I membri del principale partito di opposizione in Thailandia, sciolto mercoledì, hanno annunciato la creazione di un nuovo gruppo

un uomo parla in una stanza circondato da giornalisti e fotografi
Il leader del nuovo Partito del Popolo, Natthaphong Ruengpanyawut, a destra col microfono in mano, durante la conferenza stampa in cui è stata annunciata la creazione del partito (EPA/NARONG SANGNAK)

Venerdì in Thailandia gli ex membri del Kao Klai, “Andiamo Avanti”, il principale partito progressista di opposizione, sciolto mercoledì da una criticata sentenza della Corte costituzionale, hanno annunciato la creazione di un nuovo partito. La nuova formazione si chiama Phak Prachachon, cioè Partito del Popolo, e vi hanno aderito tutti i 143 parlamentari eletti nel 2023 con il Kao Klai. Sarà guidato da Natthaphong Ruengpanyawut, un ex dirigente di un’azienda informatica di 37 anni, che ha detto che il nuovo partito manterrà il programma di quello vecchio.

Il Kao Klai, che ha molti consensi soprattutto fra i giovani delle aree urbane, era a sua volta la seconda incarnazione di un partito sciolto nel 2020, il Phak Anakhot Mai, il Partito del Nuovo Futuro. L’anno scorso aveva vinto le elezioni per la Camera dei deputati, ma non era riuscito a formare un governo a causa dell’opposizione del Senato, nominato in gran parte dall’establishment monarchico e militare. Oltre ad aver sciolto il partito, la sentenza della Corte vieta ai membri del suo comitato esecutivo, fra cui l’ex leader Pita Limjaroenrat, di fare politica per i prossimi 10 anni.

L’accusa nei confronti del partito e dei suoi esponenti era di aver violato la Costituzione per aver proposto durante la campagna elettorale di modificare la legge sulla lesa maestà, una delle più severe in tutto il mondo. Dal 2020 a oggi almeno 262 persone sono state incriminate per lesa maestà in Thailandia, dove ogni dichiarazione considerata un insulto verso il re o la monarchia può essere punita con il carcere fino a 15 anni. Il Kao Klai aveva detto di voler modificare la legge sulla lesa maestà per evitare gli abusi delle autorità, non per mettere in dubbio il ruolo del re come capo dello stato, ma la Corte ha ritenuto comunque che il partito fosse colpevole di aver provato a sovvertire l’ordine dello Stato e la distruzione della monarchia costituzionale.

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