L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, ottant’anni fa

Al mattino presto quattro reparti delle SS, aiutati dai fascisti, circondarono il paese toscano uccidendo più di 500 persone: fu una delle più gravi stragi nazifasciste della storia

Una foto del Museo della Resistenza di Sant'Anna di Stazzema che mostra la sepoltura provvisoria di alcuni corpi, nel 1944, nel piazzale della chiesa (ANSA/UFFICIO STAMPA MUSEO DI STAZZEMA)
Una foto del Museo della Resistenza di Sant'Anna di Stazzema che mostra la sepoltura provvisoria di alcuni corpi, nel 1944, nel piazzale della chiesa (ANSA/UFFICIO STAMPA MUSEO DI STAZZEMA)

All’alba del 12 agosto di ottant’anni fa, il 12 agosto 1944, tre reparti delle SS del Partito Nazista tedesco con l’aiuto dei fascisti italiani raggiunsero Sant’Anna di Stazzema, un paese in provincia di Lucca, mentre un quarto gruppo chiuse ogni via di fuga. In zona erano attivi da mesi gruppi di partigiani antifascisti, che i tedeschi sospettavano fossero aiutati da moltissime persone civili. All’arrivo delle SS gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema decisero di nascondersi nei boschi per non essere arrestati, mentre donne, anziani e bambini rimasero nelle loro case. I tedeschi arrivarono in paese e in poco più di tre ore uccisero chiunque si trovarono davanti: in tutto 560 persone. Fu una delle peggiori stragi nazifasciste compiute in Italia, e negli anni successivi divenne nota come l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema.

All’epoca, per raggiungere Sant’Anna di Stazzema si dovevano percorrere per almeno due ore le vecchie mulattiere che salivano da Valdicastello e dal versante del comune di Stazzema vero e proprio. Qui e in tutte le località di montagna limitrofe, ritenute praticamente inaccessibili e sicure, dalla fine del 1943 erano arrivate centinaia di sfollati che volevano sottrarsi ai rastrellamenti e ai rischi della battaglia nella piana della Versilia. In quel periodo quella zona rappresentava il fronte occidentale della Linea Gotica, lungo cui correva il fronte di guerra italiano durante le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale:

«Ad agosto del 44 la mia famiglia da Pietrasanta si era rifugiata in località Vaccareccia, a Stazzema», ha raccontato anni più tardi Mario Marsili, uno dei pochi superstiti dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, che all’epoca aveva sei anni. «Mio nonno Umberto Bibolotti e mia nonna Bianca Navari avevano due figlie femmine, tra cui mia madre, e due maschi; ci avevano portati tutti sulla montagna perché temevano i rastrellamenti. (…) Le giornate scorrevano tranquille: a Sant’Anna della guerra non si percepiva quasi niente, solo qualche aereo che sorvolava la zona».

All’inizio di agosto i tedeschi ordinarono a tutti gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema di lasciare le proprie case, ma l’ordine impartito era difficilmente praticabile: non c’erano abbastanza mezzi per trasportare così tante persone in così poco tempo. L’ordine venne annullato pochi giorni dopo, dietro la rassicurazione che in paese non c’erano partigiani, ma solo civili.

Nonostante questo le SS decisero comunque di attaccare il paese. Le quattro compagnie si erano mosse dalla zona di Pietrasanta intorno alle tre di notte percorrendo quattro diverse strade, e raggiungendo la vallata del paese verso le sei del mattino. Nella salita, compiuta durante la notte, fu essenziale la guida di alcuni fascisti della zona, come testimoniato più tardi dai superstiti. Il dittatore fascista Benito Mussolini si era dimesso circa un anno prima, ma da allora aveva radunato quello che rimaneva della dirigenza fascista nel paese lombardo di Salò, da dove continuava a fornire assistenza agli alleati nazisti.

Alle sette il paese era circondato. Molti uomini, credendo che si trattasse di un rastrellamento per mandarli ai lavori forzati, fuggirono nei boschi circostanti.

Il pannello esposto vicino al Monumento Ossario di Sant’Anna di Stazzema con 100 foto di bambini uccisi nell’agosto del 1944, 14 agosto 1997 (SILVI/ANSA/TO)

Lo scrittore e giornalista Manlio Cancogni, morto nel 2015, raccontò così quello che accadde:

«I tedeschi, a Sant’Anna, condussero più di 140 esseri umani, strappati a viva forza dalle case, sulla piazza della chiesa. Li avevano presi quasi dai loro letti; erano mezzi vestiti, avevano le membra ancora intorpidite dal sonno; tutti pensavano che sarebbero stati allontanati da quei luoghi verso altri e guardavano i loro carnefici con meraviglia ma senza timore né odio.

Li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non più lunga di venti metri e larga altrettanto (…) e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare. Breve è la giustizia dei mitragliatori; le mani dei carnefici avevano troppo presto finito e già fremevano d’impazienza. Così ammassarono sul mucchio dei corpi ancora tiepidi e forse ancora viventi, le panche della chiesa devastata, i materassi presi dalle case, e appiccarono loro fuoco.

E assistendo insoddisfatti alla consumazione dei corpi spingevano nel braciere altri uomini e donne che esanimi dal terrore erano condotti sul luogo, e che non offrivano alcuna resistenza».

Altre persone vennero uccise nelle case sparse sulle alture, altre ancora mentre cercavano di scappare correndo fra i campi. A mezzogiorno tutte le case del paese erano state incendiate; gli abitanti e gli sfollati erano stati tutti trucidati. Delle 560 persone uccise, solo poco più di 390 sono state in seguito identificate.

Nei giorni immediatamente successivi quasi duecento sopravvissuti, temendo che i nazisti potessero tornare, si rifugiarono negli anfratti delle montagne e per più di un mese, nascosti nelle grotte e nelle gallerie delle vicine miniere, vissero di ciò che raccoglievano durante la notte negli orti abbandonati. Soltanto a settembre, con l’arrivo degli Alleati, fecero ritorno nelle poche case rimaste integre.

Solo dalla fine del 1945, con la Liberazione e la fine del conflitto, fu possibile avviare la ricostruzione. Le travi necessarie vennero ricavate dai castagni, le fornaci per produrre la calce vennero riattivate e dalle cave di ardesia si recuperarono le lastre per ricoprire i tetti. I fori dei proiettili sulla facciate delle case vennero stuccate, l’interno della chiesa fu riverniciato e le canne dell’organo mitragliate dai nazisti vennero rimosse.

Le salme delle vittime della strage nazista di Sant’Anna di Stazzema vengono portate al Monumento Ossario sul Col di Cava, visibile dai monti circostanti e dalla valle, primavera del 1948 (ANSA/UFFICIO STAMPA MUSEO DI STAZZEMA)

Le prime indagini sull’eccidio di Sant’Anna furono condotte nell’ottobre del 1944 dagli americani e dagli inglesi. Per cinquant’anni, tuttavia, fino al 1994, non vi furono progressi fino a quando, a Roma, venne scoperto un armadio contenente quasi settecento fascicoli archiviati negli anni Sessanta: alcuni erano relativi al massacro di Sant’Anna di Stazzema. Solo in base a quei documenti furono avviate delle indagini per comprendere le ragioni dell’occultamento.

Nel 2004 iniziò a La Spezia il processo penale contro tre imputati a cui, nel tempo, se ne aggiunsero altri. Il processo si concluse nel 2005 con la condanna all’ergastolo per dieci soldati tedeschi colpevoli del massacro. Nel 2007 la sentenza fu confermata dalla Corte di Cassazione. Nel 2012 la procura di Stoccarda, però, archiviò l’inchiesta sulla strage di Sant’Anna di Stazzema con una sentenza opposta a quella della giustizia italiana sostenendo che non ci fossero documenti che provassero la «responsabilità individuale» delle persone accusate dell’eccidio.

La complicità dei fascisti è stata ricordata anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una dichiarazione sull’80esimo anniversario dell’eccidio, pubblicata lunedì.