Le peculiari prove olimpiche del ciclismo su strada
Lo sono sempre, per posta in gioco e contingenze varie, ma quest’anno di più: con due corse, le più lunghe delle Olimpiadi, che partono e finiscono sotto la Tour Eiffel e che potrebbero decidersi dalle parti di Montmartre
Di solito, in una importante corsa di ciclismo su strada ci sono non meno di 170 ciclisti al via. Di solito, in corse come il Giro delle Fiandre o la Milano-Sanremo ciclisti e cicliste corrono in squadre da sei, sette oppure otto componenti ciascuna. Di solito, ogni atleta in gara ha una radiolina con cui comunicare con il resto della squadra e con i direttori sportivi (gli allenatori) che dalle ammiraglie (le auto delle squadre) seguono la corsa e provano a indirizzare gli esiti coordinando le azioni di squadra.
Nelle prove olimpiche di ciclismo su strada è tutto diverso. In entrambe le prove di Parigi 2024 – sabato c’è quella maschile e domenica quella femminile – ci saranno meno di 100 atleti e atlete al via. Le squadre nazionali più numerose avranno quattro componenti, molte altre ne avranno due o tre e ce ne saranno altre ancora con un solo atleta al via. Inoltre, per parlarsi tra loro e con le ammiraglie – per esempio per sapere i distacchi tra i gruppi o cosa sta succedendo più avanti o più indietro rispetto a loro – ciclisti e cicliste non potranno usare le radioline.
Tutto questo su un percorso lungo e logorante, che renderà le prove olimpiche di ciclismo su strada in linea – dove si parte tutti insieme e vince chi arriva prima al traguardo – diverse da ogni altra corsa del ciclismo professionistico; più vivaci, mutevoli e imprevedibili. Oltre che senz’altro scenografiche: partenza e arrivo sono al Trocadéro, sotto la Tour Eiffel, e ci saranno tre passaggi per la stretta salita in pavé di Montmartre, verso la basilica del Sacro Cuore.
«Sarà quasi come vedere un altro sport», ha scritto Adam Becket su Cycling Weekly, «senza squadre in grado di controllare la corsa bensì con individui che tenteranno azioni individuali». Su Velo, Andrew Hood ha parlato – con riferimento alla prova maschile, ma per quella femminile valgono le medesime premesse – di una gara che si preannuncia caotica e avvincente, «una corsa all’oro da tutto per tutto e ognuno per sé». Se già il ciclismo recente, sia maschile che femminile, sembra spesso qualcosa di diverso, e migliore, rispetto anche solo a quello di un decennio fa, tutto ciò potrebbe essere accentuato nelle prove olimpiche.
La gara maschile partirà alle 11 di sabato: con un percorso di 272 chilometri è la prova sulla più lunga distanza delle Olimpiadi e durerà non meno di sei ore. Dopo essere usciti da Parigi i ciclisti andranno verso sud-ovest, tra le altre cose passando dalle parti di Versailles, e dopo qualche ora in sella torneranno verso il centro di Parigi per un circuito cittadino di 18,4 chilometri, che percorreranno tre volte. Lungo il percorso ci saranno tante brevi salite, per un dislivello complessivo di 2.800 metri (come arrivare al passo dello Stelvio partendo dal livello del mare) e, soprattutto nel finale, un percorso pieno di curve. Nel circuito finale i ciclisti dovranno salire e scendere tre volte dalla Côte de la butte Montmartre, una salita di circa un chilometro con una pendenza media del 6,5 per cento. Il terzo e ultimo passaggio su Montmartre sarà a poco meno di dieci chilometri dal traguardo.
La gara femminile partirà alle 14 di domenica, per una lunghezza di 157 chilometri. Sarà più breve la parte di percorso fuori da Parigi, mentre sarà identico il circuito finale, anche in questo caso con tre passaggi su Montmartre, l’ultimo dei quali prima degli ultimi dieci chilometri pianeggianti, ma quasi mai rettilinei, verso il traguardo del Trocadéro.
Al via ci saranno pochi ciclisti perché il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, ha voluto limitare il numero di atleti presenti alle Olimpiadi e avere lo stesso numero di partecipanti a livello maschile e femminile. Tre anni fa, a Tokyo 2020, c’erano per esempio 130 ciclisti al via nella prova in linea maschile: alcune decine in meno rispetto alle corse più importanti, ma comunque 40 in più rispetto a Parigi 2024. Oltre a essere limitato nel numero, il gruppo di atleti sarà anche parecchio più eterogeneo del solito. Soprattutto a livello maschile, ci saranno alcuni tra i migliori ciclisti al mondo (non Tadej Pogačar, ogni tanto riposa anche lui) accanto ad altri che invece sono soliti partecipare a gare di livello minore, e che si troveranno al via di una prova olimpica senza mai aver corso gare importanti come un Giro d’Italia o una Parigi-Roubaix, e in certi casi senza mai nemmeno esserci andati vicini. Il thailandese Thanakhan Chaiyasombat, per esempio, quest’anno non ha quasi mai corso fuori dalla Thailandia.
Per molti è il bello delle Olimpiadi, che allargano le possibilità di partecipazione a tutti i paesi o quasi, ma da un punto di vista tecnico è facile prevedere che già dopo poche decine di chilometri molti atleti si staccheranno dal gruppo principale, che quindi arriverà alle fasi decisive della corsa a ranghi ancora più ridotti.
Oltre al numero totale di atleti c’è poi il fatto che ce ne saranno pochi per squadra e quindi meno possibilità di “controllare” la corsa. Vuol dire che nessuna squadra potrà, da sola, organizzarsi per tenere a lungo un ritmo tale da impedire attacchi; che quando ci sarà da andare a prendere borracce per i capitani ci saranno pochi “gregari” disponibili a farlo; che se un capitano dovesse forare ci sarebbero pochi compagni pronti ad aiutarlo a rientrare in gruppo.
Se da una parte ci sono argomenti per sostenere che la ristrettezza delle squadre farà sì che a vincere sarà l’individualità più forte, dall’altra ce ne sono altrettanti per dire che anche questo weekend il ciclismo resterà come è sempre uno sport di squadra, forse anche più del solito.
Nazionali come Belgio, Francia, Slovenia e Gran Bretagna – che in virtù dei risultati sportivi negli ultimi anni avranno quattro atleti al via nella prova maschile – avranno infatti un evidente vantaggio su un corridore come l’eritreo Biniam Girmay, che dopo un eccellente Tour de France si troverà a dover affrontare da solo sei ore e quasi 300 chilometri di corsa.
L’Italia sta un po’ nel mezzo, con tre atleti al via: Alberto Bettiol, Luca Mozzato ed Elia Viviani (dopo la prova a cronometro, invece, Filippo Ganna tornerà nelle gare su pista). L’Ecuador, avendo la possibilità di convocare un solo atleta, ha scelto di lasciare a casa il campione olimpico in carica Richard Carapaz (anche lui molto in forma nelle ultime settimane) per puntare tutto su Jhonatan Narváez, le cui caratteristiche sembrano più adatte per un percorso come quello della prova olimpica di Parigi.
È probabile – seppur nell’imprevedibilità della corsa – che le prime ore serviranno soprattutto a scremare il gruppo, e che buona parte dei favoriti e delle favorite arriveranno insieme al circuito finale, dove senz’altro ci sarà chi attaccherà in una delle ascese (o discese) di Montmartre.
La salita inizierà accanto al Moulin Rouge e passerà per Rue Lepic, la strada – protagonista dell’omonima canzone di Yves Montand – che da Pigalle sale fino al Sacro Cuore. I ciclisti e le cicliste passeranno accanto al Café des 2 Moulins reso famoso dal film Il favoloso mondo di Amélie e al Moulin de la Galette reso famoso dal dipinto di Auguste Renoir.
Mulini a parte, Rue Lepic è una strada stretta e fatta di un pavé de ville, un pavé cittadino, assai meno grezzo di quello della Parigi-Roubaix, ma comunque scivoloso e non facile da gestire. Questi aspetti, insieme con la fatica accumulata in ore di corsa e la pressione di una prova olimpica, potrebbero rendere questa breve salita ciclisticamente ben più rilevante di quanto si potrebbe dire guardando solo lunghezza e pendenze. Un po’ come succede con il Poggio alla Milano-Sanremo, comunque ben più lunga rispetto alla salita verso Montmartre, che i migliori ciclisti percorreranno probabilmente in meno di due minuti.
Sebbene altri luoghi parigini siano ben più associati alla storia del ciclismo, Montmartre non è per nulla nuova alle gare ciclistiche. Negli anni Quaranta, infatti, ospitò diverse edizioni di una prova di ciclocross, la versione campestre del ciclismo in cui non è strano scendere di sella e correre con la bici in spalla. Il ciclocross si pratica sul fango e sulla neve (motivo per cui si parla di una sua possibile inclusione alle Olimpiadi invernali) e negli anni Quaranta si praticava anche a Montmartre, con i ciclocrossisti su e giù per le strade – e i gradini – di Montmartre.
Se la cava benissimo nel ciclocross anche l’olandese Mathieu van der Poel, campione mondiale in carica e vincitore, quest’anno, di Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix. Van der Poel ha una grande resistenza e soprattutto la capacità di fare sforzi brevi ma intensissimi come quello richiesto per attaccare sulla salita di Montmartre. Tra gli altri favoriti ci sono i belgi Remco Evenepoel e Wout van Aert, rispettivamente oro e bronzo nella prova a cronometro, e ci proverà senz’altro anche il britannico Tom Pidcock, medaglia d’oro nella gara di mountain bike. L’italiano più adatto al percorso e alla sua lunghezza invece è Bettiol.
Nella prova femminile è favorita la belga Lotte Kopecky, ma tra le atlete che potrebbero giocarsela c’è senz’altro anche l’italiana Elisa Longo Borghini, vincitrice quest’anno del Giro delle Fiandre e del Giro d’Italia.