La norma del governo che ha dato un grande vantaggio a Poste Italiane nel settore dell’energia

Un recente decreto-legge ha liberato Poste da alcuni vincoli sulla concorrenza che secondo l'Antitrust avrebbe dovuto rispettare

(Michele Nucci/LaPresse)
(Michele Nucci/LaPresse)
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Prima della pausa estiva il governo ha approvato un decreto-legge “omnibus”, come vengono chiamati quei decreti in cui viene messo un po’ di tutto senza un apparente legame tematico, secondo un’abitudine ormai consolidata dei governi benché considerata controversa dalla maggior parte dei giuristi. Di questo decreto si è parlato per varie ragioni, come per la proroga di alcune scadenze fiscali, per i fondi stanziati per gli sfollati di Scampia e anche per l’assenza di una nuova tassa sui cosiddetti “extraprofitti” delle banche, per giorni reputata assai probabile.

Un comma del decreto è passato però quasi inosservato, cioè l’abrogazione di una norma di una vecchia legge sulla concorrenza. All’apparenza questo intervento non dice granché, ma in realtà ha risvolti assai rilevanti su una diatriba in corso che coinvolge Poste Italiane, alcune aziende energetiche e l’Antitrust, oltre che conseguenze assai concrete per il mercato dell’energia e per le bollette. Il decreto in ogni caso deve ancora essere convertito in legge, e quindi può ancora subire modifiche. Ha inquadrato la questione e messo in fila gli eventi l’economista ed esperto di concorrenza Carlo Stagnaro.

A febbraio l’Antitrust – com’è più nota l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) – aveva avviato un’istruttoria su Poste Italiane, la società partecipata dallo Stato che oltre ai servizi postali ne offre anche di diversi altri tipi, da quelli finanziari alle forniture di energia.

L’istruttoria riguardava proprio questi ultimi: dall’inizio del 2023 infatti la società controllata Postepay offre il servizio Poste Energia, cioè quello di una fornitura di luce e gas, che però viene ampiamente pubblicizzata nelle migliaia di uffici postali presenti sul territorio. L’iniziativa ha avuto un grande successo, con più di 500mila clienti in un anno, che secondo l’Antitrust sarebbero da attribuire proprio «alla possibilità per Postepay di sfruttare l’estesa e irreplicabile rete di uffici postali». Poste, come ha fatto notare Stagnaro, può inoltre presentare la propria offerta ai clienti mentre questi pagano la bolletta degli altri operatori.

Alcune società concorrenti sul mercato dell’energia hanno allora chiesto a Poste di avere accesso agli stessi suoi canali per pubblicizzare e offrire i loro prodotti, in modo che fosse garantita un’equa concorrenza fra gli operatori del settore, come prevederebbe la legge. Poste si è rifiutata, sostenendo di essere esente dagli obblighi delle norme sulla concorrenza in virtù del progetto Polis, quello partito recentemente in via sperimentale che consente agli uffici postali dei comuni sotto i 15 mila abitanti di gestire il rilascio dei passaporti al posto dei commissariati (che stanno ancora smaltendo i grossi ritardi accumulati con la pandemia).

Alcune società energetiche hanno dunque segnalato all’Antitrust il caso, accusando Poste di concorrenza sleale per il fatto di aver sfruttato la sua enorme rete commerciale per pubblicizzare i propri servizi energetici in modo esclusivo. L’Antitrust ha aperto un’istruttoria e a luglio ha dato ragione alle aziende energetiche, rilevando nella condotta di Poste grosse violazioni delle leggi sulla concorrenza e un abuso di posizione dominante: avrebbe cioè tratto indebito vantaggio dalla sua posizione di sostanziale monopolio nei servizi postali per crearsi un efficace canale commerciale sul settore dell’energia: canale commerciale a cui i concorrenti non potevano accedere. L’Antitrust ha anche respinto la pretesa di esenzione dalle norme sulla concorrenza sollevata da Poste per il progetto Polis: secondo l’Autorità l’esenzione sarebbe valsa al massimo per gli uffici dei comuni più piccoli, gli unici coinvolti nel progetto, mentre Poste ha usato tutti i suoi uffici per pubblicizzare Poste Energia.

L’Autorità ha dunque chiesto a Poste Italiane di correggere la sua condotta, e di trovare il modo per garantire anche ai concorrenti l’accesso all’opportunità commerciale di pubblicizzarsi negli uffici postali.

A questo punto entra in gioco anche il decreto-legge “omnibus” approvato da poco dal governo: il comma 2 dell’articolo 10 prevede infatti l’abrogazione del comma 2-quater dell’articolo 8 della legge 287 del 1990, una delle leggi di riferimento in materia di concorrenza. L’articolo abrogato prevedeva proprio che le imprese che svolgono servizi di interesse generale o che operano in regime di monopolio, come Poste Italiane, debbano garantire alle società concorrenti l’accesso agli stessi beni e servizi di cui possono avvantaggiarsi, in modo da garantire «pari opportunità di iniziativa economica».

Abrogando questo comma il governo ha quindi sostanzialmente eliminato l’ostacolo normativo su cui faceva leva la richiesta delle altre aziende energetiche e la conclusione dell’Antitrust, dando così a Poste un vantaggio enorme nel settore dell’energia. Non ci sono sufficienti elementi per sostenere che il governo lo abbia fatto apposta per avvantaggiare Poste, ma è certo che Poste ne beneficerà parecchio e che tutto sia avvenuto con un perfetto tempismo rispetto alle necessità dell’azienda. La posizione di Poste è poi resa problematica dal fatto che è una società partecipata dallo Stato, e quindi dei cui guadagni beneficia lo Stato stesso.

Lo Stato è azionista di Poste tramite una quota diretta del 29 per cento del ministero dell’Economia e una indiretta del 35 per cento di Cassa Depositi e Prestiti, società che ha partecipazioni in aziende strategiche e partecipata a sua volta dallo Stato. Il governo ha già praticamente preso la decisione di vendere una parte della sua quota dentro Poste, all’interno di un ampio e ambizioso piano di privatizzazioni per ricavare 20 miliardi di euro in tre anni. Garantire per legge a Poste un vantaggio concorrenziale in un settore così redditizio come quello dell’energia potrebbe far aumentare in futuro il valore complessivo dell’azienda, e assicurare così introiti maggiori allo Stato al momento della vendita. È un’ipotesi, e non è neanche detto che questo vantaggio possa far effettivamente salire a breve termine il valore delle azioni in misura apprezzabile: questa concomitanza di fattori però rende in ogni caso problematico il fatto che lo Stato abbia approvato una norma che avvantaggia una società che controlla, che lo abbia fatto di proposito o meno.

Non è ancora chiaro però quali siano le implicazioni legali: innanzitutto il decreto-legge deve essere convertito in legge entro 60 giorni, ed è ancora possibile che nella conversione in parlamento la disposizione venga cambiata o eliminata. Se anche dovesse rimanere, è probabile che siano presentati ricorsi alla giustizia europea che se fossero accolti la rimetterebbero in discussione.

Nel frattempo la concorrenza nel settore dell’energia rimarrebbe comunque assai compromessa, e in un momento estremamente delicato: da almeno un anno la concorrenza nel settore è diventata ancora più accesa per la fine del mercato tutelato, cioè quel mercato dove le tariffe di elettricità e gas erano decise dall’autorità per l’energia, l’ARERA; molti utenti si sono quindi trovati a dover scegliere tra centinaia di offerte sul mercato libero, e tra aziende che facevano campagne di marketing anche particolarmente aggressive per accaparrarsi nuovi clienti.

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