Le proteste in Nigeria contro le politiche economiche del governo
Gli organizzatori dicono di ispirarsi alle manifestazioni kenyane del mese scorso, che avevano portato al licenziamento di quasi tutti i ministri
Giovedì in Nigeria ci sono state proteste nella capitale Abuja, nella città più popolosa, Lagos, e in diverse altre parti del paese. È stato il primo giorno di una serie di manifestazioni che secondo gli organizzatori – che si sono coordinati online e contestano le politiche economiche del governo – dovrebbe durare in tutto dieci giorni. Il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu nelle dichiarazioni pubbliche ha assunto un atteggiamento di apertura verso i manifestanti, ma la polizia ha cercato di disperderli sparando lacrimogeni ad Abuja, Lagos e in altre città. In vari stati federali è inoltre stato imposto un coprifuoco di 24 ore.
La principale ragione delle proteste è la difficile situazione economica del paese più popoloso dell’Africa (ha quasi 230 milioni di abitanti), e il modo in cui il governo ha cercato di risolverla. Tinubu è entrato in carica a maggio dell’anno scorso dopo elezioni di cui l’opposizione aveva contestato il risultato. Nell’ultimo anno il suo governo ha fatto una serie di riforme che non hanno migliorato la situazione: a giugno l’inflazione anno su anno ha superato il 34 per cento, il dato più alto degli ultimi 28 anni, e 84 milioni di nigeriani (il 37 per cento della popolazione) vivono al di sotto della soglia di povertà, secondo il World Food Programme.
«Le riforme [di Tinubu] hanno spinto nella miseria decine di milioni di persone già impoverite. Ma erano necessarie per iniziare a correggere un fallimento economico di lungo periodo», ha scritto il mese scorso il Financial Times. La principale di queste riforme – impopolari ma motivate dalla volontà di consolidare il bilancio statale – è stata l’abolizione dei sussidi per il carburante, che erano diventati insostenibili. Si stima che questi sussidi nel 2022 siano arrivati a costare circa 10 miliardi di dollari all’anno, assorbendo quasi il 40 per cento delle entrate statali.
I sussidi per il carburante, introdotti negli anni Settanta, erano molto apprezzati dalla popolazione, ma non erano destinati solo alla mobilità, come potrebbe invece far pensare il nome. La Nigeria è infatti uno dei paesi con il più basso numero di veicoli pro capite al mondo: 50 ogni mille abitanti (per fare un paragone, in Italia lo stesso dato è di 673). In un paese dove quasi metà della popolazione non ha accesso all’elettricità o non ne riceve abbastanza a causa di una rete carente, il carburante serve soprattutto ad alimentare i generatori.
Dopo la fine dei sussidi il prezzo del carburante è raddoppiato. Secondo gli economisti, sarebbe stata preferibile una sospensione graduale invece di quella improvvisa decisa da Tinubu all’inizio del suo mandato. L’abolizione di questa misura è citata dagli organizzatori delle manifestazioni nel loro documento programmatico come una delle cause della crisi economica. I manifestanti si sono coordinati su internet, attorno all’hashtag #EndbadGovernanceinNigeria, cioè “Fermiamo il cattivo governo della Nigeria”.
Gli organizzatori si richiamano esplicitamente alle grandi proteste in Kenya del mese scorso. «Se i keniani avessero chiesto lo scioglimento del governo, sono sicuro che la gente avrebbe detto che era un obiettivo irrealistico. Invece è quello che è successo», ha detto a BBC News Juwon Sanyaolu, coordinatore di uno dei movimenti che hanno organizzato le proteste. Il riferimento è alla decisione del presidente del Kenya, William Ruto, di licenziare tutti i suoi ministri (tranne quello degli Esteri) dopo settimane di proteste. In precedenza Ruto aveva già ritirato la legge sull’aumento delle tasse che le aveva scatenate.
È possibile, dunque, che anche in Nigeria le proteste nate per motivazioni prevalentemente economiche, e legate alle crisi alimentari del paese, assumano un carattere antigovernativo. Giovedì uno dei principali attivisti, Omoyele Sowore, ha detto che le manifestazioni andranno avanti finché non saranno accolte tutte le richieste.
Negli ultimi giorni il governo ha tenuto due riunioni d’emergenza. Da una parte Tinubu si è mostrato conciliante e ha annunciato misure per cercare di ritrovare consensi: le principali sono il trasferimento di derrate alimentari alle regioni che ne hanno più bisogno e il raddoppio dello stipendio dei dipendenti statali, giudicato comunque insufficiente dai sindacati. Dall’altro il governo ha ordinato un massiccio dispiegamento di polizia ed esercito nel paese.
Il timore di ong come Human Rights Watch e Amnesty International è che possa ripetersi la repressione avvenuta nel 2020. Nell’ottobre di quell’anno le grandi proteste, cominciate contro la violenza della polizia, chiesero poi una più ampia riforma del paese. Le proteste finirono dopo due settimane, quando la polizia sparò sui manifestanti in un sobborgo di Lagos uccidendo almeno 12 persone.
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