Le trattative segrete che hanno portato al grande scambio di prigionieri
Sono durate anni, hanno coinvolto sette paesi e a un certo punto è stata negoziata anche la liberazione di Alexei Navalny
Il grande scambio di prigionieri di giovedì è stato il più ampio e complicato quanto meno dai tempi della Guerra Fredda, e ha portato alla liberazione del giornalista americano Evan Gershkovich, del leader dell’opposizione russa Vladimir Kara-Murza e di altri: è il frutto di trattative durate anni, che hanno coinvolto numerosi paesi e più volte sono state sul punto di collassare.
Da quando le relazioni tra Russia e Occidente si sono degradate con l’invasione russa dell’Ucraina, ci sono stati vari scambi di prigionieri russi e statunitensi. Finora però sono stati quasi sempre scambi a due: un prigioniero per un prigioniero. L’ex marine Trevor Reed fu scambiato per il pilota Konstantin Yaroshenko; la cestista Brittney Griner per il trafficante d’armi Viktor Bout. Lo scambio di giovedì è stato diverso: ha coinvolto 24 persone e 7 paesi (Stati Uniti, Russia, Bielorussia, Germania, Slovenia, Norvegia e Polonia). Questo perché l’elemento principale dello scambio, il prigioniero che il presidente russo Vladimir Putin considerava essenziale per ogni trattativa, si trovava in Germania: l’omicida ed ex agente dell’FSB Vadim Krasikov.
I negoziati tra Stati Uniti e Russia erano cominciati anni fa per la liberazione di Paul Whelan, un ex marine arrestato per spionaggio nel settembre del 2018 in Russia. A lungo tempo, però, non avevano portato risultati, soprattutto perché gli Stati Uniti non avevano a disposizione prigionieri che potessero convincere i russi ad accettare uno scambio. Le cose sono cambiate nel marzo del 2023, quando la Russia ha arrestato Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal che stava lavorando nel paese.
L’arresto di Gershkovich, anche grazie alle pressioni della sua famiglia e del suo giornale che ha condotto una campagna incessante, ha trasformato quella che era una trattativa tutto sommato sottotraccia in un grande caso pubblico, e ha spinto i governi occidentali a cercare soluzioni alternative e più rapide: tra queste, la possibilità di organizzare un grande scambio che coinvolgesse più paesi e più prigionieri.
Nei primi giorni dopo l’arresto di Gershkovich, ha raccontato il New York Times, l’amministrazione Biden non usò la CIA, cioè i servizi segreti, per contattare le autorità russe e chiedere informazioni sul giornalista, per timore che un contatto del genere potesse convincere i russi che Gershkovich fosse una spia. Ben presto però divenne chiaro che la Russia stava comunque trattando Gershkovich come una spia, e che per liberarlo sarebbe stato necessario uno scambio di prigionieri.
Il nome che emergeva maggiormente come possibile prigioniero da scambiare era quello di Vadim Krasikov, un ex agente dell’FSB (i servizi segreti interni russi) che nel 2019 uccise in Germania un ex leader separatista ceceno, Zelimkhan Khangoshvili. L’omicidio fu particolarmente cruento: Krasikov sparò in testa a Khangoshvili in pieno giorno nel parco pubblico di Tiergarten in centro a Berlino, non lontano da un’area giochi per bambini.
Fu arrestato quasi immediatamente dalla polizia tedesca ma, in maniera sorprendente, le autorità per un po’ non riuscirono a scoprire la sua identità (aveva un passaporto falso a nome di Vadim Sokolov). Fu soltanto grazie all’intervento del giornalista d’inchiesta Christo Grozev, il più noto e importante giornalista sulle questioni di intelligence e di sicurezza legate alla Russia, che si scoprì che Sokolov era in realtà Vadim Krasikov, ex agente dell’FSB e, secondo molte ricostruzioni, amico personale di Vladimir Putin (alcuni dicono che sia stato anche una sua guardia del corpo).
Attraverso vari contatti i russi fecero capire che un accordo per scambiare Whelan e Gershkovich sarebbe stato possibile soltanto se avesse coinvolto anche Krasikov. Putin lo disse perfino in maniera esplicita, e davanti alle telecamere, durante un’intervista con il conduttore tv statunitense Tucker Carlson.
Il problema era che Krasikov era detenuto in Germania, e che il governo tedesco era restio a liberare un omicida che aveva provocato enorme scalpore e indignazione in tutto il paese: liberarlo in cambio di prigionieri americani sarebbe stato un serio problema politico per il governo del cancelliere Olaf Scholz.
I negoziatori americani, però, anche grazie all’intervento del giornalista Christo Grozev, cominciarono a ideare un nuovo piano: includere nello scambio di prigionieri anche Alexei Navalny, celebre leader dell’opposizione russa.
Dapprima i negoziatori americani testarono questa possibilità con la controparte russa, e lo fecero in una maniera notevole: Roger Carstens, il capo dell’ufficio della Casa Bianca che si occupa degli ostaggi (cioè il capo negoziatore americano), incontrò il miliardario e oligarca russo Roman Abramovich, molto vicino al governo, e gli chiese se Putin avrebbe accettato di scambiare Krasikov per Navalny, coinvolgendo poi altri prigionieri. Sul momento Abramovich rispose che gli sembrava improbabile, ma una settimana dopo richiamò Carstens e gli disse che il presidente russo sarebbe stato disposto a parlarne.
A quel punto la diplomazia americana si mosse per convincere il cancelliere tedesco Scholz della necessità di liberare Krasikov. L’aver inserito Navalny nell’accordo fu fondamentale, perché in Germania il capo dell’opposizione russa era notissimo, ammirato e amato. Tra le altre cose, Navalny si era curato in Germania dopo che i servizi russi avevano tentato di avvelenarlo, e Scholz l’aveva incontrato di persona.
Dopo un po’ di trattative, Scholz si convinse. A febbraio del 2024, in un incontro con il presidente Biden, disse: «Per te, proverò a farlo». Le trattative però si interruppero ancora bruscamente: appena una settimana dopo l’incontro tra Biden e Scholz Navalny morì in una colonia penale in Siberia, dove era detenuto in condizioni durissime, per cause che il governo russo non ha mai del tutto chiarito.
La perdita di Navalny complicò di nuovo la situazione, e sono serviti altri mesi, e forti pressioni da tutte le parti per formulare una nuova proposta. In questo contesto ha avuto un ruolo notevole la famiglia di Gershkovich, e in particolare la madre Ella, che in vari interventi pubblici e privati, come ha raccontato il Wall Street Journal, è stata essenziale soprattutto per far pressione sull’amministrazione di Joe Biden.
Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno cercato di convincere la Germania ad accettare un nuovo scambio che comprendesse Krasikov ma non più Navalny. La Germania, in un certo senso per compensare, ha chiesto in cambio la liberazione di Vladimir Kara-Murza, che dopo Navalny era il leader più in vista dell’opposizione russa, e di diverse persone di nazionalità tedesca detenute in Russia. Da tempo erano parte dei negoziati anche paesi come la Slovenia, che deteneva prigionieri interessanti come Artem Dultsev e Anna Dultseva, due agenti russi che si erano finti cittadini argentini residenti in Slovenia.
Alla fine una nuova proposta di accordo, non tanto dissimile a quella che poi sarebbe stata accettata, è stata presentata dalla CIA alla controparte russa il 25 di giugno.
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A quel punto le cose si sono mosse molto rapidamente. I tribunali russi hanno iniziato a velocizzare i processi ancora in corso dei prigionieri coinvolti nello scambio. Il 19 luglio Gershkovich è stato condannato a 16 anni di carcere in un processo rapidissimo, in cui la sentenza è arrivata dopo appena tre udienze. Lo stesso giorno Alsu Kurmasheva, giornalista russo-americana, è stata condannata in un processo altrettanto rapido e sbrigativo. A osservatori esterni questi potevano sembrare segnali negativi, ma in realtà la Russia stava velocizzando i processi perché per ragioni formali il governo voleva scambiare soltanto prigionieri già condannati.
Negli scorsi giorni, poi, vari prigionieri detenuti in Russia hanno iniziato a sparire. Il primo ad accorgersene è stato il marito di Lilia Chanysheva, un’attivista russa poi coinvolta nello scambio: era andato a trovarla in prigione per una visita abituale, e non l’aveva trovata lì. In poco tempo, si è scoperto che vari prigionieri politici russi non erano più nelle loro rispettive prigioni. Erano stati tutti trasferiti in preparazione dello scambio, che è avvenuto giovedì ad Ankara, in Turchia.
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