È un brutto periodo per il settore del lusso

I risultati trimestrali delle più importanti aziende del settore, non solo di moda, mostrano grossi cali delle vendite: c'entrano la crisi cinese e un cambiamento culturale

(Gabriel Kuchta/Getty Images)
(Gabriel Kuchta/Getty Images)

Nell’ultima settimana è stata pubblicata una serie di report sui risultati economici delle società quotate in borsa, relativi al secondo trimestre (da aprile a giugno) e al primo semestre (gennaio-giugno) del 2024. I risultati più deludenti sono stati quelli delle aziende del lusso, inteso in senso ampio: dalla moda alle macchine, dagli orologi allo champagne. Se è vero che alcuni marchi, tra cui Prada, Hermès e Moncler, sono andati bene e hanno registrato aumenti delle vendite soddisfacenti, molti hanno riportati cali consistenti, tra cui Burberry, Porsche, Ferrari e i grandi gruppi LVMH, Kering e Richemont.

I risultati sono diversi da settore a settore e in alcuni casi dipendono da specifiche scelte aziendali. In generale però hanno confermato una tendenza che riguarda tutto il lusso e che va avanti dalla fine dello scorso anno: l’interesse dei consumatori verso gli articoli di alta e altissima gamma sta calando, per due motivi principali. Da un lato c’è l’andamento incerto dell’economia globale e dei mercati più importanti per il settore, come quello cinese; dall’altro è in corso un ampio cambiamento culturale che influenza le scelte di consumo.

Nel primo semestre dell’anno i ricavi di LVMH (il più importante gruppo del lusso al mondo, che controlla aziende di moda come Louis Vuitton, Dior, Bulgari e Fendi, di orologi come TAG Heuer, di champagne come Moët & Chandon e Dom Pérignon, e di cosmetici come Sephora) sono diminuiti dell’1 per cento rispetto al primo semestre del 2023, con picchi del 14 per cento per le vendite in Cina, il suo mercato di riferimento. I cali hanno interessato soprattutto la divisione dei vini e degli alcolici, le cui vendite si sono ridotte del 14 per cento, e quella degli orologi e della gioielleria, che ha perso il 5 per cento. Anche l’abbigliamento ha venduto il 2 per cento in meno.

Nel secondo trimestre dell’anno Kering, altro importante gruppo del lusso e proprietario di marchi come Gucci, Balenciaga, Saint Laurent e Bottega Veneta, ha fatturato l’11 per cento in meno rispetto al secondo trimestre dello scorso anno, con un risultato particolarmente negativo per Gucci, i cui ricavi sono calati del 20 per cento (a causa anche di una crisi specifica del marchio). Kering ha anche detto che nella seconda metà dell’anno si aspetta risultati ancora peggiori, fino al 30 per cento più bassi rispetto all’anno scorso. I risultati sono stati deludenti anche per Burberry, le cui vendite sono scese del 21 per cento nel primo trimestre dell’anno, e per Porsche, i cui ricavi sono diminuiti del 4,8 per cento rispetto al primo semestre dello scorso anno.

Una motivazione, e forse quella quantitativamente più impattante, riguarda le grosse difficoltà dell’economia cinese, il mercato di riferimento per i grandi marchi del lusso: nel paese è in crisi il settore immobiliare, che per anni è stata la principale spinta alla crescita, la disoccupazione giovanile è altissima, i consumi sono molto bassi e in diminuzione da tempo. In questo contesto si sono molto ridotte le importazioni di prodotti di lusso.

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Anche i mercati occidentali stanno mostrando qualche incertezza, soprattutto a causa dell’inflazione e della conseguente riduzione dei redditi reali, che hanno sostanzialmente escluso dal mercato del lusso la classe media e medio-alta, dato che le persone hanno meno soldi da destinare ad acquisti non necessari.

A questo si uniscono gli aumenti dei prezzi dei prodotti di lusso, decisi dalle aziende sia per far fronte a una crescita generalizzata dei costi di produzione, che come scelta ponderata per puntare sulla fascia più alta del mercato, capace di spendere anche in tempi di crisi. Lo si vede soprattutto nell’abbigliamento. Un classico esempio è il rialzo dei prezzi della Speedy di Louis Vuitton, un modello di borsa a bauletto che un tempo era tra i più economici del marchio e quindi alla portata anche della classe media: negli anni Dieci con 600-700 euro si riusciva a comprare il modello base, che ora costa 1.550 euro. Lo stesso vale per la Neverfull, il modello più capiente del marchio molto diffuso qualche anno fa: è passato dai 500 euro circa del 2007 agli attuali 1.500.

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Secondo il New York Times dal 2019 i prezzi dei marchi di moda sono aumentati del 25 per cento: sono rincari che generalmente non influenzano le decisioni delle persone davvero ricche, che possono permettersi di spendere, ma che invece possono allontanare i consumatori benestanti, che rappresentano una fetta di mercato ben più ampia di quella dei miliardari. Ultimamente infatti sono diminuite le vendite dei marchi che offrono anche prodotti più alla portata della classe medio-alta, come appunto Louis Vuitton, mentre continuano ad andare bene quelli che già puntavano sui cosiddetti high-spender, cioè la fascia più alta del mercato: è il caso di Hermès, di Brunello Cucinelli e di Loro Piana (che comunque è del gruppo LVMH), i quali propongono capi estremamente pregiati e dal design minimale ed elegante. Per capirci, sono i marchi di riferimento per il cosiddetto quiet luxury, uno stile molto di tendenza che punta su sobrietà e colori neutri i cui prodotti sono considerati estremamente pregiati.

Secondo il sito specialistico Business of Fashion la scelta generalizzata dei marchi della moda di puntare sui molto ricchi non solo non sta pagando, mettendo a rischio i piani di crescita di alcune aziende, ma anzi ha innescato una serie di cambiamenti culturali che sono l’altra grossa ragione della crisi del lusso.

Oltre ad aver allontanato i consumatori che non potevano più permettersi i prodotti di lusso, l’aumento dei prezzi ha spinto anche chi poteva acquistarli a interrogarsi sul loro reale valore. Secondo Business of Fashion «la chiave della narrazione sono state le campagne pubblicitarie intorno all’artigianato, la creatività e l’esclusività [dei prodotti del lusso, ndr]. Ma questa immagine si sta sfilacciando», perché i consistenti rincari non sono stati accompagnati da un miglioramento qualitativo o da un’innovazione dei prodotti. Anzi, sono stati decisi in un momento in cui molte aziende non hanno grande creatività e stanno cercando di costruirsi un’identità più definita (per esempio, molte aziende di moda stanno cambiando i propri direttori creativi). È in questo contesto che vanno bene i marchi classici, che propongono pezzi senza tempo.

I cali generalizzati nel mondo del lusso, oltre che impattare sulla sostenibilità delle aziende e sui loro piani di crescita, stanno avendo effetti concreti anche sul patrimonio dei loro proprietari: secondo Bloomberg, uno dei giornali che insieme a Forbes tiene costantemente monitorata e aggiornata la classifica delle persone più ricche al mondo, il patrimonio dei miliardari che devono la loro ricchezza al settore del lusso è sceso del 5 per cento circa quest’anno, con una perdita complessiva di 24 miliardi di dollari. Tra quelli che ci hanno rimesso di più ci sono Bernard Arnault, proprietario di LVMH e un tempo l’uomo più ricco al mondo (ora superato da Elon Musk), Bettencourt Meyers, erede di L’Oréal e anche lei un tempo donna più ricca al mondo (ora è pari con i proprietari della grossa catena di supermercati statunitense Walmart), e Francois Pinault, fondatore di Kering.