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  • Domenica 18 agosto 2024

Cosa fu la convention Democratica di Chicago del 1968

E perché in tanti la stanno ricordando in attesa che cominci quella di quest'anno, nella stessa città e con simili preoccupazioni riguardo alle proteste annunciate

La polizia picchia e disperde i manifestanti a Grant Park, Chicago, durante la convention Democratica del 1968. (AP Photo)
La polizia picchia e disperde i manifestanti a Grant Park, Chicago, durante la convention Democratica del 1968. (AP Photo)
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La convention del Partito Democratico statunitense del 2024 comincerà lunedì 19 agosto a Chicago. È la stessa città che ospitò la convention del 1968, ampiamente ricordata in questi giorni sulla stampa americana: non solo per le sue caratteristiche eccezionali rimaste nella storia della politica statunitense, ma anche per le preoccupazioni che alcune di quelle condizioni che la resero eccezionale si possano ripetere, seppur in scala presumibilmente molto minore, visto che sono annunciate proteste in solidarietà con la Palestina e contro il sostegno militare statunitense a Israele.

A proposito della convention del 1968, pubblichiamo uno degli articoli del decimo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post che spiega approfonditamente singoli temi: si intitola Ogni quattro anni ed è dedicato alla politica degli Stati Uniti e a tutte le storie che ci stanno intorno.

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Nel 1971 Graham Nash, celebrato e adorato cantautore statunitense (famoso nel mondo soprattutto per i suoi dischi e concerti con i colleghi Crosby, Stills e Young), scrisse la canzone che ricordava le manifestazioni, le proteste, le violenze e i processi intorno alla convention Democratica di Chicago del 1968. Solo una delle tantissime occasioni in cui è stata raccontata quella che negli Stati Uniti è considerata «la più disastrosa convention elettorale dell’ultimo secolo», di sicuro la più violenta, e quella che generò conseguenze, alcune delle quali rilevantissime ancora oggi.

La convention si tenne in un centro congressi nella parte meridionale di Chicago alla fine di agosto del 1968: a fare grandi pressioni e ottenerla era stato Richard Daley, leggendario e autoritario sindaco di Chicago (lo fu per 21 anni; superato poi da suo figlio omonimo che fu sindaco per altri 22), desideroso di mostrare al paese il suo potere e i suoi risultati. Ma la convention di Chicago divenne il luogo del fallimento della campagna elettorale Democratica, fuori e dentro l’International Amphitheatre che la ospitava.

Il partito Democratico ci era arrivato molto diviso e con sviluppi convulsi. Il presidente Lyndon Johnson si era ritirato dalla competizione dopo le prime primarie e serie prospettive di sconfitta, rinunciando a un secondo mandato. Uno dei due candidati favoriti era stato ucciso in un attentato meno di tre mesi prima, con enorme trauma del paese e dei suoi sostenitori: Robert Kennedy, senatore e ministro della Giustizia durante
la presidenza di suo fratello John, a sua volta ucciso in un attentato nel 1963. Lyndon Johnson era stato vicepresidente di John Kennedy, era divenuto presidente alla sua morte, ed era stato eletto poi nel 1964.
Il maggiore candidato favorito era rimasto il vicepresidente Hubert Humphrey, ma diverse correnti del partito rifiutavano di sostenerlo.

Hubert Humphrey e il candidato vice presidente Edmund S. Muskie dopo aver ricevuto la nomination Democratica. (AP Photo)

Fino ad allora i candidati erano scelti con un ricorso molto minore e “filtrato” al voto popolare e delle primarie: i leader dei partiti nei diversi stati orientavano le candidature e la composizione delle compagini di delegati
che le avrebbero sostenute.
Le stesse convention erano quindi un luogo di competizione molto più incerto di quanto non siano oggi.

Humphrey finì per ottenere la nomination senza avere partecipato alle primarie in nessuno degli stati in cui si tenevano. Questo sistema pilotato dai capi del partito fu molto contestato durante la convention, soprattutto per le sproporzioni che generava nelle rappresentanze dei delegati: pochissimi erano neri o ispanici, pochissime erano le donne. E da quelle contestazioni nacque una commissione che propose e poi ottenne il sistema odierno delle primarie: che oggi molti accusano di avere consentito eccessi opposti, dando grande potere ai ridotti numeri di partecipazione alle primarie, ai populismi e ai candidati più capaci di mobilitare gli estremismi.

Politicamente il tema di maggior frattura tra le correnti e i candidati in quella convention fu il sostegno alla guerra in Vietnam e la posizione da tenere rispetto alle trattative di pace che erano in corso a Parigi. E la guerra in Vietnam fu soprattutto l’argomento centrale delle proteste che vennero organizzate dai movimenti giovanili per i diritti che nel 1968 ebbero un periodo di straordinario e mai visto protagonismo nel cambiare società e politica di molti paesi occidentali.

Ma il sindaco Daley fece da subito una scelta di divieto e di repressione di qualunque manifestazione che potesse appannare la sua esibizione di successo nell’organizzazione della convention, e mobilitò uno schieramento di forze di polizia e Guardia nazionale senza precedenti, trasformando ampie parti della città in zone militarizzate, con una gestione che un senatore dal palco della convention definì «da Gestapo», tra le vivaci proteste di Daley e dei suoi sostenitori, in uno dei molti tumulti che avvennero all’interno della sala in quei giorni.

Una manifestante contro la guerra in Vietnam durante la convention di Chicago. (Hulton Archive/Getty Images)

Le violenze maggiori però avvennero per le strade della città, in pieno centro e vicino al Grant Park, dove si riunirono più spesso le migliaia di manifestanti arrivati a Chicago: la polizia li caricò bastonandoli e picchiandoli in più occasioni, ripresa dalle dirette televisive delle reti arrivate a seguire la convention. Ma malgrado i cori dei manifestanti, the whole world’s watching, la gran parte del pubblico americano approvò quello che ritenne un necessario ristabilire l’ordine di fronte alle violazioni della legge e alle insurrezioni come vennero raccontate dall’establishment politico.

Solo nei decenni successivi la spietatezza e l’illegalità di quelle repressioni furono più ampiamente riconosciute, a cominciare dalle sentenze che assolsero da gran parte delle accuse più gravi i molti manifestanti arrestati in quei giorni (il processo più famoso, quello detto ai “Chicago seven”, è raccontato in un film scritto e diretto da Aaron Sorkin, l’autore di The West Wing).

Un manifestante fermato dalla polizia. (APA/Getty Images)

Alla fine la convention scelse Humphrey, anche grazie a una sua posizione di compromesso sulle trattative per il Vietnam che però gli alienò parte dell’elettorato. Questo e il disastro mostrato al paese in quei giorni a Chicago furono secondo molti storici quello che gli fece perdere le elezioni con solo lo 0,7 per cento di distacco a favore del candidato Repubblicano Richard Nixon, che divenne presidente nel gennaio 1969.

– Leggi anche: La storia dei Chicago 7