Nonostante le medaglie, la Cina non viene presa del tutto sul serio alle Olimpiadi
Le accuse di doping, i metodi di allenamento e gli sport nei quali primeggia fanno sì che i successi siano poco considerati in Occidente
Alle Olimpiadi di Parigi la Cina ha vinto 40 medaglie d’oro, 27 d’argento e 24 di bronzo, classificandosi seconda nel medagliere con lo stesso numero di ori degli Stati Uniti ma meno medaglie complessive (91 a 126) e raggiungendo il suo miglior risultato in Olimpiadi organizzate all’estero. Nonostante questo, come ha scritto il South China Morning Post, la Cina ha ancora molto da fare per «ottenere il rispetto dell’Occidente nello sport».
Nei paesi occidentali i successi della Cina godono in effetti di una considerazione di fatto inferiore rispetto a quella che sarebbe proporzionata alle medaglie vinte: per diverse ragioni, tra cui le accuse di doping di stato, soprattutto nel nuoto (nel quale ha vinto 12 medaglie), i risultati tutto sommato scarsi negli sport di squadra e nell’atletica leggera e il dominio in sport meno popolari e con meno concorrenza, come i tuffi, le discipline di tiro e il tennistavolo. Sport in cui, peraltro, è più facile vincere tante medaglie perché ci sono molti eventi.
Dagli anni Ottanta in poi la Cina ha cominciato a puntare sui Giochi olimpici come mezzo per mostrare il successo del proprio modello di sviluppo e il proprio peso internazionale, fino a riuscire a vincere il medagliere per la prima volta nella sua storia nel 2008, alle Olimpiadi di Pechino (i paesi ospitanti vincono quasi sempre molte più medaglie del solito).
Nelle edizioni successive ha continuato a essere l’unica avversaria credibile degli Stati Uniti per il primo posto nel medagliere e a formare potenziali vincitori e vincitrici di medaglie attraverso un programma statale che, sfruttando il grande bacino di bambini e bambine a disposizione, punta a trovarne, selezionarne e formarne decine di migliaia da far allenare in oltre duemila accademie gestite dal governo, spesso con approcci e metodi rigidi e discutibili, non troppo diversi da quelli usati in precedenza nell’Unione Sovietica.
Dopo le Olimpiadi di Parigi, il quotidiano statale Global Times ha raccontato i risultati sportivi della Cina come un simbolo del successo della modernizzazione cinese e della forza complessiva del paese e ha accusato alcuni paesi occidentali, specialmente gli Stati Uniti, di «utilizzare ogni strumento a disposizione per vincere medaglie e di usare la propria influenza nei media e nelle organizzazioni internazionali per stigmatizzare e aggiungere ostacoli per fermare i paesi che possono competere con loro nel conteggio delle medaglie».
Si riferiva soprattutto all’inchiesta pubblicata lo scorso aprile dal New York Times, che aveva rivelato che 23 nuotatori cinesi erano risultati positivi a un controllo antidoping condotto pochi mesi prima delle Olimpiadi di Tokyo del 2021 ma erano stati comunque ammessi alle gare e avevano vinto diverse medaglie, tra cui tre ori. L’agenzia cinese antidoping (Chinada) aveva infatti stabilito che le positività erano state causate da contaminazioni involontarie (un pasto in un hotel, probabilmente) e l’agenzia mondiale antidoping, la Wada, aveva accettato la spiegazione senza fare appello.
Negli Stati Uniti tuttavia l’uscita dell’inchiesta aveva suscitato un certo scandalo e due figure di rilievo come l’ex nuotatore Michael Phelps e la nuotatrice Allison Schmitt ne hanno parlato addirittura al Congresso, dicendo di aver perso la fiducia nella Wada e accusando la Cina di portare avanti un programma di doping di stato nel nuoto. Con questa espressione si intende l’impiego sistematico di sostanze dopanti che può avvenire solitamente in regimi non democratici (il più grosso caso di questo tipo riguardò la Russia).
La nuotatrice Zhang Yufei, che faceva parte dei 23 cinesi risultati positivi alla trimetazidina prima delle Olimpiadi di Tokyo, a Parigi ha vinto sei medaglie tra eventi individuali e staffette: il Washington Post ha pubblicato questa settimana un articolo di opinione intitolato “Le dodici medaglie vinte dai nuotatori cinesi a Parigi saranno per sempre contaminate”.
Questo clima di sospetto ha portato anche il ventenne Pan Zhanle a essere accusato di doping dopo aver vinto i 100 metri stile libero con il record del mondo, pur non essendo tra i 23 nuotatori coinvolti nello scandalo. Il Global Times ha scritto invece che i nuotatori cinesi sono riusciti a vincere nonostante «un regime eccessivo di test antidoping causato dall’eccessiva pressione degli Stati Uniti» e lo stesso Zhanle ha detto di essersi sottoposto a tantissimi controlli nell’ultimo anno.
Non c’è solo la questione del doping, comunque, ma anche quella della distribuzione delle vittorie: su 30 medaglie d’oro, la Cina ne ha vinte 8 nei tuffi (facendo per la prima volta l’en plein), 5 nel tennistavolo, 5 nel tiro a segno e altre 5 nel sollevamento pesi. Sono tutti sport sui quali la Cina ha puntato negli anni perché poco praticati in Occidente, perché racchiudono molti eventi diversi, quindi possono portare più medaglie, e perché sono sport individuali nei quali spesso allenarsi più intensamente e sin da piccoli permette di raggiungere risultati importanti.
Più del 70 per cento degli oltre 300 ori vinti dalla Cina negli ultimi quarant’anni riguarda sei sport: oltre ai quattro già citati, ci sono anche la ginnastica artistica e il badminton. In realtà alle ultime Olimpiadi gli Stati Uniti hanno distribuito in maniera ancor meno eterogenea i propri ori, visto che 14 dei 40 totali (quindi quasi il 30 per cento) sono arrivati dall’atletica leggera, che però è lo sport olimpico considerato più importante e prestigioso, soprattutto per ragioni storiche: quasi tutte le discipline praticate nelle Olimpiadi dell’antica Grecia riguardavano l’atletica. A Parigi la Cina ha vinto solo quattro medaglie nell’atletica (una d’oro, nella marcia femminile) e solamente una negli sport di squadra, l’argento nel torneo femminile di hockey su prato.
A Parigi, comunque, la Cina ha una distribuzione delle medaglie mediamente eterogenea
Nei paesi occidentali esiste inoltre una diversa percezione dell’impegno che ci mettono gli atleti e le atlete cinesi e quelli occidentali. Dopo la vittoria nei 200 metri stile libero, il rumeno David Popovici ha parlato dell’importanza dei sacrifici quotidiani e ha detto che «essere ossessivo non è la cosa più salutare, ma è ciò che differenzia un campione olimpico».
Secondo il South China Morning Post, «se un atleta cinese avesse dato una spiegazione simile a quella di Popovici riguardo la mentalità necessaria a raggiungere il successo nello sport, avrebbe sicuramente portato a critiche del suo stile di vita represso e mono-dimensionale». Questa diversa percezione si spiega in parte con la convinzione, non sempre vera, che in Cina gli atleti di maggior successo siano spinti, quasi indottrinati, da un apparato statale, contrariamente a quanto succede in Occidente.