Il ritorno di Carles Puigdemont a Barcellona è servito a poco
L'ex presidente catalano voleva bloccare la formazione del governo regionale e riportare il discorso pubblico sull'indipendentismo: non c'è riuscito, almeno per ora
La scorsa settimana la politica della Catalogna è stata scombussolata dall’apparizione e poi dalla rocambolesca fuga dell’ex presidente indipendentista Carles Puigdemont, che è ricercato dalla giustizia spagnola ma è riuscito a scappare e a eludere un grosso dispiegamento della polizia locale catalana che era arrivato a Barcellona per arrestarlo.
Ad alcuni giorni di distanza, però, è diventato piuttosto chiaro che l’incursione di Puigdemont a Barcellona non ha avuto grossi effetti, e certamente non quelli sperati da Puigdemont stesso. Alcuni hanno perfino sostenuto che il modo in cui sono andate le cose, con l’ex presidente catalano che ha evitato l’arresto ed è tornato nel suo esilio autoimposto in Belgio, sia molto conveniente per il governo spagnolo del Socialista Pedro Sánchez, i cui equilibri delicati si basano anche sul sostegno degli indipendentisti catalani.
Giovedì 8 agosto Puigdemont, a sette anni dalla sua fuga all’estero per evitare accuse legate all’organizzazione del referendum illegale del 2017, è tornato a Barcellona, dove ha tenuto un brevissimo discorso davanti a migliaia di suoi sostenitori, e subito dopo è sparito, sfuggendo alla polizia che era lì per arrestarlo.
Gli obiettivi del ritorno di Puigdemont a Barcellona erano principalmente due. Il primo era ostacolare la formazione di un nuovo governo regionale di centrosinistra in Catalogna, formato dal Partito Socialista catalano (emanazione del Partito Socialista di Pedro Sánchez) e da Esquerra Republicana (ERC), partito indipendentista di sinistra. Giovedì scorso Puigdemont si è presentato a Barcellona appositamente un’ora prima del voto di fiducia, con l’obiettivo di creare abbastanza pressione politica da interromperlo o quanto meno ostacolarlo.
Il secondo obiettivo era di tornare rilevante nella politica catalana, e ravvivare un processo indipendentista che, grazie a un lungo percorso di normalizzazione avviato proprio da Sánchez, ormai da qualche tempo ha perso centralità nella politica regionale e nazionale, a favore di soluzioni autonomiste e di convivenza.
Nessuno di questi due obiettivi è stato ottenuto. Puigdemont non è riuscito a ostacolare la formazione del governo tra Socialisti ed ERC, e l’ex ministro della Salute spagnolo, il Socialista Salvador Illa, è diventato il nuovo presidente della Catalogna, il primo non indipendentista o autonomista dal 2010. Inoltre, pur avendo generato enorme confusione e sorpresa con il suo ritorno a Barcellona, Puigdemont non sembra essere riuscito più di tanto a riportare l’attenzione sull’indipendentismo catalano: almeno per ora, la sua fuga e il suo ritorno in Belgio l’hanno riportato dove si trovava fino a una settimana fa, ai margini del dibattito pubblico spagnolo.
Questo non significa che Puigdemont non abbia ottenuto risultati: è riuscito a riportare l’attenzione su di sé per vari giorni, e ha dimostrato di essere ancora un politico imprevedibile e notevole. È anche riuscito a umiliare i Mossos d’Esquadra, la polizia regionale spagnola, che dopo la fuga hanno cercato inutilmente di arrestarlo.
Nonostante questo, alcuni commentatori sostengono che tutta la vicenda dell’apparizione e della fuga di Puigdemont in Catalogna sia stata una vittoria per il primo ministro Socialista Pedro Sánchez, i cui obiettivi erano due: riuscire a formare in Catalogna un governo non indipendentista e al tempo stesso evitare di mettere in pericolo il proprio, di governo, che per sopravvivere dipende proprio dagli indipendentisti catalani.
Questa situazione abbastanza paradossale deriva dal fatto che Sánchez guida un governo di minoranza, che non ha abbastanza voti per approvare le leggi da solo e ha bisogno del sostegno esterno di altri partiti. I più importanti sono proprio i due grandi partiti indipendentisti catalani, che esprimono deputati anche nel parlamento nazionale: ERC e Junts, cioè il partito di Puigdemont. Sánchez e i Socialisti, dunque, si trovano in un equilibrio delicatissimo: a livello nazionale hanno bisogno del sostegno esterno del partito di Puigdemont, mentre in Catalogna Junts si trova all’opposizione.
Se Puigdemont fosse stato arrestato difficilmente questo equilibrio avrebbe retto. Junts avrebbe con ogni probabilità ritirato il suo sostegno al governo di Sánchez, e con l’ex presidente indipendentista trasformato in un “prigioniero politico” la politica catalana sarebbe entrata in una nuova fase di turbolenze.
La fuga di Puigdemont, in questo senso, è stata quasi provvidenziale, al punto che alcuni media si sono chiesti se davvero le forze di polizia si siano impegnate quanto avrebbero potuto per arrestare l’ex presidente.
Tra le altre cose, un giornalista di Politico è andato a Portbou, uno dei paesi di frontiera tra la Spagna e la Francia, dove è possibile che Puigdemont sia passato per entrare e uscire dalla Catalogna (è un’ipotesi, non si sa che percorso abbia fatto davvero). Gli abitanti del posto hanno detto che in altre occasioni la polizia aveva organizzato enormi controlli alla frontiera, messo posti di blocco, dispiegato personale e mezzi: «Ma negli scorsi giorni non l’hanno fatto, non c’era nessuno».