I nuovi focolai di peste suina africana nel nord Italia

Dopo oltre due anni e mezzo dai primi contagi la gestione dell'epidemia non sta ancora funzionando, e saranno abbattuti ancora molti maiali

(AP Photo/Shelby Lum)
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Tra fine luglio e inizio agosto in alcune regioni del nord Italia sono stati riscontrati sei nuovi focolai di peste suina africana, una malattia virale che colpisce i suini ed è diffusa da anni sul territorio europeo, e da più di due anni e mezzo su quello italiano. Al momento non esistono cure o vaccino: è altamente trasmissibile ed è letale per i maiali da allevamento e i cinghiali, mentre gli esseri umani e gli altri animali non possono contrarla. Per via della sua diffusione in Italia, soprattutto al nord, negli ultimi due anni e mezzo sono morti o sono stati abbattuti circa 50 mila suini, con conseguenze enormi sul benessere generale degli animali e sul settore nazionale degli allevamenti.

Il ministero della Salute ha detto che sarà disposta una «serie di misure straordinarie» per far fronte ai nuovi contagi: la gestione dell’epidemia finora è stata affidata a un commissario straordinario, ma non ci sono stati grandi risultati, anzi. I nuovi focolai sono comunque stati rilevati in aree già problematiche del Piemonte, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia, all’interno delle cosiddette zone di contenimento in cui sono in funzione regole molto stringenti per chi alleva e vende carne di maiale, tra cui proprio l’abbattimento di tutti gli animali contagiati e di quelli con cui sono stati a contatto.

Da tempo i movimenti animalisti protestano contro le modalità con cui avviene l’abbattimento: sebbene le associazioni consiglino l’uso del gas, alcune inchieste hanno mostrato che in molti allevamenti si usa ancora la corrente elettrica, che provoca una morte dolorosa.

Finora in Italia sono stati trovati contagi in aree che includono quasi 950 comuni, l’11 per cento del totale, distribuiti in alcune zone di Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Sardegna, Lazio, Campania, Calabria e Basilicata. In questi territori ci sono complessivamente circa 500 allevamenti, concentrati soprattutto al nord. Sono coinvolti alcuni territori specializzati nella produzione di carne e salumi, come le province di Parma e di Cuneo, dove la peste suina africana è diventato un grosso guaio per l’economia locale.

Le zone in cui ci sono maiali a rischio di peste suina sono state divise a seconda della gravità della situazione epidemiologica, con regole gradualmente più severe: i luoghi inseriti nella cosiddetta “zona 3” sono quelli in cui la situazione è ritenuta più seria e in cui sono contagiati anche animali da allevamento; nella “zona 2” ci sono contagi solo tra i cinghiali selvatici; la “zona 1” invece è quella in cui non ci sono contagi, ma si ritengono comunque necessari controlli e restrizioni perché confina con le zone più a rischio.

Per il 2024 il ministero dell’Agricoltura ha stanziato all’incirca 19 milioni di euro per rimediare almeno parzialmente ai danni del settore. Quando furono rilevati i primi contagi all’inizio del 2022 la gestione della situazione epidemiologica fu affidata dal governo di Mario Draghi a un commissario, che fu poi sostituito dopo qualche mese dall’insediamento del governo di Giorgia Meloni. Nei giorni scorsi si è dimesso anche quest’ultimo commissario, per motivi personali. Secondo quanto scrive Luciano Capone sul Foglio invece la ragione andrebbe cercata in un rapporto della Commissione Europea uscito recentemente: sostiene che la gestione italiana dell’emergenza non ha prodotto finora risultati soddisfacenti, soprattutto per la mancanza di coordinamento tra le autorità locali e per i ritardi con cui sono state costruite le recinzioni.

Il piano per il contenimento del contagio prevede, oltre alle misure più estreme come l’abbattimento, anche l’installazione di recinzioni per delimitare le zone di restrizione, in modo che gli animali selvatici infetti non diffondano il virus all’esterno. Secondo gran parte delle associazioni di allevamenti e produttori queste recinzioni sono state fatte con un po’ di ritardo e non in modo perfettamente capillare sul territorio, e in questo modo il virus si è potuto diffondere. Un altro problema, sempre secondo le associazioni, è che gli animali selvatici sono ancora troppi e di difficile gestione, e andrebbero ulteriormente ridotti in modo da limitare le possibilità di circolazione della malattia.

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