Robert Fico è tornato, più arrabbiato di prima
Il primo ministro slovacco, sopravvissuto all’attentato di maggio, sta aumentando il controllo del governo su istituzioni e stampa, usando una retorica assai aggressiva
Lunedì a Bratislava circa 9mila persone hanno protestato contro una delle ultime decisioni del governo slovacco: il licenziamento dei direttori di due importanti istituzioni culturali del paese. Negli ultimi mesi ci sono state diverse manifestazioni come questa nella capitale, perché il governo del primo ministro Robert Fico ha adottato parecchi provvedimenti controversi. L’opposizione e i media internazionali dicono che Fico, da quando è tornato dopo essere sopravvissuto al tentato omicidio dello scorso 15 maggio sta usando una retorica particolarmente aggressiva, che trova riscontro nella condotta del governo.
A proposito degli ultimi avvenimenti, il giornale Balkan Insight ha parlato di «guerre culturali», cioè di azioni motivate da ragioni politiche e in particolare dalla volontà di penalizzare lo schieramento avverso al proprio. Fico, che è già stato primo ministro per tre mandati tra il 2006 e il 2018, guida una coalizione che va dal suo partito populista di sinistra (Smer) all’estrema destra nazionalista (SNS), accomunata dalle posizioni filorusse e dalle idee sovraniste. L’ultimo caso ha riguardato la ministra della Cultura Martina Šimkovičová, nominata da SNS.
La scorsa settimana Šimkovičová aveva ordinato il licenziamento di Matej Drlička, che era a capo del Teatro nazionale slovacco, e poi di Alexandra Kusa, direttrice della Galleria nazionale slovacca, sostanzialmente per aver difeso pubblicamente Drlička. Šimkovičová aveva citato motivazioni vagamente attinenti al suo incarico, dicendo che era insoddisfatta della gestione delle due istituzioni culturali, ma era stato chiaro fin da subito che le vere ragioni erano politiche: la stessa ministra aveva contestato a Drlička di aver fatto «attivismo politico», cioè di aver criticato il governo, e a Kusa l’assenza di bandiere slovacche nel museo.
Insomma, Drlička e Kusa sono stati cacciati perché il governo li riteneva troppo vicini all’opposizione. In questi giorni una petizione online per chiedere le dimissioni di Šimkovičová ha superato le 178mila firme. Šimkovičová è una ex giornalista televisiva che era stata licenziata nel 2015 per alcuni post su Facebook in cui denigrava i migranti siriani, ma aveva continuato a pubblicare contenuti razzisti e omofobi e poi aveva assunto posizioni no vax durante la pandemia. Di recente era stata contestata anche perché, nonostante la retorica nazionalista, abitava nel comune austriaco di Kittsee, subito oltre il confine. Ora si è trasferita in Slovacchia, ma non ha detto dove.
Le «epurazioni» di Drlička e Kusa, come le ha definite l’opposizione, non sono l’unica cosa di cui si sta parlando molto in Slovacchia.
Mercoledì scorso il ministro della Giustizia, Boris Susko (che fa parte del partito di Fico), ha fatto scarcerare in via provvisoria l’ex procuratore Dušan Kováčik, che in precedenza aveva fatto ricorso alla Corte suprema slovacca dopo essere stato condannato a otto anni di carcere per corruzione nel 2022. La cosa rientra nei poteri di Susko, ma è inusuale e ha pochi precedenti. Oltretutto Kováčik, che è stato più volte ministro nei governi di Fico, è considerato parte del circolo ristretto di alleati del primo ministro.
Negli ultimi mesi, e specialmente dopo l’attentato, il governo ha presentato diversi provvedimenti per limitare la libertà dei media e quella di manifestazione, o per modificare in senso securitario il codice penale. Poi il governo, di fronte alle proteste di ong e delle istituzioni europee (a quelle dell’opposizione è poco sensibile), ha parzialmente cambiato queste proposte di legge, che però alla fine sono state approvate lo stesso in parlamento.
Un caso non molto noto riguarda un insieme di leggi, approvato a fine giugno, che vieterà le manifestazioni nei pressi del parlamento e anche delle zone in cui risiedono o lavorano gli esponenti del governo. Il direttore di Amnesty International Slovakia, Rado Sloboda, l’ha definito «un tentativo di usare la sicurezza e l’ordine pubblico come pretesto per reprimere il diritto di assemblea».
Sempre la settimana scorsa, il governo ha annunciato un piano per abolire l’Agenzia nazionale anticrimine, che indagava sui casi di corruzione, e non è chiaro come intenda sostituirla. A metà luglio erano state fatte alcune modifiche piuttosto cosmetiche alla riforma del codice penale che riduceva le pene per alcuni reati, tra cui corruzione e frode. Gli emendamenti erano stati introdotti per non rischiare di perdere i fondi del PNRR, come aveva minacciato la Commissione Europea quando era stata presentata la versione originale della riforma.
Infine, c’è stata la contestata riforma della televisione pubblica slovacca. Oltre a cambiare nome all’emittente pubblica, la riforma ha trasferito il controllo dell’emittente al governo: quattro dei nove componenti del consiglio d’amministrazione saranno nominati dal ministero della Cultura; gli altri cinque dal parlamento, dove comunque Fico ha la maggioranza. Il leader del principale partito d’opposizione, Slovacchia progressista, Michal Šimečka ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.
Il post con cui Fico ha annunciato che non gli servono più le stampelle
È una tendenza autoritaria, secondo il Guardian. Il primo ministro, tra l’altro, sembra più determinato di prima nell’insistere su politiche di questo tipo. «Invece di aprire una fase di catarsi nazionale, Fico ha risposto a quello spregevole attentato dando la colpa all’opposizione e continuando a smantellare le istituzioni giudiziarie, poliziesche e mediatiche con rinnovato slancio», ha scritto Eddy Wax in un reportage da Bratislava per Politico Europe.
Tra l’altro il primo ministro ha detto di aver perdonato l’uomo che aveva tentato di ucciderlo, ma non l’opposizione, che ritiene responsabile del clima politico tossico – che in realtà si deve soprattutto ai toni usati da Smer. In passato Fico aveva chiamato «nemici» i media e sui suoi profili social fa una rubrica video, arrivata a 28 episodi, intitolata “Cosa non c’era sulla stampa”. Il titolo dell’ultima puntata era: «I media progressisti e liberali e i loro tirapiedi [politici] produrranno un altro Cintula», dal nome del 71enne che è accusato di avergli sparato, Juraj Cintula.
Fico «è diventato più aggressivo e divisivo nella sua retorica», ha detto Šimečka a Politico Europe. «Ciò che lo spinge è da un lato un senso di vendetta, dall’altro un desiderio di controllare l’apparato statale, per impedire in futuro che lui e i suoi soci possano essere messi nuovamente in difficoltà», ha spiegato alla stessa testata Anton Spisak del think tank Centre for European Reform. Alle elezioni europee del 6-9 giugno, Slovacchia Progressista era arrivata prima con quasi il 28 per cento, davanti a Smer, che aveva ottenuto poco meno del 25 per cento dei consensi.
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