Anche il 2024 sarà un anno eccezionale per le banche italiane

Stanno ancora ottenendo ottimi guadagni grazie agli alti tassi di interesse, ma il governo ha smentito di voler introdurre un'altra tassa sugli extraprofitti

(John Moore/Getty Images)
(John Moore/Getty Images)
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Negli ambienti finanziari e politici nelle ultime settimane sono circolate alcune ipotesi sul fatto che il governo italiano potesse imporre un’altra tassa sugli extraprofitti delle banche, come quella straordinaria introdotta lo scorso anno e che si rivelò presto poco efficace. Questa ipotesi è stata smentita mercoledì dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nonostante il settore bancario stia andando molto bene e anche quest’anno si prevede che otterrà ingenti profitti.

La tassa in questione riguarda i guadagni aggiuntivi che le banche stanno ottenendo grazie all’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti che si è visto negli ultimi due anni. Questo aumento è a sua volta una conseguenza dei rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Banca Centrale Europea per fermare l’inflazione. La misura dello scorso anno fu molto criticata, sia perché fu annunciata a sorpresa facendo crollare in borsa il valore delle banche italiane, sia perché ebbe di fatto solo un valore ideologico: per come fu disegnata molte banche hanno finito per non pagarla, e fu dunque solo un tentativo maldestro di mostrare che il governo stava facendo qualcosa per risolvere il problema dell’aumento dei tassi di interesse sui mutui.

Mercoledì, durante la conferenza stampa di presentazione del cosiddetto “decreto omnibus” (dove secondo le indiscrezioni avrebbe dovuto essere inserita la nuova tassa), Giorgetti ha però smentito, sebbene in modo un po’ criptico: ha detto che «non ci sarà un’altra tassa sugli extraprofitti», ma «sui profitti sì», e ha aggiunto che «le banche come tutte le altre realtà che fanno utili e che stanno bene saranno chiamate a contribuire come tutti i cittadini». Non è chiaro cosa intendesse Giorgetti, dato che le banche come qualsiasi azienda pagano già le imposte sui loro profitti. Negli scorsi giorni l’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, aveva pubblicato un duro comunicato in risposta all’ipotesi di una nuova tassa, in cui diceva che le banche pagano già più della media.

L’ipotesi di una tassa sugli extraprofitti, in qualsiasi forma, resta comunque plausibile e molto allettante per il governo, che si appresta a lavorare a una legge di bilancio per il prossimo anno per cui non ci sono soldi: tassare le banche potrebbe aiutare dato che, come il resto del settore europeo, stanno facendo guadagni eccezionali grazie alla politica di rialzo dei tassi della Banca Centrale Europea (BCE), e che anche quest’anno finiranno per ottenere profitti che non vedevano da anni.

Un’analisi pubblicata giovedì sul Sole 24 Ore ha preso in considerazione i risultati del primo semestre di quest’anno delle otto banche italiane più rilevanti: Unicredit, Intesa Sanpaolo, MPS, Banco Bpm, BPER, Credem, Popolare di Sondrio e Credit Agricole Italia. Nei primi sei mesi dell’anno hanno ottenuto complessivamente un profitto di 13 miliardi di euro, ancora di più rispetto agli 11 miliardi del primo semestre dello scorso anno, quando già erano cresciuti. Nella prima metà dell’anno hanno raggiunto e superato l’utile annuale del 2022, che fu di 12,5 miliardi di euro.

Secondo il Sole 24 Ore, sui guadagni dei primi sei mesi del 2024 le banche dovrebbero già pagare allo stato imposte per 5,2 miliardi, contro i 4,5 dello scorso anno.

Come detto questi risultati dipendono quasi esclusivamente dalla politica monetaria della BCE per fermare l’aumento del costo della vita iniziato dopo la pandemia di Covid-19 e intensificato con la guerra in Ucraina. Da luglio del 2022 la BCE ha aumentato i tassi di interesse di riferimento di oltre 4 punti percentuali: sia quello che chiede alle banche commerciali per fornire loro liquidità (da zero al 4,75 per cento) che quello sui depositi, ossia il rendimento che la BCE garantisce alle banche che depositano fondi presso le sue casse (da meno 0,5 a più 4 per cento). In questo modo le banche sono incentivate a tenere fermi i loro soldi nelle casse della BCE, e i clienti finali sono meno propensi a prendere soldi a prestito perché i finanziamenti sono più cari.

– Leggi anche: Perché le banche centrali aumentano i tassi di interesse

Per le banche la conseguenza è l’aumento del cosiddetto margine di interesse, cioè il guadagno che ottengono dalla loro attività di prestiti a famiglie e imprese: è la differenza tra gli interessi pagati ai clienti che hanno affidato alle banche dei soldi – quelli della cosiddetta “raccolta”, come gli interessi sui conti correnti, sui depositi o sulle obbligazioni – e gli interessi che invece spettano loro, ossia i ricavi delle banche, come quelli pagati da chi ha un mutuo sulla casa o dalle aziende che hanno fatto dei prestiti. Secondo i dati del Sole 24 Ore nel primo semestre dell’anno il margine di interesse dei primi otto istituti è stato di 21,7 miliardi, in aumento del 9 per cento rispetto al primo semestre del 2023.

Le banche italiane hanno scaricato ampiamente il costo dell’aumento dei tassi di interesse sui clienti. Secondo i dati dell’ABI, rispetto a luglio del 2022, quando la BCE ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse, le banche commerciali hanno aumentato i tassi dei prestiti (quelli che le banche stesse percepiscono) di 2,52 punti e quelli sulla raccolta (che le banche devono invece pagare ai clienti) di solo 0,8 punti percentuali.

Lo si è visto per esempio dal fatto che sono aumentati pochissimo gli interessi sui conti correnti: da un interesse quasi inesistente (0,2 per cento) a luglio del 2022, oggi in media viene garantito lo 0,56 per cento. I conti correnti sono ormai reputati da molti un servizio di pagamento, che quindi non dovrebbero pagare un interesse: ma anche nel caso di altri strumenti simili, come i depositi, i tassi da pagare ai clienti sono stati aumentati molto meno di quelli sui prestiti.

Aumentando i tassi in loro favore di oltre tre volte rispetto ai tassi che corrispondono ai clienti, le banche quindi hanno guadagnato molto.

Il costo medio dei prestiti fatti dalle banche in Italia è effettivamente molto cresciuto. I tassi di interesse sui mutui per le famiglie sono aumentati dal 2,5 per cento di luglio 2022 fa al 3,7 dello scorso giugno: sulle aspettative di imminente discesa dei tassi da parte della BCE, che ha annunciato un primo calo a giugno, da qualche mese le banche hanno già iniziato a offrire mutui a tassi più bassi, e il picco è ormai passato. Questo sta avvenendo in misura minore anche per i tassi dei prestiti alle imprese, che in due anni sono passati dall’1,31 al 5,25 per cento.

Le banche italiane possono comunque permettersi di applicare condizioni a loro favore perché il sistema italiano è “bancocentrico”: significa che le imprese si finanziano principalmente con i prestiti bancari e molto meno quotandosi in borsa o con altri strumenti finanziari meno tradizionali. Significa che quando un’azienda ha bisogno di liquidità, in Italia le banche sono praticamente l’unica opzione, e quindi le aziende sono costrette ad accettare anche tassi alti.

L’aumento dei tassi di interesse ha vari effetti sul sistema finanziario, che cambiano a seconda del modello di business più diffuso tra le banche: negli Stati Uniti, dove gli istituti finanziari sono più specializzati in attività speculative e di investimento il rialzo dei tassi è spesso un problema, alcune banche lo scorso anno sono addirittura fallite; dove invece le banche sono specializzate nella tradizionale attività di credito, come prestiti a famiglie e imprese, queste stanno guadagnando parecchio: è il caso di quelle italiane.

– Leggi anche: I rischi della tassa sugli “extraprofitti” delle banche