Chi è Sheikh Hasina, l’ormai ex prima ministra del Bangladesh
Era ininterrottamente al governo dal 2009, aveva lottato contro le dittature militari ma da tempo era accusata di essere sempre più autoritaria
Lunedì, dopo settimane di intense proteste antigovernative, si è dimessa la prima ministra del Bangladesh, Sheikh Hasina, la più longeva della storia del paese. Hasina era al governo dal 2009 ma aveva ricoperto lo stesso ruolo anche in precedenza, fra il 1996 e il 2001. Da diverso tempo la sua immagine era cambiata, così come il suo governo: da simbolo della democrazia, derivante dal suo impegno contro le dittature militari in Bangladesh, era diventata una leader sempre più autoritaria, e secondo i suoi oppositori, ma anche secondo diverse organizzazioni internazionali, una delle principali minacce al sistema democratico del paese.
Hasina ha lasciato la capitale Dacca a bordo di un elicottero militare, dopo che migliaia di manifestanti avevano attaccato la sua residenza ufficiale. Secondo India Today e secondo il telegiornale indiano in lingua inglese CNN-News18, sarebbe atterrata insieme a sua sorella a New Delhi, in India, ed è probabile che tra qualche giorno andrà a Londra.
Nel frattempo il capo dell’esercito, il generale Waqar-uz-Zaman, ha detto che è iniziata una transizione politica e che verrà formato presto un governo ad interim.
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Sheikh Hasina ha 76 anni, è la figlia maggiore di Sheikh Mujibur Rahman, il politico che dichiarò l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971. Dopo aver fondato la Lega Awami (LA), di ispirazione progressista, Sheikh Mujibur Rahman fu primo ministro, poi presidente e nell’agosto del 1975 venne deposto e ucciso insieme a parte della famiglia durante un colpo di stato organizzato dall’esercito, preoccupato dal suo crescente autoritarismo.
La notte del colpo di stato, quando un gruppo di ufficiali dell’esercito uccise entrambi i suoi genitori, tre dei suoi fratelli e il personale della casa, Hasina aveva 27 anni e si trovava in Germania con la sorella minore. Lei disse che fu quello l’episodio che motivò da lì in poi la sua carriera politica: «Hasina ha una qualità molto potente come politica, quella di saper usare il trauma come un’arma a proprio favore», ha detto Avinash Paliwal, docente di relazioni internazionali dell’Asia meridionale all’Università SOAS di Londra.
Dopo la morte dei genitori, Hasina visse per diversi anni in esilio in India mentre nel suo paese una serie di colpi di stato portarono alla presidenza Ziaur Rahman, fondatore del Partito nazionalista del Bangladesh (BNP) che abolì la laicità dello Stato proclamata dal padre di Hasina e che fece della fedeltà all’Islam uno dei principi cardine della nuova Costituzione (il Bangladesh è un paese a maggioranza musulmana). Ziaur Rahman fu a sua volta ucciso durante il colpo di stato del 1981.
In quel periodo Hasina si sposò con uno scienziato nucleare bangladese ed ebbe due figli. Fece politica all’università nei movimenti studenteschi e nelle loro sezioni femminili.
Una volta tornata in Bangladesh, venne eletta presidente della Lega Awami. Per tutti gli anni Ottanta, durante un periodo di grande instabilità politica e continui colpi di stato sostenuti dai militari, entrò e uscì dal carcere. Dopo il ritorno alla legalità costituzionale, gli anni Novanta furono caratterizzati da un’aspra rivalità tra Hasina e la nuova leader del BNP, Khaleda Zia: le due governarono alternativamente contribuendo a polarizzare la politica del paese.
Hasina, moderata e laica, accusò di estremismo il BNP, alleato dei partiti islamici; il BNP di Zia (che era la moglie di Ziaur Rahman, l’uomo che prese il potere dopo che il padre di Hasina venne assassinato) sostenne invece sempre che la Lega Awami avesse usato la repressione per tornare al potere.
Khaleda Zia vinse nel 1991, Hasina nel 1996 e Zia di nuovo nel 2001. Gli anni successivi furono caratterizzati da una grande instabilità politica, con decine di scioperi generali e attentati. Nel 2007, quando arrivò il momento di votare di nuovo, il governo provvisorio che si insediò con il sostegno dei militari ordinò un’irruzione nella casa di Hasina e il suo arresto per estorsione. La leader della Lega Awami definì le accuse una cospirazione per impedirle di candidarsi. Tra la possibilità di lasciare il paese o andare in carcere scelse la seconda: per combattere per la democrazia e i diritti del suo popolo, disse all’epoca.
Undici mesi dopo venne rilasciata e nel 2008 fu rieletta prima ministra. Poi fu confermata nel 2014, in un momento di gravi disordini e nonostante le diffuse accuse di brogli elettorali; e di nuovo nel dicembre del 2018, quando i partiti di opposizione decisero di boicottare le elezioni. In quell’occasione l’affluenza fu solo del 22 per cento e la maggioranza assoluta dei seggi andò al partito della prima ministra, dopo una campagna elettorale che si era tenuta in un clima di violenze e intimidazioni, in cui 19 persone erano state uccise e diverse erano state ferite e incarcerate arbitrariamente dalla polizia.
Negli ultimi quindici anni Hasina ha contribuito a un grande sviluppo economico del Bangladesh: sono state costruite grandi infrastrutture, come autostrade, linee ferroviarie e porti; la rete elettrica è stata ampliata e portata nei centri più remoti; l’industria dell’abbigliamento è diventata una delle più competitive al mondo e negli ultimi dieci anni il reddito pro capite è triplicato. I progressi in termini di sviluppo hanno innescato a loro volta altri progressi: l’istruzione femminile è stata parificata a quella maschile, è migliorata la condizione lavorativa delle donne e la Banca Mondiale ha stimato che più di 25 milioni di persone, su più di 170 milioni di abitanti, negli ultimi vent’anni siano usciti dalla povertà.
Anche in politica internazionale Hasina si è fatta notare: per esempio è riuscita a mantenere buoni rapporti sia con l’India che con la Cina (due paesi in forte competizione tra loro). Ha coltivato i legami storici del Bangladesh con la Russia, ma anche con i leader occidentali, nonostante la condanna di questi ultimi per l’invasione russa dell’Ucraina. E, almeno inizialmente, è stata apprezzata quando nel 2017 diede rifugio ai musulmani rohingya in fuga dalle persecuzioni e dalle violenze nel vicino Myanmar, anche se poi il suo governo fece delle proposte piuttosto radicali che furono assai contestate.
Chi ha criticato Hasina negli ultimi mesi sostiene che il successo del Bangladesh sia stato ottenuto però a scapito della democrazia e dei diritti umani, e che il regime sia diventato progressivamente sempre più autoritario e repressivo, limitando il dissenso e la libertà di stampa. Nell’ultimo anno molti dirigenti del BNP sono stati arrestati con accuse fittizie e inventate, così come migliaia di sostenitori dell’opposizione in seguito alle proteste antigovernative che avevano organizzato.
I dati mostrano che con Hasina gli arresti, le sparizioni, le uccisioni e altri abusi legati a motivi politici sono aumentati significativamente. Lo scorso novembre un gruppo di relatori speciali delle Nazioni Unite disse che nel paese «l’utilizzo del sistema giudiziario come arma per attaccare giornalisti, difensori dei diritti umani e leader della società civile» stava diminuendo «l’indipendenza della magistratura» e erodendo «i diritti umani fondamentali».