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  • Mercoledì 14 agosto 2024

L’arresto di “Carlos lo Sciacallo”, trent’anni fa

Ilich Ramírez Sánchez era tra i terroristi più temuti e ricercati al mondo: fu fermato con un'operazione rocambolesca quasi quanto la sua vita

Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos lo Sciacallo, scortato da gendarmi francesi al termine di un'udienza di un processo a suo carico, il 3 marzo 2014 (Jacky Naegelen e Hans Lucas/Contrasto)
Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos lo Sciacallo, scortato da gendarmi francesi al termine di un'udienza di un processo a suo carico, il 3 marzo 2014 (Jacky Naegelen e Hans Lucas/Contrasto)

Il 14 agosto 1994, esattamente trent’anni fa, un uomo ricoverato nel principale ospedale di Khartum, in Sudan, venne trasferito d’urgenza dalla stanza in cui era ricoverato, pare, per un’operazione ai testicoli a cui si era sottoposto per guadagnare maggiori possibilità di avere un figlio. Un poliziotto gli aveva detto che se fosse rimasto lì avrebbe rischiato di essere ucciso da un sicario. Alcuni uomini armati lo scortarono fuori dall’ospedale e lo portarono in una casa apparentemente sicura, essendo vicina a una delle residenze di Hassan al-Turabi, uno dei più influenti politici sudanesi di allora.

Poche ore dopo però gli stessi uomini che lo avevano portato via dall’ospedale lo legarono al letto e poi lo sedarono. Il giorno dopo l’uomo atterrò a Parigi, dove venne portato nel carcere di massima sicurezza di La Santé. La carriera criminale di Carlos lo Sciacallo, uno dei più famigerati e ricercati terroristi del mondo nei vent’anni precedenti, è finita così.

Nato a Michelena, nel nord-ovest del Venezuela, nel 1949, marxista convinto, esperto guerrigliero, membro del gruppo radicale del Fonte di liberazione popolare della Palestina, Carlos lo Sciacallo ha pianificato e compiuto tra il 1973 e la metà degli anni Ottanta decine di attentati terroristici in Europa: contro imprenditori ebraici, ambasciate, sedi di istituzioni internazionali, e molti altri posti ancora. Preparò e fece esplodere bombe su treni, sparò a bruciapelo ad agenti dell’intelligence francese e suoi ex alleati, fra gli altri; lanciò granate e bombe a mano contro persone inermi, catturò e uccise ostaggi. In tutto si stima sia stato responsabile della morte di circa ottanta persone.

Il suo nome, notissimo in Francia e un po’ ovunque nel mondo, è stato più volte tirato in ballo anche nel dibattito italiano intorno ad alcuni attentati degli anni Ottanta, in particolare quello alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980, in cui furono uccise 85 persone. Ammirato negli ambienti criminali per la sua fama di combattente sovversivo, si è scoperto che da giovane era stato al servizio dei servizi segreti sovietici (il KGB) e protetto da quelli della Germania Est (la STASI). È tuttora detenuto in Francia, dove sta scontando tre ergastoli.

Carlos lo Sciacallo è il soprannome con cui viene ricordato da tutti quelli che hanno sentito parlare della sua storia; in realtà non si chiamava Carlos, e ovviamente non era uno sciacallo.

Il primo dei due soprannomi gli fu attribuito nel 1970 da Bassam Abu Sharif, uno dei leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, quando lo reclutò tra le milizie del movimento d’ispirazione marxista-leninista che si batteva, anche in forma violenta, per la causa palestinese. Il soprannome era dovuto alle sue origini sudamericane.

Quanto a “Sciacallo”, venne inventato da un corrispondente del quotidiano britannico Guardian, Peter Niesewand, che nel luglio 1975 ricevette la chiamata di un ingegnere inglese, Barry Woodhams, che aveva trovato nell’appartamento londinese condiviso con la sua ragazza un deposito di armi e munizioni. La ragazza, una cameriera spagnola, Angela Otaola, aveva avuto una precedente relazione con Carlos, e Woodhams pensò subito che le cose fossero legate. Tra gli oggetti trovati da Niesewand, oltre a pistole, fucili e documenti falsi, c’era Il giorno dello sciacallo, noto romanzo dello scrittore inglese Frederick Forsyth. Solo in seguito si scoprì che il libro non apparteneva a Carlos, che forse non lo aveva neppure mai letto.

Un giovane Ilich Ramirez Sanchez, in una foto d’archivio dell’ANSA

Il vero nome di Carlos è invece Ilich Ramírez Sánchez, e lo si deve verosimilmente alla devozione del padre, avvocato di fede marxista, nei confronti di uno dei primi leader dell’Unione Sovietica, Vladimir Ilich Lenin. Ilich spettò a lui, mentre quando nacquero i suoi fratelli più piccoli vennero chiamati rispettivamente Vladimir e Lenin. Da ragazzo Sánchez seguì l’ispirazione del padre, unendosi prima al movimento giovanile del partito comunista venezuelano. Poi, diciassettenne, frequentò dei campi di addestramento militare clandestino a Cuba. Quando i genitori divorziarono, seguì la madre nel Regno Unito, per poi iscriversi all’università Patrice Lumumba di Mosca.

Probabilmente i primi contatti di Sánchez coi servizi segreti sovietici iniziarono lì, in quell’università usata spesso dal KGB per reclutare agenti stranieri. Fu dopo quell’esperienza che Sánchez, nel 1970, si trasferì a Beirut, in Libano, dove si arruolò per il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) frequentando nuovi campi d’addestramento tra la Siria, l’Iraq e la Giordania.

Fu proprio come militante del Fronte che Sánchez intraprese la sua attività terroristica e criminale, in anni in cui movimenti terroristici di varia origine ma di comune ispirazione comunista si ritrovavano a condividere, in maniera talvolta anche pretestuosa, la stessa battaglia per la causa palestinese, e dunque a collaborare più o meno direttamente nell’organizzazione di attentati, spesso imbeccati o aiutati dai servizi di intelligence sovietici.

Nel 1973 Sánchez tentò di uccidere, raggiungendolo nella sua casa di Londra e sparandogli in faccia, l’imprenditore ebreo Joseph Sieff, presidente della grande catena di supermercati inglese Marks & Spencer e vice presidente della Federazione sionista britannica. Il colpo non fu letale, Sieff si salvò e Sánchez riuscì a scappare. Dopo aver pianificato nuovi attentati dinamitardi contro la sede di una banca israeliana a Londra e contro alcuni giornali francesi accusati di alimentare la propaganda antipalestinese, il 15 settembre del 1974 Sánchez gettò una granata all’interno del café Le Publicis, nel quartiere parigino di Saint-Germain-des-Prés, uccidendo due persone e ferendone 34. L’attentato avvenne negli stessi giorni in cui un commando dell’Armata Rossa Giapponese, un movimento terroristico comunista attivo un po’ in tutto il mondo, assediò l’ambasciata francese dell’Aia, nei Paesi Bassi.

Seguì una lunga serie di attentati. Nel gennaio del 1975 Sánchez tentò di far esplodere delle bombe su due aerei della compagnia di bandiera israeliana El Al all’aeroporto parigino di Orly, finendo poi con l’ingaggiare una lunga sparatoria coi poliziotti francesi. Nel giugno del 1975, essendo stato riconosciuto durante una cena a Parigi da parte di due agenti dei servizi segreti francesi imbeccati da un loro informatore libanese, ex socio di Carlos, sparò a tutti e tre, uccidendoli.

Sei mesi più tardi, il 21 dicembre, Sánchez guidò un commando di sei terroristi del FPLP nell’attentato al quartier generale dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio nata in contrapposizione al predominio britannico e statunitense nel mercato del greggio, a Vienna. Furono prese in ostaggio 60 persone e ne furono uccise tre, mentre Sánchez conduceva dei negoziati con le autorità austriache per fare in modo che, in cambio della salvezza dei prigionieri, venisse letto alla radio nazionale un comunicato di propaganda filopalestinese. Sánchez ottenne anche un aereo per poter andare ad Algeri insieme a una quarantina di ostaggi, che poi vennero liberati quando i terroristi furono sicuri di essere in salvo.

Questo episodio però gli causò anche delle grane col FPLP: alcuni esponenti del movimento lo accusarono infatti di aver ricevuto una considerevole somma, circa 50 milioni di dollari, dal governo di un paese arabo per garantire il rilascio di alcuni ostaggi. Anche per questo Sánchez aveva rinunciato ad uccidere alcuni degli obiettivi designati, secondo le accuse. Sánchez fu quindi espulso dal Fronte, e iniziò a viaggiare e a ottenere ospitalità e protezione temporanea in vari paesi. Fu arrestato e poi rilasciato in Yugoslavia, strinse contatti e relazioni con agenti dell’intelligence che si muovevano nel mondo sovietico. Ottenne dalla STASI un appartamento e una certa libertà di movimento a Berlino Est, e da lì pianificò nuove azioni violente in Europa.

George Habash, fondatore e leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (EPA)

Gli attentati più clamorosi li compì tra il 1982 e il 1983, dopo che sua moglie Magdalena Kopp e il suo socio Bruno Breguet, anche loro noti terroristi, furono arrestati a Parigi. Dopo aver tentato invano di negoziare con le autorità francesi il loro rilascio, Sánchez fece esplodere delle bombe su un treno che viaggiava tra Parigi e Tolosa (il 29 marzo 1982), contro la redazione di un giornale arabo a Parigi (il 22 aprile dello stesso anno), nella stazione ferroviaria di Marsiglia e su treno che viaggiava da Marsiglia a Parigi (il 31 dicembre 1983). Uccise in tutto 11 persone, ferendone quasi 190.

Negli anni successivi rimase impunito e irrintracciabile, continuando a spostarsi in vari paesi (Ungheria, Siria), riducendo però la sua attività. All’inizio degli anni Novanta trovò ospitalità in Sudan anche grazie alla protezione offertagli da Hassan al Turabi, storico leader del Fronte islamico nazionale, predicatore musulmano integralista e artefice del colpo di Stato che nel 1989 aveva portato al potere il regime di Omar al Bashir.

Sulle indagini e le attività d’intelligence che consentirono l’arresto di Sánchez nel 1994 si hanno varie testimonianze, non sempre concordanti tra loro e difficilmente verificabili. Si sa con una certa sicurezza, ormai, che a intercettarlo a Khartum fu un agente della CIA, e che poi i servizi stranieri statunitensi ne dettero notizia ai colleghi francesi. Questi ultimi, avendo compreso l’importanza della protezione di al Turabi a beneficio di Sánchez, cercarono di convincere il predicatore islamico a collaborare, in cambio della promessa dell’impegno della Francia in favore del Sudan a livello diplomatico ed economico. Pare che alla fine riuscirono a convincere al Turabi mostrandogli dei video che ritraevano il terrorista venezuelano in atteggiamenti dissoluti, tra alcol e donne, contrari alle dottrine islamiche più conservatrici, a cui pure Sánchez si era detto fedele per ottenere le simpatie dello stesso al Turabi.

L’operazione con cui l’intelligence francese riuscì a catturarlo e a portarlo in Francia senza la canonica richiesta di estradizione suscitò alcune polemiche, ma fu giustificata dal fatto che le istituzioni francesi volevano processarlo per l’uccisione dei due agenti dei servizi e dell’informatore libanese, suo ex sodale, a cui Sánchez aveva sparato a Parigi nel giugno del 1975. Il processo si tenne davvero e si concluse con una prima condanna all’ergastolo. Ne seguirono, nel 2013 e poi nel 2021, altre due definitive, sempre in Francia: una per gli attentati ai treni del 1982 e 1983, l’altra per la granata lanciata contro il café parigino Le Publicis nel 1974, rivendicato dal FPLP, per il quale Sánchez si era dapprima assunto la responsabilità per poi dirsene estraneo.

L’attentato alla stazione ferroviaria di Marsiglia del 31 dicembre 1983, peraltro, è stato in più di un’occasione oggetto di dibattito anche in Italia. Nell’agosto del 2019 alcuni senatori di Fratelli d’Italia per esempio misero in luce apparenti analogie tra quella esplosione e quella avvenuta alla stazione di Bologna nell’agosto di due anni e mezzo prima, il 2 agosto del 1980. Non è un caso. Il nome di Sánchez è stato più volte messo in connessione con quell’attentato, oltre che con la strage di Ustica, del 27 giugno del 1980: qualche anno fa si scoprì infatti che i nostri servizi di intelligence avevano tenuto sotto osservazione, e con una certa inquietudine, le attività di Sánchez.

Da qui, alcuni osservatori e analisti hanno ipotizzato un suo coinvolgimento nella realizzazione di quei due attentati, peraltro molto diversi tra loro. Si tratta, in questo caso, di una teoria che gode di un certo credito soprattutto tra esponenti di destra e tra quanti, non solo a destra, soprattutto in riferimento alla strage di Bologna contestano la validità delle sentenze della magistratura che hanno stabilito la matrice neofascista di quell’attentato.

La sala d’aspetto della stazione di Bologna distrutta da una bomba il 2 agosto 1980 (ARCHIVIO – ANSA-CD)

L’eventuale responsabilità, più o meno diretta, di Sánchez e del FPLP è invece una teoria legata alla cosiddetta “pista palestinese”: l’ipotesi, cioè, che all’origine dell’esplosione del 2 agosto ci fossero appunto le attività dei terroristi palestinesi in Italia, che avevano fino ad allora goduto di una certa benevolenza dei governi italiani. Nel 2011 per approfondire questa ipotesi la procura di Bologna aprì anche un’inchiesta, che si è tuttavia chiusa senza alcun riscontro. Sánchez non ha mai fornito prove concrete del suo coinvolgimento nella strage di Bologna o in altre stragi di quel periodo, compiute perlopiù dalla destra neofascista, né elementi utili ad accertare la verità dei fatti.