostenuta per il consueto afflusso di turisti in questo periodo dell’anno.
Le associazioni del turismo hanno segnalato che molti albergatori si sono organizzati da soli per garantire l’erogazione di acqua ai loro ospiti, tramite cisterne o dissalatori: il che ha comportato un consistente aumento dei costi, e dunque dei prezzi finali per i turisti.
A fine luglio la regione ha dichiarato lo stato di emergenza.
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In Puglia la crisi idrica ha avuto effetti soprattutto sul settore agricolo, mentre l’erogazione di acqua potabile ai residenti e alle strutture turistiche non ha subìto limitazioni. Piogge più scarse hanno richiesto un ricorso più assiduo all’irrigazione dei campi e delle colture, e la regione ha chiesto una limitazione nei consumi d’acqua, soprattutto a causa del basso livello di invasi e dighe a cui fanno ricorso gli agricoltori locali. La diga di Occhito, al confine tra Puglia e Basilicata e principale punto di fornitura di acqua per le aziende agricole intorno a Foggia, è stata chiusa per garantire l’acqua rimanente a uso potabile. La regione ha chiesto al governo 307 milioni di euro dai fondi europei di coesione per fare interventi nel settore idrico.
Al sud ci sono grossi disagi anche in Calabria, dove in alcuni comuni la pressione dell’acqua è al minimo e in certi casi le forniture sono state interrotte. La regione ha chiesto l’attivazione dello stato di emergenza.
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