Il Nicaragua ha sciolto altre 1.500 associazioni, nell’ambito della crescente repressione dei diritti civili nel paese

Un veicolo della polizia davanti all'Accademia della Lingua del Nicaragua, chiusa in seguito a una decisione del parlamento. Managua, 21 maggio 2022 (REUTERS/ Maynor Valenzuela)
Un veicolo della polizia davanti all'Accademia della Lingua del Nicaragua, chiusa in seguito a una decisione del parlamento. Managua, 21 maggio 2022 (REUTERS/ Maynor Valenzuela)

Il governo del Nicaragua, nell’America centrale, ha sciolto 1.500 associazioni senza fini di lucro che secondo il ministero dell’Interno non avrebbero rispettato gli obblighi di legge relativi alla presentazione dei loro bilanci, alle donazioni ricevute e ad altre questioni formali, come il loro organigramma. Il provvedimento è stato pubblicato lunedì sulla Gazzetta ufficiale locale, è stato firmato dalla ministra dell’Interno María Amelia Coronel Kinloch e riguarda centinaia di associazioni religiose, ma anche numerose federazioni sportive, club culturali e gruppi per i diritti delle donne, dei giovani e delle persone indigene. Oltre allo scioglimento delle associazioni, l’ennesimo nell’ambito della crescente repressione dei diritti civili nel paese, la norma prevede la confisca dei loro beni mobili e immobili.

Il Nicaragua si trova tra Honduras e Costa Rica, ha circa 7 milioni di abitanti ed è governato in maniera sempre più autoritaria dal presidente Daniel Ortega, lo storico leader del Fronte di Liberazione Sandinista, l’organizzazione socialista che con l’ultima rivoluzione armata dell’America Latina nel 1979 mise fine alla dittatura di Anastasio Somoza. Fu eletto presidente del Nicaragua per la prima volta nel 1985 e poi ancora nel 2006, dopo aver perso tre elezioni di fila: è presidente dal gennaio del 2007.

Nel tempo Ortega ha fatto arrestare decine di politici, giornalisti e attivisti ritenuti ostili al suo regime, e ha fatto sciogliere più di 5mila media, organizzazioni non governative e associazioni culturali e scientifiche. Ma ha anche espulso ordini religiosi e missionari e chiuso radio e televisioni legate alla Chiesa cattolica, accusandola di minacciare la tenuta del suo governo. La condanna di un vescovo cattolico a 26 anni e quattro mesi di carcere all’inizio del 2023 per le accuse di alto tradimento e di diffusione di notizie false era stata la ripercussione più grave del pessimo rapporto tra la Chiesa cattolica e il suo regime.