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  • Sabato 17 agosto 2024

Servirebbe uno spazio aereo unico europeo?

Semplificherebbe il lavoro delle compagnie aeree e forse ridurrebbe le emissioni di gas serra, ma i singoli paesi dovrebbero rinunciare a un pezzo della propria sovranità

Alcuni aerei fermi in aeroporto, visti attraverso un vetro rigato dalle gocce di pioggia
Aerei in attesa al Terminal 1 dell'aeroporto di Francoforte, in Germania, il 28 gennaio 2021 (Thomas Lohnes/Getty Images)
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I frequenti ritardi e le numerose cancellazioni dei voli aerei del periodo estivo e più in generale degli ultimi anni sono dovuti a una serie di fattori, alcuni dei quali molto legati a cambiamenti recenti. La pandemia per esempio ha avuto grosse conseguenze sull’organizzazione del personale di terra, che da allora è cronicamente sotto organico, mentre il cambiamento climatico sta aumentando i casi di turbolenze, complicando le cose per le compagnie aeree. Ma anche l’invasione russa in Ucraina ha avuto delle ripercussioni sui voli, dato che ha costretto a una ridefinizione di tutte le rotte che passavano al di sopra dei due paesi.

In questo contesto, secondo le compagnie aeree, alcuni problemi si potrebbero ridurre cambiando il modo in cui è regolato lo spazio aereo nei cieli europei: cioè creando un spazio aereo unico del continente e unificando i servizi nazionali che si occupano del controllo del traffico aereo.

Di recente ne ha parlato Sebastian Ebel, amministratore delegato di TUI, grande gruppo tedesco che possiede varie compagnie aeree oltre ad agenzie di viaggio, hotel e navi da crociera, in un’intervista con BBC Radio 4, dicendo che «un cielo europeo unico» è necessario. Consentirebbe di semplificare le rotte e secondo le stime delle compagnie aeree permetterebbe di ridurre del 10 per cento le emissioni di gas serra (la causa del cambiamento climatico) prodotte dagli aerei, ha detto Ebel.

Non è affatto un’idea nuova: l’Unione Europea prova a creare uno spazio unico da decenni, ma per farlo veramente gli stati dovrebbero rinunciare al controllo nazionale dei propri cieli, e in particolare a quello militare. Per questo il progetto è difficile da concretizzare, ha spiegato sul Guardian il giornalista esperto di trasporti Gwyn Topham.

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Le gestioni nazionali del cielo sopra l’Europa richiedono alle compagnie aeree di chiedere diversi permessi di volo per una stessa tratta. Dato che a sistemi diversi corrispondono regole parzialmente diverse, alcune rotte che potrebbero essere “dritte” vengono allungate per venire incontro alle richieste di ciascun servizio. «Gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia sono aree enormi con un’unica autorità che controlla il traffico aereo», ha commentato Andrew Charlton, direttore della società di consulenza Aviation Advocacy parlando con Topham: «In Europa ne avete 43».

Nel 2004 la Commissione Europea aveva avviato un progetto noto appunto come “Cielo unico europeo”, o SES dall’acronimo in inglese, con l’idea di rendere più efficiente il traffico aereo e collaborare sulla sicurezza dei paesi dell’Unione. Tra le riforme previste dall’iniziativa ci sarebbe la creazione di “blocchi funzionali di spazio aereo” (FABS), pensati per iniziare a diminuire la frammentazione dello spazio aereo europeo ragionando in base ai flussi di traffico invece che sui confini nazionali. Successivamente erano stati definiti 9 di questi blocchi (lo spazio aereo dell’Italia era unito a quelli di Malta, Grecia e Cipro, ad esempio; lo spazio francese a quelli di Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svizzera) ma poi non erano mai stati concretizzati e nel 2017 il progetto era stato archiviato. Solo la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo hanno sostanzialmente unito i propri spazi aerei.

Più di recente la Commissione aveva cercato di fare nuovi progressi, ma l’accordo raggiunto nel marzo di quest’anno non prevede grandi cambiamenti. Willie Walsh, il capo dell’International Air Transport Association (IATA), un’organizzazione internazionale di compagnie aeree, lo ha definito «un fallimento». Invece Achim Baumann di Airlines for Europe (A4E), che rappresenta gli interessi delle principali compagnie aeree europee, si è limitato a dire che è stato «un piccolo passo».

Il problema non è la tecnologia, perché oggi la gestione dello spazio aereo può avvenire in maniera centralizzata anche a distanza (l’aeroporto di Londra-City ad esempio ha delle torri di controllo virtuali), ma le questioni politiche e militari relative al controllo degli spazi aerei.

Non ci sono solo le compagnie aeree del trasporto passeggeri che sfruttano gli spazi aerei, ma anche gli aerei cargo, i jet privati, i droni e i mezzi militari. L’invasione dell’Ucraina, oltre a complicare le rotte commerciali, ha anche riportato la guerra sul territorio europeo, aumentando l’interesse dei governi a mantenere il controllo del proprio spazio aereo.

Ci sono poi delle questioni economiche simili a quelle che riguardano vari altri ambiti dell’integrazione europea. Gli stipendi dei controllori di volo infatti possono essere molto diversi da paese a paese. Inoltre in alcuni di questi, primo fra tutti la Francia, la categoria dei controllori ha sindacati e un potere contrattuale molto forte. Quest’anno non ci sono stati molti scioperi nel settore per via di una sorta di tregua dovuta alle Olimpiadi di Parigi, ma quando vengono organizzati l’intero traffico aereo europeo ne risente.

Infatti a gennaio, quando il Parlamento europeo stava ancora discutendo il più recente accordo sul SES, l’amministratore delegato di Ryanair Michael O’Leary lo aveva descritto come una «perdita di tempo», dicendo che la Commissione Europea avrebbe piuttosto dovuto occuparsi degli scioperi francesi: «Abbiamo un mercato unico per i viaggi aerei che l’anno scorso la Francia ha chiuso per circa 57 giorni». Secondo O’Leary l’Unione Europea dovrebbe permettere alle compagnie aeree di sorvolare un paese anche quando i suoi controllori di volo stanno scioperando, cosa che attualmente non è ammessa.