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  • Domenica 18 agosto 2024

Il videogioco da cui per diversi anni dipese la vita di molti venezuelani

Il fantasy “Old School RuneScape” fu un modo per mantenersi durante la crisi economica, finché i problemi del paese non diventarono anche virtuali

Una rifugiata venezuelana con in braccio suo figlio (AP/Matias Delacroix)
Una rifugiata venezuelana con in braccio suo figlio (AP/Matias Delacroix)
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Tra il 2017 e il 2020, nei momenti peggiori della crisi economica del Venezuela, molti venezuelani trovarono un modo improbabile, ma a modo suo efficace, per riuscire a guadagnare abbastanza per sopravvivere: giocare a Old School RuneScape, un videogioco online di ruolo che permetteva di accumulare monete virtuali che poi rivendevano in cambio di valuta straniera a giocatori che vivevano in altri paesi. La cosa andò avanti per un pezzo, ma poi, in maniera anche sorprendente, i problemi reali che condizionavano il Venezuela si trasferirono nel mondo di fantasia di Old School RuneScape, facendo saltare un po’ tutto.

RuneScape è un gioco di ruolo online per più giocatori. Ogni giocatore, cioè, si crea un personaggio e si muove all’interno di una mappa (un mondo fittizio, chiamato Gielinor) che è la stessa per tutte le persone collegate, e in cui si può interagire con gli altri giocatori: per scambiarsi oggetti, per esempio, oppure per compiere determinate missioni, combattere l’uno contro l’altro, concludere delle alleanze.

Nel 2013 Jagex, la compagnia sviluppatrice del gioco, pubblicò Old School RuneScape, una versione del gioco che utilizzava la grafica essenziale tipica dei videogiochi dell’inizio degli anni Duemila. Dal momento che il suo design era molto povero, il gioco funzionava anche con computer e connessioni internet poco potenti, una caratteristica che lo rendeva accessibile anche ai giocatori venezuelani.

RuneScape non si basa sul superamento di livelli: non ha quindi, un inizio e una fine convenzionali, e lascia i giocatori liberi di decidere quali avventure vivere all’interno del proprio mondo fantastico. All’interno del gioco, i giocatori scoprono un po’ alla volta il territorio, e migliorano le abilità e il punteggio del proprio personaggio compiendo diverse attività. Possono anche guadagnare delle monete d’oro, che sono la valuta del gioco, oppure degli oggetti speciali, che poi possono essere scambiati con altre monete d’oro.

È proprio per ottenere queste monete d’oro che molti venezuelani cominciarono a giocare ossessivamente a Old School RuneScape, facendolo diventare un lavoro a tutti gli effetti: le monete d’oro di Gielinor, infatti, potevano essere rivendute facilmente nel mondo reale in cambio di valuta straniera, principalmente dollari americani.

È quello che in gergo viene definito «gold farming» (letteralmente, “coltivazione dell’oro”): i venezuelani passavano giornate intere all’interno del gioco per accumulare, con piccole attività ripetitive e noiose, che non richiedevano particolari abilità (per esempio tagliare alberi o pescare dei pesci), monete d’oro che poi vendevano a giocatori di paesi più ricchi, che avevano bisogno di queste risorse ma non volevano perdere tempo.

Il gold farming è vietato (è considerato una pratica sleale, e chi lo fa rischia la sospensione del proprio account). La compravendita era un affare rischioso, quindi, e avveniva al di fuori del gioco. Il gold farmer venezuelano e il compratore si accordavano su un forum o un sito esterno e poi si davano appuntamento nel gioco: lì, tra i profili dei due giocatori, avveniva lo scambio di monete d’oro. Il compratore quindi versava la cifra pattuita sul conto corrente venezuelano del farmer.

Era un’attività che poteva fruttare, a un giocatore, venti o trenta dollari a settimana. Spesso si trattava di cifre superiori al salario mensile di un lavoratore venezuelano, che all’epoca si aggirava sui 10 dollari. In più, benché piccole, queste somme erano pagate in dollari, una valuta stabile e sicura, in un momento in cui invece la valuta del paese, il bolivar, a causa dell’inflazione non valeva quasi niente.

«Quando abbiamo iniziato a giocare guadagnavamo circa 20 dollari a settimana», hanno raccontato Yoryelin Ravelo e Humberto Bogarín, di Ciudad Guayana, nell’est del Venezuela, che nel 2018 erano studenti universitari. Ravelo e Bogarín passavano tra le dieci e le dodici ore a uccidere draghi su RuneScape per accumulare monete d’oro. «Andavamo avanti finché reggevamo, poi si arrivava a un punto dove la tua testa e i tuoi occhi semplicemente non rispondevano più. A quel punto smettevamo di giocare».

Dal 2016 al 2018, più di un milione di venezuelani lasciarono il paese perché le condizioni economiche e la carenza di beni di prima necessità avevano reso la loro vita impossibile. Bogarín ha detto che «RuneScape fu uno dei motivi per cui noi non emigrammo: la gente se ne andava perché aveva fame. Anche noi avevamo delle ristrettezze ma almeno avevamo abbastanza soldi per comprarci da mangiare, che era il problema principale».

In un documentario del 2020 intitolato Digital GoldMiners, il venezuelano Alexis Saladrigas ha raccolto le storie di diversi venezuelani che per anni hanno fatto di Old School RuneScape il loro lavoro. Non erano solo studenti: tra i gold farmers c’era anche chi aveva un vero impiego e lo aveva lasciato perché non guadagnava abbastanza ed era più conveniente giocare a tempo pieno a RuneScape.

«Giocando 10 ore al giorno potresti riuscire a guadagnare anche otto dollari al giorno … e alla fine del mese avrai un salario maggiore di un docente universitario o un dottore», ha spiegato Alex, un altro gold farmer venezuelano, a NPR: «e quando trovi un’opportunità del genere, non la tieni per te. Lo dici ai tuoi amici, e loro lo diranno ai loro parenti. Improvvisamente ti ritrovi con genitori e nonni e persone che non ti saresti mai aspettato che fanno la stessa cosa».

Secondo alcune stime Old School RuneScape nel 2019 aveva un totale di diversi milioni di utenti. È difficile stabilire con esattezza quanti venezuelani ci giocassero per sopravvivere. Erano tanti, però: abbastanza da arrivare a creare dei grossi sconvolgimenti anche all’interno del videogioco, come conseguenza dei problemi reali che stavano vivendo in Venezuela.

Un uomo conta i suoi bolivar e dollari per fare la spesa a un mercato di Caracas, nel 2019

Un uomo conta i suoi bolivar e dollari per fare la spesa a un mercato di Caracas, nel 2019 (AP/Rodrigo Abd)

Accanto all’economia irregolare dei gold farmers, RuneScape ha una complicata economia interna che è parte del gioco: i giocatori possono comprare e vendere oggetti nel mercato virtuale di Gielinor. Sono oggetti necessari per continuare a giocare, e il loro prezzo è regolato dalla domanda e dall’offerta per ogni prodotto in un determinato momento (per i giocatori più scafati esistono anche dei siti che riportano le fluttuazioni dei prezzi, e i margini di guadagno, in tempo reale).

Il 7 marzo 2019 il Venezuela fu colpito da un enorme blackout: per diversi giorni, il paese rimase senza elettricità. Il blackout causò danni a infrastrutture, imprese e privati cittadini: scuole e negozi rimasero chiusi e nella capitale Caracas ci furono proteste e rivolte. Durante il blackout i computer non funzionavano e i venezuelani scomparvero da RuneScape. La loro assenza causò problemi enormi, perché a quel punto i beni essenziali scambiati nel videogioco erano forniti quasi esclusivamente dai giocatori venezuelani, che li accumulavano per venderli dentro Gielinor in cambio delle monete d’oro.

Proprio come avveniva nell’economia reale del Venezuela, anche su Gielinor molti prodotti di base diventarono introvabili da un momento all’altro: il risultato fu un’enorme inflazione dentro RuneScape. I giocatori adesso dovevano giocare per giorni per guadagnare abbastanza da comprare oggetti che prima del blackout sarebbero stati accessibili dopo una partita di poche ore. I problemi dell’economia venezuelana si erano trasferiti dal mondo reale a uno di fantasia.

Dopo qualche mese la situazione era tornata in equilibrio e il numero di venezuelani che giocava a RuneScape era aumentato: durante la pandemia di Covid, con le restrizioni imposte dal governo venezuelano, sarebbe diventato il più alto di sempre, dal momento che per moltissimi venezuelani non c’era altro modo di guadagnarsi da vivere, rimanendo bloccati in casa.

Nel frattempo però i problemi causati dalla presenza dei gold farmers nel gioco avevano generato grande ostilità da parte degli altri giocatori. Alcuni si erano organizzati per eliminare i venezuelani, attaccando chiunque avesse riferimenti al Venezuela nel profilo oppure usasse lo spagnolo nella chat del gioco.

Un gruppo di giocatori era particolarmente violento nei loro confronti: un clan che si faceva chiamare Reign of Terror, formato da giocatori anglosassoni molto abili. Reign of Terror era conosciuto, tra chi giocava a RuneScape, perché controllava le aree più ricche del mondo di Gielinor (quelle che nascondevano i tesori più preziosi). Controllavano il loro territorio virtuale come fossero una gang reale: assicurandosi che ci fossero dei loro giocatori sempre presenti sul posto, e chiedendo a chiunque entrasse nel loro territorio una quota dei futuri profitti, minacciando di uccidere il loro personaggio se non lo avessero fatto.

Dopo l’inflazione causata dal blackout in Venezuela, Reign of Terror decise di eliminare quanti più venezuelani possibile dal gioco, ritenendoli un elemento di disturbo. Essere uccisi all’interno di un videogioco, perdere una partita, è un’esperienza frustrante per i giocatori normali: ma per chi dipendeva da RuneScape per mantenersi perdere il proprio personaggio, e quindi anche le monete d’oro guadagnate, voleva spesso dire perdere soldi necessari per comprare cibo o medicine.

«Ti rivolgevano la parola, e tu gli rispondevi e facevi finta di niente, pregando Dio che non succedesse niente di male», ha raccontato Yoryelin Ravelo: «noi gli scrivevamo hello, in inglese, ma se cominciavano a farti delle domande, era meglio andarsene in fretta».

Come per l’inflazione, anche in questo caso per i venezuelani il mondo di RuneScape e quello reale iniziavano a somigliarsi sempre di più. Dal 2010 al 2020, il Venezuela è stato stabilmente uno dei paesi al mondo con il più alto tasso di omicidi, con cifre superiori alla maggior parte degli altri paesi considerati violenti nell’America Latina.

Un venditore nel quartiere di Petare, a Caracas

Un venditore nel quartiere di Petare, a Caracas (AP/Fernando Vergara)

L’ostilità tra Reign of Terror e i giocatori venezuelani, molti dei quali si erano a loro volta riuniti in clan per aumentare i loro guadagni all’interno del gioco, aumentò fino a provocare quella che Daniel Alarcón e Natalia Sánchez Loayza, giornalisti e autori del podcast Radio Ambulante, hanno definito una «guerra mondiale» dentro RuneScape.

Per quattro mesi, i giocatori di Reign of Terror e i clan venezuelani combatterono gli uni contro gli altri. Per i venezuelani la lotta contro Reign of Terror non era solo una lotta per la sopravvivenza, virtuale e reale: era anche un tentativo di assicurarsi il controllo delle aree più ricche del videogioco e aumentare la quantità di oro che potevano ottenere, e quindi rivendere nel mondo reale.

Fu uno scontro notevole e abbastanza unico anche nel mondo dei videogiochi online: la battaglia finale impegnò migliaia di giocatori, per quattro settimane, senza soste. Una lotta che richiese anche una notevole organizzazione tra i membri dei vari clan, per fare in modo che i giocatori si alternassero e ci fossero sempre abbastanza persone sul campo di battaglia.

La guerra terminò nell’ottobre del 2021. I venezuelani avevano vinto, ma nonostante la vittoria, per loro a quel punto RuneScape cominciava a perdere importanza.

Ancora una volta, la ragione era la situazione economica del Venezuela, che stava avendo ripercussioni concrete all’interno del videogioco. Dopo due anni di pandemia, impoveriti e senza lavoro, c’erano talmente tanti nuovi gold farmers venezuelani e talmente tante monete d’oro in circolazione dentro Gielinor che queste, proprio come stava accadendo per il bolivar venezuelano, non valevano più molto. Essere un gold farmer su RuneScape non era più economicamente conveniente.

Così, un po’ alla volta, i giocatori venezuelani abbandonarono i videogiochi e tornarono a lavorare nel mondo reale. Oppure cominciarono a cercare altri giochi online dove dedicarsi al gold farming. Il fenomeno infatti non è completamente scomparso: in questi anni la situazione economica in Venezuela è rimasta parecchio critica, e il gold farming è ancora abbastanza diffuso, anche se resta complicato capire quanto. Su Facebook ci sono anche adesso gruppi che riuniscono farmers venezuelani attivi su Old School RuneScape e anche altri giochi online, come ad esempio World of Warcraft.

Le dimensioni di questo fenomeno, però, non hanno più eguagliato quelle degli anni tra il 2017 e il 2020. Quando, ha sostenuto Alexis Saladrigas nel suo documentario, molti venezuelani non ricorsero ai videogiochi per evadere dalla realtà, ma piuttosto per affrontarla: «forse non era il modo più semplice di riuscire a prendersi cura delle necessità delle loro famiglie, ma sicuramente ha aiutato a rendere la loro lotta un po’ meno difficile».