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  • Martedì 13 agosto 2024

L’uomo senza il quale il cammino di Santiago non esisterebbe

Secondo una leggenda la nota città spagnola sarebbe stata fondata da un certo Teodomiro: un gruppo di scienziati ha scoperto che con ogni probabilità è esistito davvero

Una foto della cattedrale di Santiago di Compostela (Photo by Siegfried Modola/Getty Images)
Una foto della cattedrale di Santiago di Compostela (Photo by Siegfried Modola/Getty Images)
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Un gruppo internazionale di archeologi ha analizzato il DNA contenuto nei resti di un corpo sepolto sotto la cattedrale di Santiago de Compostela, in Spagna, arrivando a concludere che con il 98 per cento di probabilità si tratta di Teodomiro, il vescovo che secondo la leggenda ritrovò il corpo del santo a cui sono intitolate la città, la cattedrale e anche il noto Cammino, uno dei pellegrinaggi più famosi al mondo. È un fatto abbastanza notevole perché i resti analizzati furono ritrovati quasi 70 anni fa; fino a oggi però non era stato possibile attribuirli con certezza al vescovo, e quindi farsi un’opinione definitiva sulla sua reale esistenza.

Di Teodomiro si conoscono poche informazioni: a quanto pare era vissuto nel nono secolo d.C. ed era stato vescovo di Iria Flavia, un antico insediamento romano che oggi corrisponde alla cittadina di Padrón, nella comunità autonoma della Galizia, a meno di trenta chilometri da Santiago. Secondo la leggenda Teodomiro fondò la città di Santiago de Compostela dopo che un eremita del luogo gli aveva raccontato che di notte alcune stelle sembravano illuminare un terreno ben preciso (da qui il nome di Campus Stellae, poi diventato Compostela). Teodomiro ordinò di scavare nel terreno: lì, sempre secondo la leggenda, vennero trovati tre corpi identificati come l’apostolo San Giacomo (Santiago, appunto, il santo patrono della Spagna) e i suoi discepoli Teodoro e Anastasio. Sempre lì fu poi costruita la cattedrale di Santiago de Compostela, che oggi è la tappa finale del noto cammino.

San Giacomo era originario della Galilea, ma sembra abbia viaggiato in Spagna e Portogallo per evangelizzare la penisola iberica. Rientrato a Gerusalemme fu fatto decapitare tra il 41 e il 44 d.C. per ordine del re Erode Agrippa, re della Giudea, che aveva avviato una campagna persecutoria nei confronti dei predicatori cristiani. Secondo una leggenda spagnola, il corpo del martire venne riportato in Spagna da sette dei suoi discepoli: per questo Teodomiro identificò uno di quei corpi come il suo.

All’epoca del ritrovamento, che si ritiene sia avvenuto nell’813, questa zona nel nord della Spagna apparteneva al regno cristiano delle Asturie, governato da re Alfonso II. Il resto della penisola era governato dagli arabi. Iria Flavia era insomma una delle poche zone ancora sotto il controllo di un regno cristiano. Una volta saputo del ritrovamento, pare che Alfonso II arrivò sul posto insieme ad altre persone della sua corte, partecipando di fatto al primo pellegrinaggio verso quella che sarebbe diventata la cattedrale di Santiago.

Proprio attorno alle tre tombe Alfonso II fece erigere una chiesa, la futura cattedrale, con uno scopo religioso ma anche politico: istituire un luogo di culto e di pellegrinaggio avrebbe creato un importante avamposto cristiano in Galizia di fronte all’avanzata arabo-musulmana, nonché un modo per rivendicare la presenza di un regno cristiano su quei territori. Il cammino divenne molto popolare nei secoli a seguire, e Santiago de Compostela un luogo di pellegrinaggio noto quanto Roma o Gerusalemme, già nel Dodicesimo e Tredicesimo secolo. Ancora oggi circa 350mila persone all’anno arrivano a Santiago dopo aver fatto il cammino, tutto o in parte, per motivi religiosi ma non solo.

Un viandante lungo il cammino di Santiago (AP Photo/Alvaro Barrientos)

Un viandante lungo il cammino di Santiago (AP Photo/Alvaro Barrientos)

Nel 1955 all’interno della necropoli che si trova sotto la cattedrale l’archeologo galiziano Manuel Chamoso Lamas scoprì una lapide con inciso il nome di Teodomiro. Si trovava nell’area in cui sono collocate le tombe più ricche e nobili, lontano da quelle dei cittadini più poveri. All’epoca i resti non poterono restituire molte informazioni certe: inizialmente si pensò che fossero quelli del corpo di Teodomiro, data l’incisione sulla lapide, ma anni dopo un’analisi delle ossa mise in dubbio persino che lo scheletro appartenesse a un uomo, e non a una donna. Per questo per molto tempo abbiamo dubitato della sua stessa esistenza, dal momento che gli unici dati certi erano un nome inciso su una tomba e una leggenda tramandata perlopiù in forma orale.

La lapide della tomba attribuita a Teodomiro (Antiquity)

Nel 2014 la Fondazione Cattedrale di Santiago, che si occupa di tutelare il patrimonio artistico e culturale afferente alla cattedrale, decise di approfondire lo studio del corpo trovato nel 1955. Nel 2019 venne riesumata la salma: dalla tomba, che era stata risigillata dopo il ritrovamento negli anni ’50, vennero fuori dei trucioli, un panno protettivo e lo scheletro di quello che si ritiene possa essere Teodomiro. Dopo cinque anni di studi e analisi (parzialmente sospesi per la pandemia) il DNA presente nelle ossa ritrovate nel sarcofago ha confermato una serie di dettagli che oggi fanno ritenere agli archeologi di aver trovato proprio i resti del vescovo.

Per riuscire a ricavare dai resti più informazioni possibili, i ricercatori e le ricercatrici hanno utilizzato varie tecniche: l’analisi isotopica di denti e ossa, che permette di risalire alla dieta della salma e, di conseguenza, anche alle sue origini o eventuali migrazioni; la datazione al radiocarbonio, un’analisi chimico-fisica che permette di capire da quanto tempo è morto l’individuo; l’analisi morfologica del teschio, che permette di capire per esempio se si tratta di un uomo o una donna; lo studio del cosiddetto DNA antico, estratto dalle costole e dai denti.

Grazie a queste tecniche, il gruppo di ricerca ha concluso prima di tutto che i resti appartengono effettivamente a uomo e non a una donna. Poi si è scoperto che doveva avere almeno 45 anni e che dovrebbe essere morto attorno all’820 d.C., con un margine d’errore di 15 anni che lo avvicinerebbe alla data del decesso incisa sulla lapide, ovvero 845. Lo scheletro in questione è comunque il più antico in assoluto fra quelli studiati finora nella necropoli della cattedrale.

Le ossa hanno inoltre rilevato alcune informazioni sulla vita di questa persona, assai compatibili con quella di un vescovo dell’epoca. Era di corporatura esile, pare non abbia svolto lavoro fisico e la sua dieta deve essere stata austera e monastica, ma non povera come quella di un contadino: vegetariana, basata principalmente sull’assunzione di pane, vino, frutta, verdura e legumi. Infine, la provenienza: dall’analisi delle ossa è emerso che questa persona visse a Santiago e dintorni, ma che era originario di un’area poco più a sud, il che è compatibile con le origini di Teodomiro, che appunto si ritiene fosse originario di Iria Flavia.

Proprio riguardo alle origini della salma, dai resti di Teodomiro è emerso un dato che sembrerebbe incompatibile con quello che sappiamo di lui, oppure che aggiunge un nuovo elemento alla sua storia: una forte componente di discendenza nordafricana. Secondo Patxi Pérez-Ramallo, l’archeologo che più ha seguito questo caso, in realtà è plausibile che Teodomiro avesse degli antenati romani che vissero nel nord dell’Africa e che arrivarono in Europa insieme ai conquistatori arabi.