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  • Martedì 13 agosto 2024

Kais Saied non vuole opposizioni

Il presidente tunisino, che da tempo sta logorando il sistema democratico del suo paese, ha fatto arrestare i suoi principali avversari alle prossime presidenziali

Kais Saied, Tunisi, 17 settembre 2019 (AP Photo/Mosa'ab Elshamy)
Kais Saied, Tunisi, 17 settembre 2019 (AP Photo/Mosa'ab Elshamy)
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Il 6 ottobre in Tunisia ci saranno le elezioni presidenziali e Kais Saeid, che proverà a essere rieletto, le affronterà senza una reale opposizione. Negli ultimi giorni alcune delle persone che si erano candidate sono state condannate a otto mesi di carcere con l’accusa di aver falsificato i documenti necessari per presentarsi, con conseguente impossibilità di presentarsi a qualsiasi futura elezione (uno dei criteri necessari per candidarsi in Tunisia è non avere precedenti penali).

Il 6 agosto una sesta candidata, Abir Moussi, importante e popolare esponente dell’opposizione, era stata condannata a due anni di prigione con l’accusa di aver diffuso notizie false: con l’accusa, cioè, di aver denunciato la mancanza di indipendenza dell’Isie, l’autorità che nel paese si occupa delle elezioni. Altri candidati alle presidenziali erano stati arrestati e incarcerati settimane fa e altri ancora sono stati esclusi dall’Isie.

Gli arresti e le recenti condanne si inseriscono nel più ampio contesto di un progressivo logoramento della democrazia in Tunisia, che è governata in modo sempre più autoritario da Saied.

Negli ultimi giorni il presidente Saied ha parlato ancora una volta dell’esistenza di diversi complotti portati avanti da «forze controrivoluzionarie contrarie al popolo tunisino e al movimento di liberazione nazionale» e ha giustificato la propria candidatura per un nuovo mandato da presidente come un atto di «lotta per l’autodeterminazione» del suo paese. Ci sono pochi dubbi sul fatto che sarà nuovamente eletto.

Il 7 agosto ha anche rimosso il primo ministro Ahmed Hachani dal suo incarico sostituendolo con il ministro degli Affari sociali Kamel Madouri, senza fornire spiegazioni. Aveva fatto lo stesso nel 2021, quando aveva nominato Hachani al posto di Najla Bouden, rimossa dopo poco più di due anni da prima ministra.

Le speranze di democrazia con le primavere arabe
Il presidente Saied, 66 anni, è accusato da tempo di aver smantellato il sistema democratico tunisino e le libertà ottenute dopo le primavere arabe, la vasta ondata di proteste e sommovimenti che avvennero nel 2011 in vari paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e che portarono alla destituzione di regimi autoritari al potere da decenni. Tra i paesi interessati dalle rivolte, la Tunisia – guidata allora dal presidente autoritario Ben Ali, al potere dal 1987 – fu quello che ne uscì con il sistema democratico apparentemente più stabile e duraturo, oltre ad essere quello dove la rivoluzione ebbe inizio.

Manifestazioni di protesta a Tunisi, 14 gennaio 2011 (AP Photo/Christophe Ena, File)

Negli anni successivi alle rivolte la Tunisia iniziò un complicato e tortuoso percorso verso la democrazia, con riforme e conquiste di nuove libertà politiche. Alle elezioni parlamentari del 2011 – le prime elezioni libere in Tunisia dal 1956, anno in cui il paese ottenne l’indipendenza dalla Francia – vinse il partito islamista moderato Ennahda, che durante gli anni di Ben Ali era stato reso illegale. Ennahda si impose come la più importante formazione politica del paese. Nel 2014, dopo due anni di discussioni, le forze politiche si misero d’accordo per approvare una nuova Costituzione che, tra le altre cose, riduceva i poteri del presidente e aumentava quelli di parlamento e magistratura, oltre a garantire il diritto di espressione, di manifestazione e nuove libertà civili.

Per questo la Tunisia fu celebrata internazionalmente e presa come modello, ottenendo riconoscimenti: tra le altre cose, nel 2015 fu assegnato il Premio Nobel per la Pace al “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino”, cioè quattro organizzazioni che contribuirono alla transizione democratica della Tunisia dopo la rivoluzione del 2011.

C’erano grandi speranze, insomma, sulla democrazia tunisina: sulla sua tenuta, sul suo rafforzamento e sulla sua capacità di far fronte ai problemi rimasti irrisolti dopo le rivolte del 2011. Tra questi, un parlamento ancora molto frammentato, in cui il consenso tra le forze inizialmente unite contro Ben Ali sembrava scemare, un’economia molto malmessa, oltre a problemi di corruzione e disuguaglianze sociali. In parte questi problemi erano gli stessi che avevano spinto molti tunisini e molte tunisine a partecipare alle rivolte del 2011: a rivoluzione avvenuta, quelle stesse persone si aspettavano che il nuovo governo sapesse risolvere i problemi.

Sostenitori e sostenitrici di Kais Saied a Tunisi, Tunisia, 11 ottobre 2019 (AP Photo/Mosa’ab Elshamy)

In realtà le cose non andarono in questa direzione. L’economia continuò a peggiorare e la situazione politica rimase piuttosto caotica. L’elezione come presidente di Kais Saied, nel 2019, va vista in questo contesto. Saied, un professore di diritto costituzionale, si presentò come indipendente e senza nessuna precedente esperienza politica. Sfruttò la sua provenienza per mostrarsi come un leader nuovo, onesto, non compromesso, in grado di combattere la corruzione e di risolvere i problemi del paese.

E poi è arrivato Saied
A partire dal 25 luglio del 2021, Saied ha invece progressivamente smantellato molte istituzioni democratiche. Lo ha fatto rimuovendo la prima ministra Najla Bouden e bloccando i lavori del parlamento, assumendosi gli incarichi di governo e cominciando di fatto a governare da solo, per decreto, con azioni che i suoi oppositori definirono un «colpo di stato».

Ha limitato l’autonomia del potere giudiziario, sciolto il Consiglio superiore della magistratura, represso con violenza le proteste di chi lo accusava di voler riportare il paese verso l’autoritarismo, fatto imprigionare vari oppositori, rimosso decine di giudici critici nei suoi confronti e fatto approvare una nuova Costituzione che gli garantisce ampi poteri, redatta da un gruppo di esperti che lui stesso aveva personalmente nominato. Ha inoltre istituito una nuova legge elettorale che non prevede la partecipazione alle elezioni dei partiti, ma solo di candidati indipendenti. L’affluenza alle prime elezioni che si sono svolte con questa legge, nel dicembre del 2022, fu fra le più basse al mondo.

In Tunisia non è solo lo spazio politico a essersi ristretto, ma anche quello dell’attivismo e dei media. Giovedì 1 agosto è stata arrestata Sihem Bensedrine, una delle persone più importanti per il femminismo e la lotta per i diritti umani del paese. Bensedrine era presidente della Commissione per la verità e la dignità, incaricata di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse durante le dittature in Tunisia che, nel tempo, ha ricevuto più di sessantamila denunce e ascoltato quasi cinquantamila vittime dichiarate in udienze pubbliche trasmesse in diretta televisiva.

L’arresto di Bensedrine è stato interpretato come un tentativo di fermare il processo democratico e garantire impunità per coloro che si erano resi responsabili di quei crimini, tra cui molti funzionari e dirigenti dell’attuale ministero dell’Interno.

Sihem Bensedrine durante una conferenza stampa a Tunisi, 14 novembre 2016 (AP Photo/Ali Mhadhbi, File)

Durante il mandato di Saied è peggiorata moltissimo anche la condizione delle molte persone originarie dell’Africa subsahariana che si trovavano già in Tunisia o che ci arrivano sperando di raggiungere l’Italia. Saied li descrive spesso come i responsabili della crisi economica tunisina. Nei loro confronti ha avviato una campagna di discriminazioni sistematiche, che prevede fra l’altro arresti, violenze ed espulsioni di massa.

Per quanto riguarda la situazione di radio, giornali e televisioni, l’Unione nazionale dei giornalisti tunisini (SNJT) ha denunciato lo scorso novembre il graduale allineamento dei media al regime di Kais Saied, soprattutto a partire dal 2021. Diversi canali e redazioni sono state chiuse, molti giornalisti dissidenti sono stati licenziati, minacciati di essere sottoposti a provvedimenti disciplinari o perseguiti. Il giornalista satirico Haythem El Mekki ha detto: «È diventato molto difficile, se non impossibile, fare questo lavoro. Ci sono questioni di cui non ci possiamo occupare, per non parlare dei colleghi che sono in carcere per aver espresso delle banali opinioni. Praticare il giornalismo politico indipendente oggi in Tunisia è diventato impossibile».

Le candidature per le elezioni presidenziali
Il 6 agosto era l’ultimo giorno per presentare le candidature alle presidenziali e il 10 agosto l’Isie ha comunicato di aver accettato solo tre candidature: quella di Saied, quella di Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex deputato che aveva sostenuto il colpo di stato di Saied tre anni fa, e quella di Ayachi Zammel, anche lui un ex deputato e leader di un piccolo partito poco conosciuto. Altri quattordici candidati non sono invece stati ammessi, ma potranno presentare un ricorso. L’elenco definitivo delle candidature sarà pubblicato il 4 settembre.

Tra gli aspiranti candidati non sono pochi quelli che hanno detto di essere stati costretti a depositare all’Isie dei fascicoli incompleti, in particolare senza il B3, il casellario giudiziale che avrebbe dovuto consegnare loro il ministero dell’Interno.

Rispondendo alle accuse, il ministero dell’Interno ha fatto sapere che il documento del casellario giudiziale è stato dato a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta «ad eccezione di coloro che sono stati coinvolti in procedimenti penali o sono sottoposti a indagini a beneficio della giustizia». A sua volta Saied ha negato che il governo stia reprimendo le voci critiche o cercando di limitare le candidature, sostenendo che «la legge si applica a tutti allo stesso modo». Dopo aver presentato la lista dei candidati ammessi, il presidente dell’Isie, Farouk Bouasker, ha assicurato che nessuno è stato escluso a causa del B3.

La settimana scorsa una trentina di ONG, tra cui la Lega tunisina per i diritti umani, ha denunciato «arresti arbitrari» di candidati alla presidenza, un’autorità elettorale che «ha perso la propria indipendenza» e «una monopolizzazione dello spazio pubblico» con «l’uso di risorse statali per favorire un unico candidato».