Da 25 anni non bisogna più scervellarsi per scoprire il titolo di una canzone
Shazam esiste dal 1999, all'inizio era un numero telefonico, e l'altro giorno l'hanno usata contemporaneamente sei milioni di persone
Domenica più di 6 milioni di persone in tutto il mondo hanno voluto sapere il titolo di una canzone suonata durante la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Parigi: era “Nightcall”, scritta nel 2010 dal dj francese Kavinsky (Vincent Belorgey) e diventata in questo modo la più cercata di sempre in un giorno su Shazam, l’app che permette di trovare titolo e interprete delle canzoni ascoltandone brevi pezzi.
Shazam, non nella versione che conosciamo oggi, esiste da 25 anni, ed è entrata nelle abitudini di molti, risolvendo un problema che un tempo poteva rovinare le giornate. Senza internet, risalire al titolo di una canzone ascoltata alla radio, ma di cui si era perso l’annuncio, voleva dire memorizzarne la melodia e chiedere aiuto in giro. Internet ha reso le cose più facili: carpendo qualche parola, e cercandola su un motore di ricerca, è diventato possibile scoprire il nome della canzone (ammesso che non fosse strumentale).
Ma con Shazam le cose sono diventate molto più immediate: anche troppo, come sanno i dj, che ormai non possono più sperare di poter tenere segreti i nomi delle canzoni più oscure che propongono nei loro set. Al contempo, specialmente tra impallinati di musica dover ricorrere a Shazam per riconoscere una canzone è diventato una piccola vergogna, e per questo è talvolta un’azione che si fa un po’ di nascosto: «ma no, no, certo che lo so che questi sono i Guided by Voices, figurati la conosco benissimo. Grandissimi».
Shazam lo inventarono alla fine degli anni Novanta Chris Barton e Philip Inghelbrecht, due studenti dell’università californiana di Berkeley. All’inizio sembrava un progetto con poco spazio di mercato e un po’ troppo avveniristico, e infatti inizialmente era una cosa molto diversa. Nacque infatti come servizio telefonico disponibile in una sola area del mondo (il Regno Unito): bisognava chiamare un numero (2580), far sentire al microfono la canzone e aspettare una trentina di secondi affinché il sistema la identificasse.
A quel punto, gli utenti ricevevano un SMS che indicava il titolo della canzone e il nome dell’interprete. Dopo un po’ fu introdotta anche la possibilità di scaricare la canzone che si stava cercando, e solo nel 2008 diventò un’app, che entrò talmente nella quotidianità che anche in Italia in gergo si usa il verbo “shazamare”, per descrivere l’azione di cercare il titolo e interprete di una canzone.
L’idea iniziale fu di Barton, a cui capitava spesso di non riuscire a riconoscere le canzoni che ascoltava in giro. Immaginò che milioni di persone avessero il suo stesso problema ogni giorno, e pensò che un servizio in grado di risolverlo avrebbe potuto essere un affare molto remunerativo. Dopo aver abbozzato un piano iniziale, Barton e Inghelbrecht inclusero nel progetto Dhiraj Mukherjee, che ai tempi lavorava per una società di consulenza digitale in Inghilterra, e Avery Wang, un ricercatore di Stanford specializzato in DSP (Digital Signal Processing), ossia l’elaborazione numerica dei segnali.
Fu proprio Wang a creare il sistema con cui Shazam funziona ancora oggi, che in sostanza (per chi vuole, lo avevamo spiegato più estesamente qui) si basa su un particolare algoritmo che confronta diversi spettrogrammi, ossia delle rappresentazioni grafiche dell’intensità del suono in funzione della frequenza e del tempo. Ciascuna canzone, ma in realtà ciascun pezzo di canzone, ha il suo spettrogramma unico, una specie di impronta digitale: Shazam ne realizza uno del frammento che ascolta, e poi lo confronta con il suo archivio, in cui c’è una parte significativa della musica registrata dall’umanità, cercando una corrispondenza.
Anche se oggi è un’app utilizzata da milioni di persone in tutto il mondo, all’inizio trovare uno spazio di mercato per Shazam non fu facile. Ai tempi non esistevano smartphone, app o servizi per ascoltare musica in streaming e, come ha ricordato Mukherjee in un’intervista al Guardian, non era neppure possibile accedere a internet utilizzando un cellulare. «Ci è voluta un’eternità perché queste cose accadessero. Ci chiedevamo “perché non esistono ancora questi telefoni?”. Non sto dicendo che avevamo previsto l’iPhone, ma è stato un punto di svolta», ha detto.
Trovare il capitale iniziale richiese molto tempo, anche perché i finanziatori erano molto scettici nei confronti delle startup tecnologiche: Barton, Inghelbrecht, Mukherjee e Wang presentarono la loro idea nel pieno della cosiddetta “bolla delle dot com”, la crisi finanziaria che seguì alla contrazione del settore delle aziende tecnologiche dopo l’enorme espansione avuta negli anni Novanta.
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«Dovevamo far crescere un’azienda in un mercato che tutti consideravano in declino: c’erano startup che fallivano ovunque», ha raccontato sempre Mukherjee. Per ottenere i primi finanziamenti dovettero aspettare il 2003, quando un gruppo di venture capitalist (gli investitori che scommettono sul futuro delle startup finanziandole anche se sono in perdita, confidando che alcune riescano ad affermarsi) decise di investire 8 milioni di euro nella loro idea.
Dopo la fondazione dell’azienda e i primi esperimenti con gli spettrogrammi del 1999, Shazam (o meglio, il numero telefonico 2580) fu reso disponibile sotto forma di servizio telefonico nell’agosto del 2002 nel solo Regno Unito: la prima canzone a essere cercata su Shazam fu “Jeepster” dei T. Rex (19 aprile 2002), mentre la prima a totalizzare mille Shazam (ossia a essere identificata da mille utenti diversi) fu “Cleanin’ Out My Closet” di Eminem. Ma l’app divenne davvero rilevante soltanto sei anni dopo, quando fu resa disponibile sull’App Store, lo store digitale di Apple: da quel momento in poi il suo utilizzo diventò sempre più diffuso.
A partire dalla metà degli anni Dieci l’app, che nel 2017 fu acquistata da Apple per 400 milioni di dollari (più o meno 360 milioni di euro), cominciò a far parlare di sé anche per motivi che andavano al di là dello scopo per cui fu creata. La sua popolarità aumentò grazie ad alcune strategie di marketing molto riuscite: per esempio, da una decina d’anni pubblica le classifiche delle canzoni più “shazamate” ogni anno in ciascun paese, che spesso vengono utilizzate come spunto per realizzare degli articoli di costume.
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Nel 2015 il dj francese David Guetta fu il primo musicista a raggiungere i 100 milioni di ricerche su Shazam, mentre la canzone che ha impiegato meno tempo a raggiungere 1 milione di ricerche è “Butter” del gruppo di k-pop sudcoreano dei BTS (nove giorni).
“Dance Monkey” di Tones And I è invece la canzone più “shazamata” di tutti i tempi (41 milioni di ricerche), mentre la canzone più cercata del periodo in cui Shazam era ancora un servizio telefonico fu “Crazy” dei Gnarls Barkley. Il musicista più cercato di sempre su Shazam (350 milioni di ricerche) è il rapper canadese Drake.
Quando i fondatori di Shazam vengono intervistati per parlare del servizio che hanno creato, spesso si trovano a dover rispondere a domande relative alla loro capacità di anticipare i tempi. Lo stesso Barton ha raccontato che, dopo molti anni, si è reso conto di avere «inventato un’app otto anni prima che le app esistessero», e di averlo fatto un po’ per caso, affidandosi in parte all’istinto: aveva notato che, alla fine degli anni Novanta, sempre più persone erano entrate in possesso di un cellulare, e confidava nel fatto che prima o poi quei dispostivi avrebbero potuto essere utilizzati anche per riconoscere le canzoni, ma non sapeva quando.
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Spesso lui e gli altri fondatori avevano l’impressione di stare investendo energie in qualcosa di frivolo e poco utile alla società: «quale problema stavamo realmente risolvendo con Shazam? Era una cosa carina da avere, nella migliore delle ipotesi», ha detto Barton in una recente intervista. Oggi Shazam viene utilizzata mensilmente da più di 300 milioni di persone nel mondo.