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  • Domenica 4 agosto 2024

Tutte le volte che Israele ha invaso il Libano

E tutti gli scontri e le fazioni e le guerre, per ripassare un po' ora che la situazione al confine è tornata molto preoccupante

Una manifestazione di Hezbollah in Libano nel 2022, con bandiere libanesi a sinistra e di Hezbollah a destra
Una manifestazione di Hezbollah in Libano nel 2022, con bandiere libanesi a sinistra e di Hezbollah a destra (AP Photo/Hussein Malla)
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L’aumento recente delle tensioni tra Israele e il gruppo radicale libanese Hezbollah, che è iniziato con la guerra nella Striscia di Gaza e si è intensificato soprattutto negli ultimi mesi, ha fatto crescere i timori di una nuova guerra aperta al confine tra Israele e il Libano. Al momento è una possibilità remota, perché tutti i principali governi e gruppi coinvolti (quello israeliano, la leadership di Hezbollah, il governo iraniano, che sostiene e finanzia il gruppo libanese) fanno sapere da mesi che non hanno intenzione di iniziare una guerra aperta.

Nonostante questo, gli scontri tra i due paesi hanno una lunga storia: risalgono a decenni fa, di fatto alla fondazione dello stato di Israele nel 1948, e hanno prodotto al confine una situazione precaria: dal 1978 a oggi Israele ha invaso militarmente il Libano tre volte, provocando ogni volta nuove violenze. Hezbollah, tra le altre cose, nacque proprio come risposta alla seconda invasione israeliana del paese, quella del 1982.

1948, l’invasione di Israele
Quando, nel maggio del 1948, Israele dichiarò la propria indipendenza, tutti gli stati arabi confinanti – l’Egitto, l’Iraq, la Giordania (che allora si chiamava Transgiordania) e la Siria – lo attaccarono, in quella che oggi viene chiamata la Prima guerra arabo-israeliana.

All’attacco partecipò anche il Libano, che aveva l’esercito più piccolo di tutti: inviò contro Israele circa 1.000 soldati. La guerra terminò nel 1949 con una vittoria di Israele, che respinse gli eserciti arabi e occupò ampi territori palestinesi, e soprattutto con la “nakba”, la “catastrofe” di centinaia di migliaia di palestinesi costretti dall’occupazione e dalla violenza dell’esercito israeliano a lasciare le proprie case e a trasferirsi nei paesi confinanti. Parte dei palestinesi fuggiti si trasferì in campi profughi in Libano, soprattutto nella parte sud del paese.

Un mezzo blindato israeliano al confine con il Libano nel 1948

Un mezzo blindato israeliano al confine con il Libano nel 1948 (GPO via Getty Images)

L’influenza palestinese aumentò quando nel 1970, a causa di alcune lotte interne, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) trasferì la sua base dalla Giordania al Libano. L’OLP era l’organizzazione politica e armata guidata da Yasser Arafat che perseguiva la causa del popolo palestinese anche tramite la lotta armata e attacchi terroristici, sia in territorio israeliano sia all’estero. Questo portò a un aumento degli scontri di confine con Israele.

In quel periodo in Libano, probabilmente da una scissione dell’OLP, nacque il gruppo terroristico Settembre nero, che mise in atto la strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972, in cui furono rapiti e uccisi 11 atleti israeliani.

1975, la guerra civile libanese
L’arrivo dell’OLP in Libano destabilizzò il paese anche al suo interno. Il Libano era (ed è tutt’oggi) un paese assai frammentato dal punto di vista religioso, in cui convivevano comunità cristiano-maronite, musulmane sunnite, musulmane sciite e druse, tra le altre. Tutte queste comunità si spartivano il potere grazie a un delicatissimo accordo che favoriva però le élite cristiane, le più ricche del paese. L’afflusso in Libano di circa 400 mila palestinesi, prima con la “nakba” nel 1948, poi con l’arrivo dell’OLP, contribuì a rompere quest’equilibrio, anche perché i miliziani dell’OLP, che erano decine di migliaia, cominciarono ad acquisire sempre più influenza, fino ad arrivare a controllare militarmente parte del sud del paese.

Nel 1975 le tensioni che si erano accumulate provocarono una guerra civile tra le forze musulmane guidate dall’OLP e varie milizie cristiane forti nel nord del paese. Nel 1976 la Siria invase il Libano per cercare di ristabilire la situazione, e sorprendentemente, almeno nelle prime fasi, si schierò con le milizie cristiane, perché il dittatore Hafez al Assad (padre dell’attuale dittatore Bashar) era convinto che l’azione dell’OLP in Libano stesse destabilizzando il paese e tutta la regione. L’occupazione da parte della Siria di alcune zone del Libano durò fino al 2005.

1978, la prima invasione israeliana
La forza crescente dell’OLP in Libano, che assieme ad altri gruppi musulmani controllava ormai tutto il sud del paese e la parte ovest della capitale Beirut, portò anche a un aumento degli scontri al confine con Israele. Nel marzo del 1978 alcuni combattenti palestinesi dirottarono due autobus passeggeri a nord di Tel Aviv e uccisero 38 persone, ferendone altre decine. Al tempo si parlò del più grave attacco terroristico della storia di Israele, noto come il “massacro della strada costiera”, per il luogo in cui avvenne.

In risposta l’esercito israeliano entrò in Libano, occupando un’area profonda circa 20 chilometri dal confine, fino al fiume Leonte, con l’intento di allontanare la presenza dell’OLP. Pochi giorni dopo il Consiglio di sicurezza dell’ONU chiese a Israele il ritiro dal territorio libanese, e istituì la missione United Nations Interim Force In Lebanon (UNIFIL nell’acronimo inglese, mentre in italiano è Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite), a cui parteciparono vari paesi tra cui l’Italia.

Un soldato israeliano osserva il fiume Leonte nel 1978

Un soldato israeliano osserva il fiume Leonte nel 1978 (Moshe Milner/GPO via Getty Images)

Il mandato iniziale dell’UNIFIL era di «confermare il ritiro di Israele dal sud del Libano» e di ripristinare pace e sicurezza. La missione è attiva ancora oggi, e i suoi obiettivi sono cambiati via via che cambiava la situazione sul campo.

Israele si ritirò dal Libano alcuni mesi dopo, alla fine del 1978, ma lasciò sul campo una milizia cristiana alleata che nel frattempo aveva armato e addestrato, l’Esercito del Libano del Sud (SLA nell’acronimo inglese, più noto). Lo SLA mantenne il controllo sul territorio da cui Israele si era ritirato.

Nel frattempo proseguiva la guerra civile libanese in cui Israele continuò a intromettersi, sostenendo a distanza le milizie cristiane.

1982, la seconda invasione israeliana
Nel giugno del 1982 si riacutizzarono gli scontri di confine tra Israele e i gruppi palestinesi che si trovavano nel sud del Libano. Ci furono attacchi tra l’OLP e gruppi affini e l’esercito israeliano, fino a che il 6 luglio l’esercito israeliano, alleato con varie milizie cristiane compreso lo SLA, entrò in territorio libanese, in un’operazione militare denominata “Pace per la Galilea”. La Galilea è la regione biblica che comprende il nord di Israele e il sud del Libano, e la missione fu guidata dal generale Ariel Sharon, che in seguito sarebbe diventato primo ministro.

Questa volta l’esercito israeliano e le milizie alleate non si limitarono ad arrivare al fiume Leonte: penetrarono per più di 40 chilometri in territorio libanese, fino ad arrivare alla capitale Beirut, la cui parte ovest era la roccaforte dell’OLP, e dove si trovava anche il leader dell’organizzazione, Yasser Arafat. Durante l’avanzata verso nord Israele e le milizie incontrarono anche i soldati ONU della missione UNIFIL, che in teoria avrebbero dovuto bloccare l’invasione. Ci furono alcuni scontri, ma i soldati ONU furono di fatto superati e aggirati dalle truppe che avanzavano.

Un jet israeliano su Beirut nel 1982

Un jet israeliano su Beirut nel 1982 (Eitan Haber/GPO via Getty Images)

Israele cominciò a quel punto un assedio di Beirut che durò dal 14 giugno al 21 agosto del 1982, e che ebbe un grosso impatto sull’opinione pubblica mondiale, perché tra gli assediati c’erano appunto alcuni noti leader dell’OLP e perché fu particolarmente duro: furono uccisi migliaia di civili.

L’assedio terminò quando gli Stati Uniti, guidati dal presidente Ronald Reagan, costrinsero il governo israeliano ad accettare un cessate il fuoco che prevedesse la rimozione dei miliziani dell’OLP dal Libano e il ritiro delle truppe israeliane. Il 21 agosto arrivò in Libano la “Forza Multinazionale in Libano”, missione di peacekeeping coordinata dagli Stati Uniti e composta da circa 2.000 soldati americani, britannici, francesi e italiani. La Forza Multinazionale (che fu una missione separata rispetto all’UNIFIL) supervisionò lo spostamento da Beirut di alcune migliaia di miliziani dell’OLP verso paesi arabi confinanti con il Libano e soprattutto via nave in Tunisia, che divenne la nuova base del gruppo.

Il ministro della Difesa Ariel Sharon mostra le mappe dell'invasione del Libano del 1982

Il ministro della Difesa Ariel Sharon mostra le mappe dell’invasione del Libano del 1982 (Ya’akov Sa’ar/GPO via Getty Images)

Israele impiegò ancora un mese, fino alla fine di settembre del 1982, per ritirarsi da Beirut. Truppe israeliane rimasero tuttavia nel sud del paese ancora per quasi 20 anni, fino al 2000, quando l’allora primo ministro Ehud Olmert annunciò il loro ritiro completo dietro alla cosiddetta “Blue Line”, cioè la linea di confine temporanea stabilita dall’ONU che separa il Libano da Israele e dalle alture del Golan (territorio siriano occupato e annesso da Israele dal 1968).

L’invasione israeliana del Libano del 1982 fu di gran lunga lo scontro più grave nella storia dei due paesi, ed ebbe enormi conseguenze.

Nel settembre del 1982, mentre le forze israeliane si stavano ancora ritirando, le milizie cristiane dello SLA e delle Falangi libanesi, alleate di Israele, massacrarono migliaia di civili musulmani nel campo profughi di Sabra e Shatila, non lontano da Beirut. Il massacro fu una vendetta per un attentato compiuto pochi giorni prima contro il quartier generale delle Falangi, in cui fu ucciso il presidente del Libano, il cristiano Bashir Gemayel. Le truppe israeliane non parteciparono direttamente al massacro, ma aiutarono e armarono le milizie cristiane, tra le altre cose circondando il campo per impedire vie di fuga.

– Leggi anche: Il massacro di Sabra e Shatila

L’altra grande conseguenza dell’invasione del 1982 fu la nascita di Hezbollah, la milizia religiosa che fu fondata proprio in quel periodo, e in gran parte proprio come reazione all’invasione israeliana.

In quell’anno l’esercito dell’Iran, paese dove si era da poco insediato un regime sciita a seguito della rivoluzione del 1979, cominciò a interessarsi alla politica libanese e ad armare, addestrare e indottrinare gruppi di giovani sciiti che, uniti nel nome di Hezbollah (che significa “partito di Dio”, o “partito di Allah”), diventarono ben presto una delle forze militari più potenti del Medio Oriente, e il più importante gruppo alleato dell’Iran nella regione.

– Leggi anche: Che cos’è Hezbollah

Quasi fin da subito, Hezbollah cominciò a mettere in atto attentati contro la Forza Multinazionale che era da poco arrivata in Libano, e ovviamente contro l’esercito israeliano. Il suo primo attentato fu contro il quartier generale dell’esercito israeliano a Tiro: un’autobomba uccise 28 militari. Il moltiplicarsi degli attentati fu una delle ragioni per cui la Forza Multinazionale si ritirò dal Libano nel 1984, dopo soltanto due anni di attività.

2006, la guerra tra Israele e Hezbollah
Israele si ritirò definitivamente dal Libano nel 2000, ma negli anni successivi il nord del paese continuò a subire gravi attacchi soprattutto con razzi: non più dall’OLP, che dopo l’assedio del 1982 si era di fatto ritirata dal Libano, ma da Hezbollah.

Il 12 luglio del 2006 alcuni miliziani di Hezbollah fecero un’incursione armata in territorio israeliano, uccisero tre soldati e ne presero due in ostaggio. Israele rispose con un’enorme campagna di bombardamenti delle posizioni di Hezbollah non soltanto nel sud del Libano, ma anche nel resto del paese, compresa la capitale Beirut. Hezbollah rispose con continui lanci di razzi verso Israele. Ai bombardamenti seguì anche un’operazione di terra, in cui Israele occupò ancora una volta il sud del Libano.

Due abitanti di Beirut guardano in tv un doscorso del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah mentre la città viene bombardata da Israele, nel luglio 2006

Due abitanti di Beirut guardano in tv un discorso del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah mentre la città viene bombardata da Israele, nel luglio 2006 (AP Photo/Kevork Djansezian)

Tutto si concluse però abbastanza in fretta: il 14 agosto, nel giro di un mese, Israele si era ritirato nuovamente dal Libano. Ci furono alcune centinaia di morti tra i combattenti di Hezbollah, e più di un migliaio di civili libanesi uccisi. L’obiettivo dichiarato di Israele, che era quello di distruggere o quanto meno indebolire il potere militare di Hezbollah, non fu di fatto raggiunto.

Oggi
Gli attacchi e le scaramucce al confine sono proseguiti lungamente anche dopo la fine della guerra del 2006. Hezbollah ha continuato periodicamente a lanciare razzi contro Israele, e Israele a rispondere con attacchi missilistici e omicidi mirati, a cui negli ultimi anni si sono aggiunti gli attacchi con droni.

Nel frattempo Hezbollah è diventato molto più che una milizia armata. Da tempo è un partito politico con una forte presenza nel parlamento libanese, ha fatto parte di vari governi e di fatto, grazie ai finanziamenti e al sostegno dell’Iran, il gruppo è riuscito a trasformarsi in un’organizzazione con un’enorme influenza nella società libanese: gestisce scuole, ospedali, programmi di welfare per i suoi sostenitori, ed è una forza politica determinante.

La situazione si è poi aggravata nuovamente con l’inizio della guerra nella Striscia di Gaza quando Hezbollah, in sostegno alla causa palestinese, ha cominciato a lanciare razzi e droni nel nord di Israele. Dall’inizio della guerra a Gaza, Hezbollah ha lanciato più di 6.000 razzi e 300 droni contro Israele, che prima di sabato avevano ucciso poco più di 30 persone (compresi i 12 bambini e ragazzini uccisi da un razzo sulle alture del Golan). Israele ha risposto con duri attacchi in territorio libanese, che hanno ucciso circa 350 miliziani di Hezbollah e più di 100 civili. Gli attacchi hanno inoltre costretto circa 80 mila persone che vivono nel nord di Israele a lasciare le proprie case, e lo stesso ha fatto un numero simile di persone che vivevano nel sud del Libano.