Per le nomine dei nuovi dirigenti Rai se ne riparla a settembre

Giorgia Meloni sta faticando più del previsto a trovare un'intesa con Matteo Salvini e Antonio Tajani, poi andrà coinvolta anche l'opposizione: i tempi si stanno allungando

La sede generale della Rai in viale Mazzini, a Roma, con il cavallo di bronzo opera dello scultore Francesco Messina (Mauro Scrobogna/LaPresse)
La sede generale della Rai in viale Mazzini, a Roma, con il cavallo di bronzo opera dello scultore Francesco Messina (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Caricamento player

Le pratiche per il rinnovo del consiglio di amministrazione e dei principali incarichi dirigenziali della Rai sono state rimandate a settembre. È l’ultima proroga di uno stallo che va avanti da mesi, dovuto soprattutto all’impossibilità di trovare un accordo tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il leader della Lega Matteo Salvini: una situazione che ultimamente è diventata abituale, dato che Salvini da tempo prova a complicare le cose per Meloni pretendendo compensazioni o rivendicazioni per il suo partito in cambio dell’approvazione di importanti misure.

Per legge la nomina dei principali dirigenti e la decisione delle politiche di indirizzo della Rai spettano al governo in carica e ai partiti politici presenti in parlamento. Di conseguenza, quasi tutti i settori della Rai dipendono da alcune forze politiche, spesso con un informale sistema di “quote” in cui cariche e responsabilità sono divise tra i partiti (è il meccanismo della cosiddetta “lottizzazione”, che è da tempo criticato).

L’organo principale della Rai è il consiglio di amministrazione (cda), che ha poteri relativamente limitati dal punto di vista operativo, ma da cui dipende l’approvazione di molte nomine apicali. Soprattutto, il cda è lo strumento principale del controllo dei partiti sulla Rai: è composto da sette consiglieri, di cui uno designato dell’assemblea dei dipendenti della Rai, due dal governo e quattro dal parlamento. Camera e Senato votano due componenti ciascuno, uno scelto dalla maggioranza di governo e l’altro dalle opposizioni, per garantire la pluralità. I mandati del cda e dell’amministratore delegato durano tre anni, ma succede spesso che governo e parlamento, dopo l’insediamento, nominino nuovi dirigenti sostituendo quelli che c’erano prima.

Il mandato degli attuali dirigenti scadeva a luglio 2024, e quindi il governo e il parlamento avrebbero già dovuto rinnovarli. Meloni sperava di chiudere tutto entro la pausa estiva, e lunedì avrebbe dovuto esserci un incontro tra i leader della maggioranza – quindi Meloni, Salvini e Antonio Tajani di Forza Italia – per trovare un accordo. L’incontro però non c’è stato. I tre si vedranno oggi durante un Consiglio dei ministri già convocato per altre questioni, ma è molto improbabile che venga deciso qualcosa di definitivo sulle nomine Rai, anche perché il Senato ha già fissato al 12 settembre la votazione sui due membri del consiglio di amministrazione Rai di sua competenza.

Della necessità di rinnovare le nomine Rai si parla da mesi. Tra febbraio e marzo alcuni esponenti del governo avevano ipotizzato tutto potesse avvenire prima delle elezioni europee di inizio giugno: e invece niente. I ritardi sono diventati problematici soprattutto da quando, il 23 luglio, la presidente della Rai Marinella Soldi ha annunciato che si sarebbe dimessa per andare a lavorare per l’emittente britannica BBC. I parlamentari di Fratelli d’Italia avevano lasciato intendere che avrebbero potuto esserci sviluppi sviluppi a breve, ma alla fine tutto è stato rimandato di nuovo.

Giampaolo Rossi, a sinistra, e Roberto Sergio a destra: il direttore generale e l’amministratore delegato della RAI auditi dalla Commissione di vigilanza l’8 maggio 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Al centro delle trattative c’è la scelta del nuovo amministratore delegato, che Fratelli d’Italia ha in realtà già designato da tempo. Nel maggio del 2023 il governo Meloni indicò Roberto Sergio come nuovo amministratore delegato della Rai, ma in un’ottica molto chiara di transizione: Sergio era stato nominato per sostituire il dimissionario Carlo Fuortes, scelto dal precedente governo di Mario Draghi. Il compromesso politico che sembrava definito prevedeva che Sergio restasse amministratore delegato, il ruolo operativo più importante nell’azienda, solo fino alla scadenza del mandato prevista per luglio 2024.

A quel punto sarebbe stato nominato al suo posto Giampaolo Rossi, che quindi avrebbe avuto tre anni pieni di mandato davanti a sé e un cda espresso dalla nuova maggioranza di destra a sostenerlo. Proprio per consolidare queste aspirazioni di Rossi, che è notoriamente vicino alla destra e a Fratelli d’Italia, Sergio lo nominò direttore generale, affidandogli dunque importanti deleghe dirigenziali che fino a quel momento erano state ricoperte dallo stesso amministratore generale, cioè appunto Fuortes.

– Leggi anche: Alcuni giornalisti vogliono creare un sindacato di destra in Rai, ma non sarà facile

Col tempo però questo piano ha iniziato a scricchiolare, e negli ultimi mesi anche gli altri partiti di maggioranza hanno avanzato rivendicazioni rispetto alla governance della Rai. Rossi rimane comunque la persona più quotata per il ruolo di amministratore delegato, ma Forza Italia vorrebbe indicare come presidente Simona Agnes, figlia del celebre giornalista Biagio Agnes e componente del cda della Rai dal 2021.

Le richieste di Salvini sono invece poco chiare, e gli indizi sulle sue reali intenzioni sono cambiati nel tempo. Ha fatto trapelare nomi di possibili candidati a lui graditi per la carica di direttore generale, che Rossi lascerebbe per assumere l’incarico di amministratore delegato: tra gli altri ha citato Marco Cunsolo e Maurizio Fattaccio, dirigenti di lungo corso della Rai che ora ricoprono rispettivamente il ruolo di direttore della Produzione tv e di direttore degli Affari fiscali. Ma dallo staff di Salvini e dai parlamentari a lui più vicini sono filtrate anche parole di stima nei confronti dell’operato di Sergio, come a lasciar intendere che alla Lega non dispiacerebbe confermarlo nel ruolo di amministratore delegato, mandando così in fumo il piano lungamente preparato da Fratelli d’Italia. E nel frattempo, la Lega ha avanzato in maniera riservata anche richieste di altre compensazioni in cambio di un eventuale assenso su Rossi, per ottenere dirigenti di reti e di strutture della Rai.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini alla Camera, il 26 giugno 2024 (Roberto Monaldo LaPresse)

L’indecifrabilità delle intenzioni di Salvini ha indotto Meloni ad agire con cautela e a non esporsi più di tanto: anche perché la Lega esprime il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che è formalmente l’azionista di maggioranza della Rai e che dunque può avere un certo peso nell’indirizzare le scelte o nel condizionare le trattative che riguardano la tv pubblica. L’estrema prudenza di Meloni ha però contribuito a consolidare l’impasse. Come spiega il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri, coinvolto nei negoziati, «per definire l’intero quadro delle nomine serve una regia politica che spetta inevitabilmente al partito di maggioranza relativa», cioè appunto a Fratelli d’Italia.

Inoltre dato che gli incarichi sono decisi sia dai parlamentari della maggioranza che da quelli dell’opposizione, dovrebbero essere avviati dei negoziati anche con i partiti di minoranza. Per ora però questo non sta succedendo: lunedì Gasparri ha confermato come non ci sono ancora stati quei colloqui necessari a favorire intese trasversali.

Il risultato è che Forza Italia e Lega hanno deciso di rinviare tutto, costringendo di fatto anche Fratelli d’Italia a rinunciare a forzature o accelerazioni. Come detto il Senato ha rinviato la votazione sui due membri del cda di sua competenza al 12 settembre, mentre la Camera non ha ancora preso decisioni in tal senso, ma è ormai scontato che anche i deputati voteranno dopo la pausa estiva e quindi dopo il 10 settembre. Solo in seguito il governo potrà infine procedere a definire le nomine di amministratore delegato, direttore generale e presidente della Rai.