Splendori e miserie dei libri dell’estate (e di chi li legge)

«Quando iniziano le vacanze ci convinciamo che in un periodo di venti giorni bisogna effettuare letture mirate, selezionate, efficaci, soddisfacenti, nostre, più che in ogni altro momento dell’anno. Dobbiamo godere, come se fosse facile farlo con i libri. Di più, dobbiamo rimediare: in quelle due-tre settimane contiamo generalmente di finire una buona volta "Guerra e pace", leggere i diari di Sylvia Plath, un paio di Bolaño, Marina Cvetaeva ritradotta da Serena Vitale, tre scrittrici irlandesi da tenere d’occhio, quattro gialli e il capolavoro inedito di un cugino. E va bene che d’estate il tempo si dilata, ma c’è un limite»

Due ragazze leggono al sole sotto un ombrello a Southend-on-Sea, Essex, nel 1923. (Topical Press Agency/Getty Images)
Due ragazze leggono al sole sotto un ombrello a Southend-on-Sea, Essex, nel 1923. (Topical Press Agency/Getty Images)
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Come sono nati i libri dell’estate®? Da dove arriva questa perniciosa tendenza? Partiamo da un assunto: fino a un certo periodo della storia italiana, l’estate non esisteva, perché non esisteva il tempo libero. Esistevano lo sgobbo, il vuoto, il caldo, la spossatezza, la balneazione (saltuaria: ci si spaccava già la schiena sotto il sole, e le famiglie ricche salivano in collina a cercare il fresco, non s’abbrustolivano la pelle con dieci ore di sole). Poi insieme al boom e al lavoro, sono arrivate le vacanze, o meglio le ferie. Quindi: anni ’50, riviere che esplodono di gioia e di corpi, Il sorpasso (1962), alfabetizzazione crescente, settimanali, riviste di costume, libri, Gassman che parodia Bellonci nei Mostri (1963), «Quindi non curo la mia intelligenza / La gente bene con questo non lega / Ma alle canaste di beneficenza / So sempre tutto sull’ultimo Strega» (Francesco Guccini, Il sociale e l’antisociale, 1967, ma scritta un po’ di anni prima).

Decennio dopo decennio, con la moltiplicazione dei titoli e il disorientamento in libreria, ci siamo convinti che fosse una buona idea

a) consigliare letture a persone sconosciute;

b) convincerci che in un periodo di venti giorni bisogna per forza di cose effettuare letture mirate, selezionate, efficaci, soddisfacenti, nostre, più che in ogni altro momento dell’anno.

Dobbiamo godere, come se fosse facile farlo con i libri. Di più, dobbiamo rimediare: in quelle due-tre settimane contiamo generalmente di finire una buona volta Guerra e pace, leggere i diari di Sylvia Plath, un paio di Bolaño, Marina Cvetaeva ritradotta da Serena Vitale, tre scrittrici irlandesi da tenere d’occhio, quattro gialli e il capolavoro inedito di un cugino. E va bene che d’estate il tempo si dilata, ma c’è un limite. E se il Kindle ha ovviato all’ansia di partire con il libro sbagliato (generando però un nuovo affanno: «Mi annoio un po’, devo insistere? Passo all’altro? Leggo venti pagine e vediamo? Vado avanti?»), bisogna comunque scegliere.

I giornali vanno a nozze, le gallery fioccano, i reel strabordano. D’altro canto i consigli per la carta stampata rispondono a un’esigenza seria: il redattore, sfinito dalle richieste cavafiato dell’ufficio stampa, stura il caotico ingorgo di libri in sospeso con una bella listona di 300 consigli per l’estate («Hai visto? Nel pezzone di fine luglio ho inserito il noir danese di cui mi hai parlato tanto!»). Gli influencer di liste ne fanno sempre e quindi si trovano a sguazzare in acque familiari, quelle dei libri intonsi. Ma se i listoni estivi si assomigliano tutti – il libro vincitore dello Strega, tre romanzi di cui parlano tutti, una “chicca imperdibile”, un Elena Ferrante, un classico ritradotto, un classico riemerso grazie a qualche nome famoso, un libro “assurdo”, un po’ di opere di genere, qualche suggerimento random di altri redattori in burnout per il surriscaldamento, eccetera eccetera – le scelte dei libri per le vacanze mutano a seconda di diverse tipologie umane.

L’attore americano James Stewart legge Guerra e pace di Lev Tolstoj su una spiaggia insieme all’attrice ungherese Valerie Varda, 3 gennaio 1942 (L. J. Willinger/Keystone Features/Getty Images)

– Leggi anche: 25 libri consigliati dal Post

Ecco un’altra diversa lista con qualche categoria:

Il Patito del Classico
Per tutto l’anno il Patito del Classico si porta dietro, come chiunque altro, le lacune della giovinezza. Frequenta – sventurato – tavolate di intellettuali macilenti, ma non ha mai letto l’Ulisse. A differenza di chiunque altro, lui patisce. Se salta fuori l’argomento, non è capace di mentire come tutti e improvvisare quattro sciocchezze su Bloom e stream of consciousness, così con un sospiro ammette: «Non l’ho mai letto». Di notte, ad aprile, ci pensa rigirandosi tra le lenzuola. Per ora c’è il lavoro, ci sono le scadenze, ci sono gli aperitivi con i colleghi. Ma ecco, salvifico, saltare all’occhio il mese di agosto, dilatato nella parola “estate”: lì si può piantare una bandierina e dire: «Finalmente ad agosto leggerò quel classico!». All’arrivo di agosto, stremato dal lavoro, il Patito del Classico sceglie un’edizione ponderosa di Joyce, con le note e una guida al testo, più magari una biografia. Sull’aereo lo prende una strana malinconia: sembra quasi di lavorare. Dopo qualche giorno al mare, arrancando – statuario, pingue – sulle prime pagine, occhieggia la piccola libreria con certi gialletti che sembrano ghiaccioli. Cede. Sarà per l’estate prossima. Magari ci metterà pure L’uomo senza qualità e Middlemarch. È bellissimo pensarlo e pensarlo e pensarlo, fino alla pensione.

Il Patito della Rilettura
È un figlio spurio del Patito del Classico. Sostiene di voler rileggere Persuasione o Madame Bovary perché in realtà non li ha mai letti. «A quarant’anni ci scopri cose che a sedici non capivi proprio». E così si gode colpevolmente un classico semplice e bello. Alla categoria appartiene anche il Patito Sincero della Rilettura: di norma è uno scrittore, ha il pallino di tre o quattro nomi ossessivi (Salinger non manca mai) e deve entrare nelle profondità di uno dei Nove racconti fino ad avere la sensazione di averlo scritto lui, cosa che non farà mai.

Il Patito dell’Anti-Canone
Qui il maschile non è sovraesteso: parlo proprio di un maschio, lo dico a rischio di polemiche. Costui si è rotto del mondo anglosassone in generale e del creative writing in particolare. Ha in odio Sally Rooney più di ogni altra cosa: «È scritto come una serie tv», esclama lapidario in binge watching da Netflix. «L’evoluzione del personaggio?» sillaba sgomento, come se tu gli avessi appena proposto di buttarsi dalla finestra. E così ormai legge solo scrittori dell’Europa dell’est, possibilmente maschi ma soprattutto massimalisti, estremi. Salvatori della complessità. La santa trinità comprende Cărtărescu, Krasznahorkai e Gospodinov, con qualche concessione a malincuore a una Madonna, Olga Tokarczuk, ma solo perché ha scritto I libri di Jakub, 960 pagine di vagabondaggi nella Polonia del ’700 («dove è bello perdersi e ritrovarsi», ti dicono, come di tutti i libri illeggibili). Questo Patito vive di astrazioni cosmiche in prosodie vorticose. E pazienza se il segnalibro dentro Solenoide, bloccato a pagina 70, nel giro di un’ora, come per magia, di soppiatto è passato a pagina 457. L’estate è un’allucinazione, la lettura è verticale.

Il Patito della Positività
«Ho bisogno di una storia che mi faccia stare bene».

Il Patito del Contemporaneo
È inutile che sventagliate un piccolo ritrovamento argentino del 1922, definito da tutti un capolavoro. È inutile che diciate di avere letto per la prima volta i Tre racconti di Flaubert, restandone folgorati. È inutile che caldeggiate un libro minore di Anna Maria Ortese. Il Patito del Contemporaneo deve stare sul pezzo. Se in un romanzo costui non trova almeno un riferimento a TikTok, a un’app di dating o a una disfunzione alimentare, il libro non lo apre nemmeno. Dev’essere breve, possibilmente memorialistico, fresco e cattivo. Deve entrare nel dibattito, fornire opinioni e sguardi sul mondo, essere elettrico. Infine passare di moda nel giro di qualche giorno.

Il Patito dello Stravolgimento
«Se leggi questo, non sarai più lo stesso».

Il Patito del Mattone del Nuovo Millennio
Questo Patito gira il mondo, prende treni, vaga per la spiaggia, sempre con un tomo di mille pagine sotto braccio. Da non confondersi con il Patito dell’Anti-Canone, questo sceglie tomi faciloni che lo rendano orgoglioso di divorare pagine. Composto di storie possibilmente viscerali, di norma lacrimevoli, questo neo-feuilleton appare sul tavolo, riposa sul cruscotto, aspetta accanto al cesso: è avvincente e infatti l’hanno letto tutti, a tal punto che farsi un’opinione non ha più senso perché c’è troppa concordia. Non resta che confrontare l’immedesimazione nei diversi personaggi, «come se fossero amici». Quando è finito, il libro è ciancicato: vissuto. È stata la sua estate e verrà consigliato fino a quella dopo, generando uno sfrantumamento negli amici direttamente proporzionale alla mole del mattone.

Il Patito del Giallo Italiano
«Solo i gialli e i noir sono in grado di raccontare la nostra società». Ne legge dieci ogni agosto. Non vota da vent’anni.

Il Patito del Consiglio Amicale
I listoni online sono lunghi, constano di 40 libri e bisogna cliccarci sopra. È una barba. In più non ci si capisce niente, c’è la copertina e quattro righe buttate lì. Come decidere? Ecco che il Patito del Consiglio si affida alla dimensione Amicale. A un certo punto, nel corso di una cena, come una bomba al napalm, sgancia la domanda: «Avete un buon libro da consigliarmi?». Tra i commensali, esasperati da vuoti di memoria e letture lasciate a metà e volumi assurdi comprati per motivi intimi, una persona ha letto un horror esistenzialista, un’altra un vecchio saggio di antropologia, un’altra un romanzo scemo che non vuole ammettere, un’altra un poemetto sperimentale sulle api, un’altra una guida per avere rapporti sessuali senza innamorarsi, un’altra la biografia di Elon Musk. Vince la più persuasiva e la persona, accettato il consiglio, parte con la certezza che leggere una serie di ottave in endecasillabi su fiori, favi e fuchi potrà conquistarla. In ostello trova un vecchio paperback di Wilbur Smith in inglese e piange.

Il Patito di Simenon
Ogni estate, semplicemente, legge un libro di Simenon. Nel resto dell’anno, niente. È un lettore forte.

Il Patito dell’Autarchia
I consigli andranno bene per i polli. Lui è più furbo, ha un suo sguardo ed è convinto di riuscire a selezionare meglio degli altri. In libreria si aggira circospetto, come se si trovasse in un budello thailandese affollato di prostitute e spacciatori. Su un remoto scaffale, trova un racconto lungo di un oscuro autore giapponese di cui ha trovato traccia nel romanzo di un’oscura scrittrice brasiliana. Ricorda anche di averlo sentito nominare da un oscuro intellettuale scozzese. È infilato a parete ed è vecchio di due anni, come se i librai se lo fossero dimenticato. È il prescelto. Quando gli amici gli chiederanno che cosa ha letto d’estate, la narrazione sarà più lunga del libro stesso. Si chiuderà con una domanda sfiatata:
«Quindi me lo stai consigliando?».

«No».

– Leggi anche: La punteggiatura:

Marco Rossari
Marco Rossari

Scrive e traduce. Il suo romanzo più recente è L'ombra del vulcano (Einaudi). Ha tradotto Malcolm Lowry, Charles Dickens, George Orwell, Gertrude Stein, Joseph Conrad e tanti altri.

STORIE/IDEE

Da leggere con calma, e da pensarci su