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  • Martedì 13 agosto 2024

Il rischio di una nuova guerra tra narcos in Messico

È cresciuto da quando Ismael Zambada, detto "El Mayo", è stato arrestato dagli americani, probabilmente a seguito di un tradimento interno al cartello di Sinaloa

Ismael “El Mayo” Zambada in una foto non datata
Ismael “El Mayo” Zambada in una foto non datata (Department of State/Tv Azteca/La Nacion via ZUMA Press)
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Dopo che, alla fine di luglio, gli Stati Uniti avevano arrestato uno dei più importanti narcotrafficanti messicani, Ismael Zambada García, il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador aveva fatto un appello pubblico ai cartelli del narcotraffico: aveva chiesto loro di evitare di combattersi a vicenda ora che uno dei più importanti leader criminali era stato arrestato.

Questo appello pubblico – rivolto dal presidente di un grande paese a criminali narcotrafficanti – può sembrare inusuale, ma ha motivazioni confermate dalla storia: tutte le volte che nel narcotraffico messicano si è creato un vuoto di potere sono cominciate violentissime guerre criminali per riempirlo. In questo caso, poi, l’arresto di Ismael Zambada, detto “El Mayo”, è avvenuto in una maniera che sembra preludere a possibili scontri tra bande e famiglie, perché Zambada è stato arrestato con ogni probabilità a causa del tradimento del suo principale socio in affari.

Ismael Zambada era uno dei capi del cartello di Sinaloa, il più potente del Messico, e fino al suo arresto era il più anziano capo narcotrafficante ancora in attività, l’ultimo della sua generazione: ha 76 anni, e per più di 40 è stato un potente narcotrafficante. Era ricercato dalla giustizia messicana e anche da quella statunitense per crimini legati al narcotraffico, omicidi e rapimenti. Gli Stati Uniti avevano messo sulla sua testa una taglia da 15 milioni di dollari.

La notizia del suo arresto è stata anche per questo una sorpresa: Ismael Zambada è stato arrestato mentre scendeva da un aereo privato in un piccolissimo aeroporto vicino a El Paso, in Texas, dove le autorità statunitensi lo stavano aspettando. È stato arrestato assieme a Joaquín Guzmán López, un altro dei capi del cartello di Sinaloa, noto con il soprannome di “Chapito” perché è uno dei figli di Joaqúin “El Chapo” Guzmán, il più famoso narcotrafficante messicano arrestato nel 2016 (i figli di “El Chapo” sono tre, sono chiamati tutti e tre “Chapitos” e sono tutti capi narcotrafficanti).

Ismael Zambada (a destra) e Joaquín Guzmán López

Ismael Zambada (a sinistra) e Joaquín Guzmán López (EPA/DEA/US STATE DEPARTMENT)

Secondo varie ricostruzioni fatte circolare prima dalle autorità americane e poi dai suoi avvocati, Zambada sarebbe stato ingannato e rapito da Joaquín Guzmán López, che avrebbe fatto un accordo di resa con le autorità statunitensi, in cui oltre a consegnare se stesso avrebbe consegnato anche Zambada. Guzmán avrebbe convinto Zambada a salire su un aereo con la scusa di andare a dirimere una disputa tra autorità dello stato messicano di Sinaloa, in cui era coinvolto anche il governatore dello stato (che quindi, secondo questa ricostruzione, si sarebbe dovuto incontrare con un potente narcotrafficante: lui nega). Altre versioni dicono che Guzmán aveva detto a Zambada che sarebbero andati a ispezionare una nuova proprietà immobiliare.

In ogni caso, secondo la ricostruzione di Zambada, Guzmán avrebbe portato con sé degli uomini armati, che lo avrebbero immobilizzato e l’avrebbero fatto salire sull’aereo privato che ha poi portato entrambi a El Paso e all’arresto.

Gli avvocati di Guzmán raccontano invece una storia diversa, secondo cui entrambi i narcotrafficanti si sarebbero arresi alle autorità statunitensi di propria volontà, e non ci sarebbe stato nessun tradimento.

Le ragioni per cui un narcotrafficante come Guzmán potrebbe volersi consegnarsi alle autorità americane sono numerose: tra le altre cose, Guzmán è relativamente giovane (ha 38 anni) e un accordo di resa con compresa la consegna di Zambada potrebbe garantirgli una sentenza lieve in un tribunale statunitense: stando così le cose, è probabile che Guzmán speri di trascorrere pochi anni in prigione per poi tornare in libertà e godersi la propria fortuna.

Il problema è che nel frattempo, in Messico, l’idea che Ismael Zambada sia stato probabilmente tradito dal “Chapito” potrebbe generare il pretesto per una nuova guerra criminale. Zambada e i “Chapitos” (cioè Joaquín Guzmán López, quello che si è consegnato, e i suoi due fratelli, che invece sono rimasti in Messico) fanno sì parte dello stesso cartello criminale, il cartello di Sinaloa, e sono soci in affari, ma al tempo stesso sono capi di due fazioni distinte all’interno del cartello, con profondi legami familiari.

È possibile, a questo punto, che la famiglia di Zambada (e in particolare suo figlio, anche lui un narcotrafficante) cerchi vendetta contro i “Chapitos”, provocando una guerra interna. Queste guerre possono anche trasformarsi in eventi di lunga durata ed eccezionale violenza. L’ultima grande guerra interna al cartello di Sinaloa fu nel 2008, fra la famiglia di “El Chapo” Guzmán e la famiglia dei fratelli Beltrán Leyva (sempre a causa di un tradimento interno): furono uccise migliaia di persone da entrambe le parti e il numero di omicidi in Messico raddoppiò nel giro di due anni.

L’altro problema è che, come spesso accade quando uno dei cartelli del narcotraffico si indebolisce, gli altri potrebbero cercare di rimpiazzarlo nei territori e nei traffici illeciti che questo controlla. Membri di altri cartelli (il più importante oltre a quello di Sinaloa si chiama Jalisco Nueva Generación, ma ce ne sono a decine) potrebbero entrare nel territorio dei sinaloensi, e questo potrebbe provocare scontri anche molto violenti.

Il presidente merricano Andrés Manuel López Obrador il 2 agosto 2024

Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador il 2 agosto 2024 (AP Photo/Fernando Llano)

È per questo che il presidente Andrés Manuel López Obrador, conoscendo la storia recente delle guerre di narcotraffico, ha chiesto ai narcos di evitare nuovi scontri. Ha anche cercato di rafforzare la sicurezza del paese: in particolare, ha scritto il Wall Street Journal, l’esercito ha inviato centinaia di membri delle forze speciali a Culiacán, la capitale dello stato di Sinaloa (il Messico è un paese federale), dove è più probabile che ci siano nuove violenze.

Dal 2006, quando l’allora presidente Felipe Calderón iniziò la guerra al narcotraffico inviando l’esercito nelle strade, in Messico sono state uccise più di 350 mila persone per violenze legata al crimine organizzato. Negli ultimi cinque anni ci sono stati almeno 30 mila omicidi violenti all’anno, e decine di migliaia sono le persone rapite o sparite, i cosiddetti desaparecidos.