Il governo degli Stati Uniti ha revocato l’accordo per evitare la pena di morte a tre accusati degli attacchi dell’11 settembre

Un fiore sul memoriale dell'11 settembre 2001 a New York, ventidue anni dopo gli attentati (Spencer Platt/Getty Images)
Un fiore sul memoriale dell'11 settembre 2001 a New York, ventidue anni dopo gli attentati (Spencer Platt/Getty Images)

Venerdì il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd J. Austin ha ritirato l’accordo extragiudiziale che era stato fatto solo qualche giorno fa con tre persone accusate di aver organizzato gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, e che avrebbe evitato loro la pena di morte se si fossero dichiarate colpevoli, cosa che avevano detto di voler fare. Riguardava Khalid Sheikh Mohammed, considerato la mente dietro gli attentati, Walid bin Attash e Mustafa al Hawsawi, tutti accusati tra le altre cose di terrorismo e strage, detenuti da tempo nella prigione militare di Guantánamo, a Cuba, il carcere di massima sicurezza allestito dagli Stati Uniti all’indomani di quegli attentati.

L’accordo aveva rappresentato uno degli sviluppi maggiori di uno dei casi più discussi e controversi che abbiano dovuto gestire gli Stati Uniti nella loro storia recente: il processo va avanti ormai da oltre quindici anni e l’accordo era stato il risultato di lunghi negoziati tra gli avvocati difensori e la corte militare di Guantanamo, che il segretario alla Difesa ha ora sollevato da questo caso. Era stato però accolto con grandi polemiche dall’opinione pubblica e soprattutto dai familiari delle vittime: negli attentati dell’11 settembre, i più gravi della storia statunitense, furono uccise 2.976 persone. Il processo torna a essere ora un caso da pena di morte, e sarà supervisionato direttamente dal segretario della Difesa: vista la portata del processo, la «responsabilità di questa decisione spetta a me», ha detto Austin in un documento reso noto venerdì dal Pentagono.

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